Il ruolo che le piattaforme no-code sono destinate a ricoprire nell’ambito del Business Process Management (BPM) è decisivo: la possibilità di ingegnerizzare, testare e implementare – senza dover ricorrere ai linguaggi di programmazione – anche processi mission critical aiuterà le imprese a far evolvere strumenti e user experience in funzione delle sfide poste dallo scenario competitivo, a sua volta in costante trasformazione sulla spinta della digital transformation.
“Non tutti però sono ancora al corrente di cosa si può davvero fare adottando la logica no-code”, dice Martin Arborea, Co-Founder and Marketing & Sales Director di Openwork e specialista di questo approccio al BPM, che avverte: “Non si tratta solo di una trasformazione tecnologica. L’introduzione di una piattaforma no-code in azienda ha ripercussioni soprattutto sul piano metodologico e organizzativo”.
Come una piattaforma no-code rende più flessibile la progettazione dei processi
Secondo Arborea, sono quattro le caratteristiche fondamentali di una piattaforma no-code che aiutano l’organizzazione a imbastire processi capaci di seguire o addirittura anticipare l’evoluzione del business. In primo luogo, l’utilizzo di modelli concettuali al posto del codice rende le dinamiche dei processi facilmente comprensibili anche da chi non li ha concepiti, agevolandone la modifica. Abbracciare la filosofia no-code significa, infatti, non dover più tradurre specifiche esigenze di business in linguaggio di programmazione.
È sufficiente affidarsi a uno strumento end-to-end che integra in una user experience semplificata le fasi di analisi, traduzione dei task in software e di test continuativi. Così, in alcuni casi, per modificare un processo basta aprire un’interfaccia grafica, inserire o spostare alcune linee e cliccare deploy. “Se prima si impiegavano settimane, ora occorre una manciata di ore”, rimarca Arborea.
Da qui discende la seconda caratteristica: le piattaforme no-code offrono l’opportunità di rispondere a compelling business needs anche all’interno di situazioni già strutturate. Con un approccio tradizionale, bisogna arrivare a fine sviluppo per vedere qualche risultato e verificare che il processo funzioni davvero. Con il no-code, invece, si può agire a livello macro e istituire bozze di procedure che funzionano immediatamente, anche in assenza di dettagli operativi.
In questo modo, si osserva l’impatto del processo sul business e se ne verifica la stabilità e il funzionamento. Il processo stesso diventa una “guida” che indirizza le persone nell’inserimento delle operations attraverso un approccio incrementale.
Il terzo pilastro riguarda la possibilità di contare su un ambiente di modelling execution direttamente integrato con processi, dati e organizzazione. Così, la progettazione diventa più flessibile soprattutto quando si tratta di prevedere eventuali evoluzioni future del business. Come ultima caratteristica, Arborea indica che una piattaforma no-code è in grado di far convergere una moltitudine di servizi applicativi esterni e specializzati.
Dalla gestione dei pagamenti all’invio di OTP, passando per le funzionalità di messaggistica e i portali per somministrare survey, la logica modulare aiuta gli operatori a concentrarsi sulla configurazione degli oggetti piuttosto che sullo sforzo di affrontarne la progettazione.
Le skill che occorrono per valorizzare una piattaforma no code
Se è vero che, con una piattaforma no-code, molte azioni risultano più semplici, va precisato che le imprese non devono aspettarsi miracoli, ma comprendere che si profila all’orizzonte una netta trasformazione sui piani organizzativo, metodologico e culturale. Per gestire in totale autonomia una piattaforma BPM, occorre coinvolgere figure specializzate, a partire dagli analisti di processo.
Se da una parte, non è più necessario sottrarre tempo ai programmatori – profili ormai preziosi e quasi introvabili – puntando anche su individui privi di competenze tecniche approfondite, è necessario comunque fare affidamento su risorse che possiedono un background STEM. Tuttavia, Arborea puntualizza che i loro test dimostrano come anche i laureati in architettura, giurisprudenza, filosofia ed economia sono perfettamente in grado di utilizzare l’approccio no-code.
Con una piattaforma no-code, inoltre, cambia anche il ruolo degli owner di processo, che in molti casi diventano protagonisti di percorsi di co-creation. Il loro compito è quello di evidenziare esigenze di business, fornendo la struttura di base allo specialista di prodotto, che raffina il progetto aggiungendo gli elementi necessari per farlo andare in produzione.
