Non sono molte le società a proprietà italiana che hanno un giro d’affari superiore al miliardo di euro, cioè un bel po’ al di sopra di quel “billion dollar” che negli Usa è il biglietto d’ingresso per il Club delle grandi Corporation. E ancora meno sono quelle industriali, che nella gran parte appartengono a quel “Gotha” di gruppi storici da sempre sulla scena economica. La realtà di cui stiamo per parlare ha invece raggiunto questo risultato, con 1002 milioni di fatturato consolidato, alla chiusura dell’esercizio 2006/2007, cioè dopo soli trent’anni di attività.
Conserve Italia nasce infatti nel 1976 a San Lazzaro di Savena, non lontano da Bologna, in un periodo di grande espansione delle cooperative italiane, ed emiliane in particolare, indirizzate a far fare un salto di qualità alla tradizionale economia agricola ed orto-frutticola della zona. La società viene quindi costituita come consorzio di terzo grado, destinato cioè a commercializzare i prodotti (succhi di frutta, passata e polpa di pomodoro, piselli, fagioli, frutta sciroppata, confetture, su¬ghi pronti e così via) conferiti dalle cooperative di trasformazione che ne fanno parte, nonché di orientare i processi di trasformazione stessa dei prodotti in modo da soddisfare la domanda dei mercati e trarre il massimo valore aggiunto per i soci. Nel tempo, questa funzione di programmazione e guida della produzione degli associati acquista un’importanza tale per cui nel 1994 Conserve Italia passa alla gestione diretta degli stabilimenti e diventa un consorzio cooperativo di secondo grado, responsabile dell’attività sia industriale sia commerciale delle oltre 50 cooperative di primo grado, con circa 17.500 mila soci produttori agricoli, che oggi ne fanno parte. La crescita di Conserve Italia procede sia con l’acquisizione di altre aziende, sia con la creazione di società dedicate ai mercati esteri, come la Mediterranean Growers, che nel 1983 avvia, con l’area britannica, l’espansione europea del gruppo, e Conserves France, nata nel 1997. Tappe importanti e recenti di questa strategia sono l’acquisto, nel 2003, di Juver Alimentacion, primo produttore spagnolo di succhi di frutta, e, nel 2004, dello storico gruppo Cirio, acquisito tramite la controllata Conserve Mediterranee, di Caivano (Napoli). Oggi sul piano commerciale Conserve Italia controlla attraverso i suoi marchi (Valfrutta, Cirio, De Rica, Yoga, Derby, Jolly Colombani e altri, cui vanno aggiunti i marchi della grande distribuzione) quote strategiche dei mercati nazionali ed esteri. Sul piano industriale, trasforma oltre un milione di tonnellate di materie prime (frutta, pomodori e altri ortaggi) in 13 stabilimenti distribuiti in Italia e in Europa.
Dalla complessità alla flessibiilità
Da quanto abbiamo esposto è facile intuire la complessità inerente ai sistemi informativi del gruppo, destinati a supportare i processi di un’attività che si articola in una filiera che va dalla produzione alla distribuzione e vendita e che, applicandosi a mercati differenziati per geografia e fasce di clientela, deve essere improntata alla massima flessibilità operativa. Ed è parimenti intuibile come nel tempo la gestione del parco server, ciascuno dei quali era dedicato ad un’applicazione o a un servizio It, fosse diventata onerosa e poco efficiente. Mentre da un lato si registrava una continua crescita dei costi di manutenzione, dall’altro si aveva uno scarso sfruttamento delle macchine, utilizzate in media solo per il 15% circa delle loro potenzialità, e quindi uno scarso ritorno degli investimenti effettuati. Come esordisce Enrico Parisini, responsabile It di Conserve Italia: “Quando si parla, come nel nostro caso, di interventi sull’infrastruttura, che opera a 360 gradi su tutte le attività dell’impresa, è molto difficile identificare una motivazione dovuta ad un problema specifico. Parliamo piuttosto di una motivazione organizzativa e tecnica per potenziare la nostra capacità operativa e metterci in grado di dare alle richieste del business risposte più veloci e anche più affidabili; intendendo come affidabilità l’aderenza agli Sla stabiliti e la possibilità di garantire livelli di servizio superiori”.
