Ogni anno, all’International Electron Devices Meeting dell’IEEE, i big del settore sfilano mostrando le loro ultime scoperte in materia di “tecnologia dei semiconduttori e dei dispositivi elettronici, progettazione, produzione, fisica e modellazione”. Nell’edizione da poco terminata, Intel ha attirato su di sé tutti i riflettori con il suo annuncio. Entro un decennio, questa è la promessa, sarà in grado di inserire in un pacchetto un miliardo di miliardi di transistor. Come termine di paragone, per comprendere l’importanza e l’audacia di questa scommessa, si può utilizzare l’attuale densità massima raggiunta, pari a 76,3 miliardi di transistor. Un momentaneo record da attribuire a Nvidia e al suo AD102.
Memoria, packaging e materiali: alla scoperta di alternative innovative
Dietro all’altisonante annuncio vi sono concreti progressi tecnologici in tre distinte aree chiave. Quella del packaging 3D, quella della scienza dei materiali ultrasottili e quella che determina la tipologia e le peculiarità dei processori, di volta in volta completamente ripensati.
Questo è proprio il caso di Intel, che ha spiegato di voler abbandonare definitivamente quelli basati su chiplet (o “disaggregati”) per aumentare la connettività. Per ora, infatti, è necessario procedere in due fasi: prima produrre i chiplet come per un qualsiasi altro microprocessore e poi assemblarli in un pacchetto completo. L’idea è quella di procedere in continuità, invece, e fabbricare chip quasi monolitici, con una tecnologia Intel di nuova generazione. Dettagli “segreti”, ma l’azienda assicura interconnessioni flessibili, utilizzabili per connettersi a chiplet diversi. Si tratta di una caratteristica essenziale per garantire versatilità nella progettazione dei prodotti.
Per quanto riguarda i materiali, per progredire in modo decisivo, sarebbe necessario abbandonare il silicio. Raggiunti ormai i suoi limiti fisici, infatti, è diventato un elemento di rallentamento nel campo dei chip. Intel sta infatti esplorando nuove opzioni come il disolfuro di molibdeno. È uno dei cosiddetti “materiali 2D”: restano piatti ma, allo stesso tempo, permettono di formare le strutture complesse alla base dei microprocessori. Una scelta alternativa, perché la maggior parte si sta concentrando sul grafene, nonostante questo materiale richieda una ingegnerizzazione del bandgap, non avendolo naturale. I materiali 2D adocchiati da Intel lo hanno, intrinseco, e possono quindi essere direttamente usati per realizzare nanoschede di soli 3 atomi di spessore, facili da impilare.
Un altro problema che Intel ha “preso di petto”, è quello delle memorie dei processori. Ha ripescato la RAM ferroelettrica, rivedendola, solitamente scartata per via della sua densità estremamente ridotta rispetto alla memoria flash e alla DRAM. L’ha impilata in 3D, già nel 2020, e ora ha realizzato dei condensatori ferroelettrici, ad array impilati con le stesse prestazioni di quelli convenzionali. Solo nei prossimi mesi sarà possibile capire se siamo di fronte a una rivoluzione delle memorie incorporate. A detta di Intel la FeRAM dovrebbe risultare più veloce ed efficiente e, allo stesso tempo, anche non volatile.
Efficienza energetica e legge di Moore sono salve
Oggi più che mai, per ogni progresso tecnologico va tenuto d’occhio anche il corrispondente “progresso” del consumo energetico. Quello dei chip, sempre più densi, evidentemente aumenta e non si può procedere senza tenerne conto, soprattutto in un contesto in cui l’energia rappresenta un’emergenza che pesa sul budget.
Una soluzione, secondo Intel, potrebbe arrivare dalla scienza dei materiali. Gli occhi sono puntati sul nitruro di gallio (GaN) per i semiconduttori, già in uso nelle applicazioni RF. Rispetto al silicio, vanterebbe capacità di gestione di potenze e frequenze notevolmente più elevate.
Con una sua nuova tecnologia GaN-on-Si, Intel sostiene di poter offrire un miglioramento di 20 volte in termini di efficienza energetica. Con una frequenza di taglio di 680 GHz, si potenzierebbe anche lo sviluppo di tecnologie wireless sempre più veloci, oltre all’attuale 5G.
Oltre a far brillare gli occhi agli utilizzatori di chip, che pregustano queste novità e iniziano a prospettare nuovi business, l’annuncio di Intel rincuora gli affezionati alla legge di Moore. Per “ubbidire” a questa osservazione, ormai di decenni fa, il numero di componenti di un circuito integrato dovrebbe raddoppiare all’incirca ogni 2 anni. Intel ha dimostrato di voler tenere alto il ritmo, visti gli inevitabili recenti rallentamenti. Lo sta facendo anche grazie alle “risorse illimitate” che Pat Gelsinger, CEO di Intel, si è impegnato a concedere alla divisione fonderia per avanzare di cinque nodi entro il 2025.