Dai progetti di digitalizzazione alla soddisfazione dei compelling needs: l’efficacia della piattaforma no-code
Quali sono i casi d’uso ideali per mettere alla prova l’approccio no-code? Arborea racconta che Openwork ha affiancato i propri clienti sia sul fronte della digitization che rispetto a progetti veri e propri di digitalization. I primi consistono in interventi di primissima trasformazione digitale, a volte necessari anche in aziende strutturate e con un elevato grado di digitalizzazione. Un esempio pratico consiste nella dematerializzazione del processo approvativo, ovvero passare da una gestione basata su supporti cartacei o su applicazioni non integrate con la suite di document management a un’orchestrazione full digital.
Non è in effetti raro imbattersi in aziende convinte che basti affidare ai collaboratori tool e piattaforme digitali per dematerializzare i flussi. Tuttavia, se questi strumenti non sono integrati tra loro e con gli aspetti core del business, tutti i dati generati durante il loro utilizzo non diventano parte del patrimonio aziendale, perdendo così tantissimo valore.
Arborea aggiunge che si può affermare lo stesso per molte dinamiche all’interno degli uffici acquisti: spesso viene notata la mancanza di processi end-to-end persino in presenza di un ERP consolidato, perché è difficile che tutti i dipendenti ottengano l’accesso al sistema gestionale, nonostante l’interconnessione tra molte aree funzionali.
Il problema è che gli ERP sono software ostici per i non addetti ai lavori e comportano costi importanti nel momento in cui si aumenta il numero di postazioni. Tuttavia, Arborea sottolinea che con Jamio, la loro piattaforma no-code, le aziende possono costruire processi in grado di interfacciarsi con l’ERP. Diventa possibile, così, gestire la componente transazionale legata alle procedure autorizzative che coinvolgono utenti – tipicamente figure apicali – privi di un account per accedere al gestionale.
L’approccio no-code sprigiona il suo massimo potenziale quando si tratta di imbastire in tempi rapidi nuovi processi per cogliere al volo opportunità di business che altrimenti andrebbero perse. Arborea rimarca che una società di real estate e facility management si è rivolta a Openwork per mettere a terra una soluzione tempestiva per gestire in maniera integrata il Superbonus 110%. Arborea continua raccontando come, senza la piattaforma no-code di Openwork, un gruppo specializzato in NPL – acronimo di Non Performing Loans, crediti bancari la cui riscossione non è certa – non avrebbe potuto prendere in carico un nuovo importante portafoglio di titoli, che di fatto ha raddoppiato il numero di pratiche da gestire.
Infine, chiosa sul caso di una software house, di cui Openwork è fornitore: per far fronte a un’impellente richiesta proveniente da un numero elevato di clienti senza aver a disposizione programmatori sufficienti per realizzare le commesse, il loro cliente ha scelto l’approccio no-code. In questo modo, parte della compilazione dei software è stata affidata a profili meno specialistici.
L’impegno indispensabile per la valorizzazione dei talenti
Anche quest’ultimo caso mette in evidenza la penuria di skill all’altezza delle sfide della digitalizzazione, oltre a sottolineare che l’ambito delle piattaforme no-code ha ancora grossi margini di crescita. Arborea commenta indicando come persino gli analisti parlino più che altro di approccio low-code quando descrivono i trend di mercato. Si tratta, quindi, di soluzioni di frontiera che, per essere sfruttate al meglio, necessitano di un importante sostegno alla componente culturale.
Per questo, Openwork ha scelto di puntare con decisione sul trasferimento di competenze. Difatti, Arborea afferma che in azienda non si limitano a lavorare insieme alle università per formare gli specialisti di domani, ma si rivolgono anche alle scuole: quando l’obiettivo è la realizzazione di software senza una riga di codice, è fondamentale partire da lontano.
Il co-founder di Openwork sottolinea poi il ruolo chiave del Competence Center sul Business Process Management, realizzato in collaborazione con il Politecnico di Bari: l’obiettivo è attrarre i talenti per continuare a crescere. Per concludere, cita il ruolo dei partner. “Anche in questo caso”, chiosa Arborea, “è fondamentale trovare player dell’ICT nazionale che si trovino in sintonia con noi rispetto all’approccio no-code.”