MILANO – Diversi fattori spiegano la crescita di Linux nelle infrastrutture mission-critical. Di certo fa da traino il successo dell’open source in generale, un mondo al cui sviluppo e continuo rinnovamento contribuiscono community di sviluppatori non solo singoli ma anche impiegati in grandi aziende. Gianni Sambiasi, direttore vendite di Suse (business unit indipendente di The Attachmate Group), aggiunge anche un’altra motivazione: “Da un po’ di tempo il top management delle aziende fa pressione sui responsabili It affinché ottimizzino i costi. E l’hardware ‘commodity’ costa molto meno di quello Risc, che fino a poco tempo fa aveva l’appannaggio assoluto a supporto delle applicazioni mission-critical. Ebbene, anche su sistemi mainstream, Linux è ormai da tempo in grado di offrire affidabilità, scalabilità e fermi macchina sempre più brevi; tutti aspetti richiesti per sostenere le attività di business. E non è un caso se Intel è tra i maggiori contributori, in termini di linee di codice, dei sistemi operativi Linux”.
Al successo di Linux nei data center più esigenti non è estranea la disponibilità di due diversi tipi di offerta: i software scaricabili in modo completamente gratuito dal web e supportati dalle comunità e le distribuzioni proposte dai produttori degli stessi Linux ma accessibili dietro una sottoscrizione. “Le distribuzioni di un vendor Linux come Suse o Red Hat – sottolinea Sambiasi – sono package che rappresentano, in pratica, delle versioni di un sistema operativo. Nel nostro caso, garantiamo per ogni release un supporto tecnico di dieci anni. Questo vuol dire che chi sottoscrive, a canoni annuali o triennali, una release, ha diritto a vedere la stessa costantemente corretta, aggiornata, certificata, e a un supporto tecnico che può arrivare alle 24 ore al giorno con presa in carico di una chiamata al massimo entro un’ora”. Siamo in presenza di un circolo virtuoso che favorisce la penetrazione di Linux nel mondo mission-critical. Più aziende, soprattutto di grandi dimensioni, aggiungono questo sistema operativo a quelli utilizzati e più aumenta la remunerazione di chi contribuisce al suo sviluppo, a livello sia di community sia di vendor. Questo accresce le risorse per il potenziamento dell’Os open source e, di conseguenza, la fiducia da parte dell’utenza; fiducia che si unisce all’attesa di risparmi economici. Questi, torna a fare notare Sambiasi, sono soprattutto legati ai minori costi hardware. “Un esempio di azienda italiana che, migrando a Linux ha potuto spostare risorse su nuovi progetti applicativi – racconta il direttore vendite di Suse – è Cir Food. In precedenza l’azienda adottava Sap su Unix. Con i risparmi ottenuti passando a sistemi non Risc, Cir Food ha potuto, per esempio, acquistare Sap Hana per potenziare le analisi di business e aumentare la competitività”.
Il Linux adottato da Cir è Suse Linux Enterprise Server for Sap Applications, una versione ottimizzata per Sap e supportata in modo integrato da Suse e dal colosso delle business application. “Questo significa – spiega Sambiasi – che, a fronte di una necessità, il cliente può chiamare uno dei due vendor, i quali non si ‘rimpallano’ la richiesta ma giungono al più presto alla soluzione del problema, sia che riguardi un’applicazione sia il sistema operativo”. Suse punta molto sulle alleanze. Anche il modello di vendita si basa su business partner come hardware vendor, system integrator e software house.