Nei prossimi anni, nei confini giuridici dell’Unione Europea, ‘ne vedremo delle belle’. È vero che la sentenza della Corte di Giustizia Europea, con la quale viene definitivamente stabilito che la vendita di licenze software usate è totalmente legale e la software house ‘autrice’ del programma non vi si può opporre, risale al 2012, ma è solo da un anno o poco più che se ne parla, per lo meno in Italia. E le ragioni sono svariate, a partire dal fatto che la compravendita, tra aziende, non è poi così semplice da gestire e che, fino ad oggi, il 90% del libero scambio di licenze software ha riguardato software targato Microsoft (fonte: NetConsulting).
Eppure la situazione sta lentamente evolvendo e dopo paesi come Germania, Austria e Svizzera, dove la compravendita di software usato è molto diffusa, anche in altre nazioni le aziende stanno cogliendo tale opportunità sempre più frequentemente: nei paesi nordici come Norvegia, Svezia e Finlandia, per esempio, ma anche in Italia, come ci conferma Corrado Farina, General Manager Italy di Relicense. “In poco più di un anno di presenza in Italia [l’azienda è nata nel 2008 in Germania – ndr] abbiamo raggiunto più di un centinaio di aziende clienti e stiamo notando un continuo interesse crescente”, esordisce Farina, “anche se la strada dell’evangelizzazione è ancora lunga e spesso le aziende si rivolgono a noi ‘semplicemente’ perché non sanno cosa fare”.
Le difficoltà nascono soprattutto per il fatto che in circolazione esistono svariate tipologie di licenze, “da quelle Oem che sono abbinate all’hardware e quindi nascono e muoiono con il device cui sono ‘agganciate’ – puntualizza Farina -, a quelle che si ‘riducono’ a mera chiave di attivazione di un prodotto scaricato online, fino a quelle ‘a noleggio’ e via via salendo fino a quelle ‘a volume’ in cui vige un solo contratto all’interno del quale sono però riportate il numero di licenze acquistate e le modalità di utilizzo. La prima cosa da fare, dunque, è capire ‘cosa si ha in casa’ e con che tipo di licenza si stanno utilizzando i software; non è detto, infatti, che tutte le varietà di applicazioni abbiano mercato, ossia vi sia una domanda tale da giustificare la vendita dell’usato”. In secondo luogo, la compravendita tra aziende deve rispettare una serie di regole puntuali, a partire dalla certificazione e dalla prova documentale che dimostrano la titolarità della licenza e tutti i suoi passaggi successivi: “Non basta mettere in vendita su una piattaforma online il software; le implicazioni, anche dal punto di vista contabile, sono molteplici e vanno gestite in modo corretto”, ricorda Farina che su questi aspetti ha più volte rimarcato l’attenzione [si legga anche l’articolo “Software usato: grandi opportunità, nella piena legalità” – ndr].
PA: Concreta volontà di intervento
È comunque innegabile l’opportunità da cogliere, soprattutto laddove strategie e politiche del ‘riutilizzo’ non rappresentano solo un approccio di spending review, ancorché importante, ma attenzione al ‘ciclo di vita’ delle tecnologie e alle modalità per il loro più efficace e massimizzato utilizzo; politiche oggi sempre più concretizzabili, per esempio, all’interno della Pubblica Amministrazione. “In Italia partecipiamo a molti tavoli di discussione dei Ministeri e delle aziende che si occupano del provisioning e della logistica ma vi sono ancora molte difficoltà da superare – ammette Farina -. Uno degli aspetti più critici è rappresentato dal fatto che non si riesce ancora a gestire, nel corretto contesto di riferimento normativo, la vendita degli asset della PA: la vendita non segue le stesse regole degli acquisti (gare di appalto, ecc.) e i software non possono certo essere trattati alle stregua dei beni del demanio pubblico. Tuttavia, l’interesse è altissimo e già nelle prossime settimane abbiamo in agenda alcuni importanti momenti di confronto con alcuni interlocutori proprio su questi aspetti, segnale a mio avviso non solo di interesse ‘culturale’, confermato dai numerosi incontri avuti proprio nell’ultimo anno, ma di concreta volontà di intervento”.