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Open source: una risorsa preziosa, ma chi la paga?

Essere uno sviluppatore attivo nel mondo open source non è mai stata una scelta redditizia. È un settore nato con contributi volontari di tempo e competenze, oggi diventati sempre più fondamentali per chiunque lavori con i software. Quindi per tutti. Comincia quindi a nascere l’idea di modificare i meccanismi e far sì che arrivino più finanziamenti all’open source e, soprattutto, che siano distribuiti “a cascata” a ogni anello della catena su cui è costruito

Pubblicato il 09 Mag 2023

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Quel che non si paga, non si apprezza”, si dice. Non è propriamente così per l’open source, ma una lacuna di finanziamenti c’è, da tempo. Malgrado proprio in questi anni ci si stia accorgendo sempre di più di quanto sia fondamentale poter contare sul software libero, pochi sono quelli che si pongono il problema della sua sostenibilità. Ci piace immaginare un popolo di “smanettoni” che contribuiscono gratuitamente, per pura passione. Eppure, il loro tempo e le loro competenze hanno un gran valore per la società odierna. Meriterebbero un corrispettivo in dollari, non solo gratitudine.

La gratuità storica dell’open source

La mancanza di supporto finanziario è una caratteristica quasi intrinseca del codice sorgente pubblico. È nato e si è sviluppato così, quasi come un hobby “underground”. Ora che serve a tutti, alle big come alle startup e alla ricerca, sta acquistando notorietà ma non riesce a imporsi un nuovo modello di business.

Già nel 2017, in un report intitolato “Roads and Bridges: The Unseen Labor Behind Our Digital Infrastructure” si raccontava di un settore in cui i conti non tornavano.

Più tardi, esaminando i dati di finanziamento di Open Collective e GitHub nel 2019, era emerso che più della metà dei progetti non aveva generato entrate sufficienti a far emergere i propri manutentori al di sopra della soglia di povertà.

Le cose non sono cambiate, nonostante si sia cercato di fare qualcosa. Sono nati progetti come la Core Infrastructure Initiative della Linux Foundation e il programma di premi Open Source Support di Mozilla. Sono state lanciate piattaforme di finanziamento, come Open Collective e GitHub Sponsors. Qualche sviluppatore “VIP” è anche riuscito a ottenere il supporto economico da sponsor aziendali.

Tutti tentativi di miglioramento apprezzabili ma che non sono riusciti a cambiare logiche e mindset. Monetizzare la creazione e la manutenzione del codice resta un’impresa difficile, oggigiorno, e fra qualche anno ciò potrebbe diventare allarmante

Come spalmare i fondi su più livelli

Non si può negare un modesto miglioramento registrato negli ultimi anni, ma mai nulla di decisivo. Perché? Nessuno fino a oggi aveva ancora osato prendere il toro per le corna.

Il vero problema, infatti, più che nella carenza di finanziamenti, sta nella loro mancata ridistribuzione all’interno della filiera. Sembrerebbe infatti non esistere un meccanismo “a cascata” che la renda omogenea. I fondi restano bloccati “in alto”, magari anche virtuosamente re-investiti, ma non arrivano ai singoli developer, veri artefici dell’open source. C’è anche il tema della manutenzione da tener presente, perché si traduce in tempo e competenze come in ogni altro settore, checché il software sia e resti libero.

Alcuni esperti hanno provato a indagare sulle radici di questa ingiustizia, per intervenire sul sistema in modo puntuale ed efficace. In parte può essere una conseguenza della complessità tipica dei progetti open source: possono avere decine o addirittura centinaia di dipendenze o pacchetti di codice che svolgono funzioni specifiche. Per rendere l’idea, un solo pacchetto npm ha in media 79 dipendenze. Anche le stesse applicazioni web spesso integrano molti pacchetti di questo tipo. D’altra parte, resta scomodo fare donazioni ai manutentori di ogni singolo pacchetto software. Sarebbe un’operazione da compiere manualmente e solo di propria singola iniziativa: non può essere la strada giusta per risolvere un problema strutturale dell’intero settore. Ha più chances di diventarlo l’idea lanciata di recente da thanks.dev. Questa startup propone al mondo open source di accettare le donazioni tramite gli account GitHub o GitLab e di distribuirle sul dependencing tree con ben tre livelli di profondità, con un massimo di otto cifre decimali sul dollaro. Il tutto attraverso un sistema ottimizzato, sia che i fondi siano indirizzati verso progetti specifici, o meno.

Un’idea simile era stata lanciata nel 2018 da Open Collective con un progetto chiamato BackYourStack. Un tentativo non andato a buon fine, ma che non scoraggia il team di thanks.dev. Sono passati 5 anni, che nel mondo dell’innovazione tecnologica sono un secolo. Inoltre questa nuova soluzione ha già conquistato sul mercato la fiducia di player come Cash App, Sentry e Sourcegraphh. Le donazioni sono per ora modeste, ma il meccanismo sembra funzionare. Magari non risolverà da solo l’intero problema ma potrebbe contribuire a diffondere la ricchezza e la consapevolezza di un mondo open source fatto da risorse anche umane. Persone in carne e ossa dal cui lavoro siamo sempre più dipendenti, soprattutto se la nostra priorità è la sovranità digitale

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