Sono ormai evidenti i cambiamenti che stanno avvenendo nelle varabili competitive di mercato in contesti caratterizzati da fenomeni di ‘ibridazione’ e globalizzazione che richiedono miglior time-to-market e capacità di risposta da parte delle aziende. “Allo stesso modo – analizza Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno, aprendo i lavori di una recente Tavola Rotonda tenutasi in occasione dell’Open Source Day 2014 di Red Hat -, vediamo concretizzarsi, seppur a diverse velocità e attraverso svariate modalità, la trasformazione del reparto It sempre più ‘esposto’ verso il business e dal quale quest’ultimo ‘dipende’ ormai in modo critico”.
Binomio vincente open source/It defined business: funziona!
“Nell’evoluzione verso l’It defined business, che ruolo gioca oggi e in prospettiva l’open source?”, si chiede Uberti Foppa.
“Nel segmento bancario, per fare un esempio concreto, le esigenze di multicanalità impongo oggi decisi ripensamenti sul fronte infrastrutturale dato che le architetture legacy esistenti non consentono all’It di essere proattivo e quindi di supportare il cambiamento di business con agilità e velocità”, risponde Sabino Prizio, Managing Director Data Center Technologies Global di Accenture. “L’open source offre una risposta concreta in questi termini, abilitando un percorso di trasformazione dell’It verso una maggior flessibilità e dinamicità, garantendo oggi anche elevati livelli di affidabilità e sicurezza”.
Complementare a questa analisi anche la visione di Fabrizio Garrone, Enterprise Solutions Group Manager and Cloud Solutions Lead di Dell che parla di “workload automation per lo scale out applicativo, ossia di una base infrastrutturale performante e standardizzata che, grazie alla virtualizzazione e ad alti livelli di automazione dei processi, diventa chiave di volta per l’agilità dell’It, facendo appunto da supporto all’evoluzione dinamica dell’architettura applicativa. È in questa direzione che l’open source fornisce risposte efficaci per l’evoluzione delle architetture e la parola cardine è ‘standard’ aperti a garanzia di un It che diventi realmente servizio business oriented”.
“Standard aperti consentono l’interoperabilità tra sistemi, soluzioni e servizi; ‘a cascata’, l’interoperabilità diventa il cuore attraverso il quale raggiungere flessibilità e agilità tecnologiche oggi indispensabili per la sopravvivenza delle aziende”, interviene Roberto Cherubini, Senior It Architect di Fujitsu. “I livelli di affidabilità dell’open source sono oggi assolutamente compatibili con quelli richiesti dal business”.
Vendor più attenti, collaborativi nelle community
Della medesima opinione Marcello D’Agnano, Presales Manager di HP Enterprise Group il quale evidenzia come “nessuno metta più in discussione affidabilità, scalabilità, sicurezza e performance tecnologiche delle soluzione open source”, aggiungendo poi che “sta ai vendor muoversi per favorire ulteriormente lo sviluppo e la crescita dell’open source e degli standard condivisi, partecipando attivamente anche alle community di ricerca e sviluppo”.
Un passo compiuto oggi da quasi tutti i big player; Paolo Sangalli, Director Systems & Technology Group di Ibm Italia ricorda gli investimenti di ‘big blue’ in questa direzione: “Nel 2001 Ibm investì oltre un miliardo di dollari sul fronte open source ed oggi sul 50% dei mainframe Ibm ‘gira’ il sistema operativo Linux. Il fatto che, dal nostro osservatorio, possiamo testimoniare che l'80% delle banche in Italia usa mainframe con applicazioni open source per la componente mobility, la dice lunga sull’affidabilità delle soluzioni e sulla loro capacità di supporto all’innovazione”.
Ed è sul concetto chiave di ‘open innovation’ che punta i riflettori Carmine Stragapede, South Europe Enterprise Director di Intel Corporation: “In un puzzle tecnologico caratterizzato oggi da quattro fondamentali componenti ‘disruptive’ (cloud, cui si affianca il concetto di software defined data center dove l’open source trova la sua massima espressione della community nell’‘open data center alliance’; mobility; social/multicanalità; analytics), gli elementi che definiscono i sistemi It ‘sfumano’ e non hanno più i confini del passato. Le architetture diventano sempre più complesse, eterogenee e non più governabili con la logica dei silos infrastrutturali e applicativi dato che accanto ai tradizionali ‘monoliti’ tecnologici troviamo sempre più ‘pezzi’ che si innestano dinamicamente e on demand, con la logica del servizio ‘pay per use’. Diventa quindi più complesso generare valore, ma la risposta, a mio avviso, c’è e risiede negli open standard che, attraverso l’interoperabilità tecnologica, consentono di plasmare questo puzzle dinamicamente”.
Le criticità, dicono a più voci i vendor chiamati a confrontarsi nella Tavola Rotonda, “non sono da ricondurre alla tecnologia ma agli impatti organizzativi, di processo nonché di governance che un modello ‘open’ potrebbe provocare all’interno dell’organizzazione It”, evidenziano per esempio Garrone e D’Agnano. “Affinché un percorso evolutivo basato su open standard e soluzioni open source generi quegli effetti di flessibilità, dinamicità, capacità di risposta che il business si attende dall’It – aggiunge in merito Prizio – serve trovare la giusta ‘motivazione’ al cambiamento che non può essere di certo quella tecnologica, o comunque non solo”.
“La sfida è riuscire ad accompagnare le aziende in questi difficili percorsi trasformativi dove le difficoltà non sono date tanto dalla tecnologia open source in sé quanto, piuttosto, dalla capacità di integrare il legacy esistente con i nuovi modelli open”, affermano quasi coralmente Cherubini, Sangalli e Stragaprede. “Da non trascurare, infine, il tema delle competenze: l’open source abilita possibili scenari di cambiamento ma richiede competenze adeguate anche per poter collaborare efficacemente, per esempio, con le community globali. È in queste direzioni che noi vendor possiamo aggiungere valore”.