Nasce quindi una progetto di lungo respiro che vede dapprima svolgersi un’attività di consolidamento (durata vari anni) delle risorse It poste presso le sedi sparse sul territorio, in Italia e anche all’estero, in modo da fornire a tutti gli utenti servizi unificati e controllati erogati da uno stesso data center. A questo primo consolidamento ha fatto seguito, con un progetto avviato nei primi mesi del 2007 dopo un’opportuna fase di prototipazione e tuttora in svolgimento, una seconda attività di consolidamento e di virtualizzazione rivolta allo scopo di ottenere quella flessibilità e affidabilità delle operazioni citata dall’It manager della società.
Prima standardizzare, poi virtualizzare
Per la virtualizzazione del parco server di Conserve Italia è stata scelta la tecnologia VMware Virtual Infrastructure, Enterprise Edition, implementata da Infolab, “preferred partner” di Hp. Si tratta di un Var con il quale Conserve Italia lavora da anni e che ha di fatto seguito la realizzazione del progetto grazie alla competenza specialistica che ha nel settore. Come osserva infatti Parisini, “Vi sono complessità che non sono facilmente affrontabili con i fornitori della tecnologia ed occorre poter fare riferimento a professionisti di alto livello ai quali affidare la qualità della soluzione”.
L’infrastruttura server del data center di Conserve Italia comprende oggi 62 “host name” (cioè, in pratica, sistemi logici) virtualizzati su un totale di 83 sistemi. Sono stati installati quattro nodi, basati su server HP ProLiant DL385 e 3 nodi basati su HP Proliant ML370 G5, ciascuno dei quali supporta una serie di sistemi virtuali che vanno a sostituire quelli che erano prima installati su server dedicati. Ciò ha permesso di ridurre drasticamente il numero totale delle macchine fisiche, che dalla settantina risultante dopo il primo consolidamento sono scese alle attuali 29, fino ad arrivare all’obiettivo di 18 a fine 2009.
Come è di regola in questi progetti, anche l’infrastruttura storage è stata virtualizzata, con la realizzazione di una San basata su HP StorageWorks EVA 4000. Questo ha permesso non solo di ottimizzare i processi di accesso, condivisione tra applicazioni e protezione dei dati, ma anche di realizzare una nuova e più efficiente politica di backup, gestita da un software open source che utilizza librerie HP StorageWorks.
Oltre alla flessibilità operativa inerente agli ambienti virtualizzati, che consentono di assegnare dinamicamente alle applicazioni aziendali le risorse di cui hanno bisogno e di ridurre da giorni ad ore l’installazione e il testing di un nuova soluzione, un importante risultato della server virtualization è l’availability dei servizi It. Mentre prima molti dei sistemi fisici sui quali giravano applicazioni critiche per il business non erano ridondati, con un rischio quindi d’interruzione del servizio, oggi tutte le macchine virtuali che li sostituiscono sono (scusate il gioco di parole) virtualmente ridondate, dato che in caso di caduta di una macchina virtuale l’hypervisor VMware la ripristina immediatamente su nuove risorse hardware.
Poche difficoltà, tanta soddisfazione
Le uniche difficoltà legate indirettamente al progetto sono state quelle riguardanti il trasferimento di alcune applicazioni aziendali che giravano su server dedicati in ambienti proprietari a macchine virtuali in ambienti standard (il data center di Conserve Italia è misto Windows-Linux). Queste difficoltà però si semplificano se, come raccomanda Parisini, si procede per gradi provvedendo, prima, ad un consolidamento dell’infrastruttura su server “industry standard” (“prima standardizzare, poi virtualizzare” è il suo motto).
La vera e propria virtualizzazione dell’infrastruttura non ha invece evidenziato alcun problema. “In verità – aggiunge Parisini – abbiamo scoperto soltanto dei vantaggi”. E uno di questi è il risparmio d’energia. Mentre la potenza di calcolo attualmente disponibile è circa 8 volte quella di partenza, il consumo d’energia del datacenter è diminuito in assoluto del 30% circa. Con un carico medio che si aggira ora sui 13 KWora il consumo è di circa 16000 KW in un anno. Il risparmio è stato di circa 7.000 euro/ anno. Inoltre, all’aumentare della potenza elaborativa, non è stato necessario modificare il sistema di ups a salvaguardia della continuità operativa.