L’ambizione di avviare la produzione di massa di chip per computer quantistici si diffonde e fa nascere partnership inedite. Come quella tra la startup australiana specializzata in materiali innovativi, meglio se semiconduttori, Archer Materials e la chip factory GlobalFoundries, abituata a fare affari con AMD, Broadcom e Qualcomm. La notizia dell’accordo ha attirato l’attenzione del settore. C’è un materiale esclusivo da sperimentare su grandi macchine e grandi numeri, c’è la speranza di poter sbloccare il potenziale del quantum computing con la produzione in grandi volumi dei chip necessari per i processori che lo supportano.
La “speciale” tecnologia 12CQ funziona anche a 26 °C
Anche se non è il primo tentativo di produzione di massa, quello di Archer incuriosisce particolarmente per via del materiale utilizzato. Svelata la sua natura sulla rivista scientifica Nature Communications nel 2016, poi l’azienda non ne ha più fornito altri dettagli. Ora annuncia di voler integrare i suoi chip 12CQ con i dispositivi mobili compatibili e adatti alla nanofabbricazione di semiconduttori su scala industriale della nuova partner. Questo obiettivo, se raggiunto, accelererebbe il mondo del quantum computing che oggi legge tanti annunci e applaude, un po’ annoiato, ai lenti progressi. Per ora riaccende l’attenzione sulla sua scoperta.
La tecnologia 12CQ di Archer si basa sulla polarizzazione dello spin in nanosfere di carbonio metalliche conduttrici attraverso l’uso della risonanza di spin degli elettroni. È esclusiva non solo perché tenuta piuttosto segreta, ma perché permetterebbe di controllare e misurare lo stato quantico dello spin degli elettroni tramite l’applicazione di brevi raffiche di un campo magnetico oscillante dando risultati validi anche a temperatura ambiente (circa 26°C).
Ottenuti i brevetti negli Stati Uniti, in Cina, Giappone, Corea del Sud, Europa e Australia, ora l’azienda vuole scalare la produzione dei dispositivi e dei componenti del chip 12CQ. Ha scelto un alleato ideale per rendere la propria tecnologia integrabile con una catena di nanofabbricazione di semiconduttori, una “factory” abituata a numeri da giganti.
Per realizzare questo sogno, grazie all’accordo, potrà esplorare le strutture tecnologiche e i processi di produzione di GlobalFoundries e identificare il percorso ottimale per avviare la produzione di massa di chip 12CQ. Nel frattempo, il suo team potrà lavorare al fianco di quello di GlobalFoundries anche per la progettazione di dispositivi e circuiti e per lo sviluppo tecnologico di chip in grandi volumi.
Classical e quantum computing destinati a un futuro di funzionale convivenza
Quando arriverà l’annuncio di un reale avvio della produzione di massa di chip quantistici – che sia Archer o altri a farlo – per chi sta scommettendo da tempo sulle potenzialità dei qubit sarà una vera rivoluzione. Oggi, infatti, le architetture tecnologiche a supporto del calcolo quantistico, diversamente da quelle per il tradizionale, si basano sulla fabbricazione su misura. Questa limitazione di produzione tiene ancorato il settore che soffre di problemi di affidabilità dovuti a errori nei qubit indotti dal rumore.
Con un maggior numero di chip quantistici a disposizione potrebbero essere risolvibili, per esempio, combinando l’output di molti qubit per creare un singolo qubit logico in un processore quantistico. Ecco perché produrre qubit su scala industriale, utilizzando le fonderie di semiconduttori esistenti, sarebbe una vera svolta.
Quello di Archer non è il primo tentativo e nemmeno il primo annuncio. A inizio 2022 c’è stato quello dei “primi qubit in silicio su larga scala” fatto dai ricercatori di Intel e QuTech. Proprio presso l’impianto produttivo del gigante blu di Hillsboro, in Oregon, sarebbe infatti avvenuto con successo un processo in grado di produrre “oltre 10.000 array con diversi spin qubit al silicio da 300mm su un singolo wafer con una resa del 95%“. Un risultato che fa pensare che fa sperare in una produzione di massa di chip quantistici anche “a breve”, in questo caso avvalendosi di tecniche come la litografia completamente ottica, già usata da Intel per produrre i chip CMOS di ultima generazione.
Mentre resta aperta la corsa alla massificazione della fabbricazione di chip quantistici, è sempre più chiaro che quantum computing e classical computing, oltre che collaborare in attività di calcolo dovranno condividere gli spazi delle maggiori chip factory