Nelle aziende, una delle principali parole d’ordine è velocità. Velocità nello sviluppare nuovi prodotti e servizi per non farsi sopraffare dalla concorrenza storica, che corre anch’essa per non perdere o per guadagnare quote di un mercato che cambia di giorno in giorno. Rapidità e flessibilità per anticipare o controbattere nuovi competitor che provengono da mercati diversi e decidono di entrare in modo nuovo in altri business. E ancora velocità per reggere il confronto con start up – spesso così promettenti da ottenere in tempi brevi elevati finanziamenti – che si introducono in un settore tradizionale con proposte “disruptive” basate quasi esclusivamente su software e algoritmi innovativi. “In un’intervista apparsa ormai nel lontano 2011 sul Wall Street Journal – ricorda Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno – il cofondatore di Netscape ha affermato che il software sta mangiando il mondo. Intendendo, con questa affermazione, che sempre più ogni tipo di business e ogni settore saranno connotati da una prevalenza digitale e software application oriented. In un contesto di questo tipo, le relazioni fra dipartimenti business e It nelle aziende devono cambiare profondamente e diventare più collaborative su orizzonti temporali sempre più brevi. E così deve avvenire anche nell’ambito dell’It stessa, in particolare fra il mondo dello sviluppo e quello delle operations, con l’obiettivo di soddisfare le esigenze di supporto veloce alle incalzanti nuove iniziative di business”.
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Di tutto questo, e in special modo di come gli specialisti in operation possono fare al meglio la loro parte nell’interazione con gli sviluppatori, si è parlato nel corso di un Executive Dinner organizzato agli inizi di marzo a Milano da ZeroUno, in collaborazione con F5 Italia e Nutanix Italia, e con la partecipazione di Massimo Ficagna, Senior Advisor dell’Osservatorio Enterprise Application Governance della School of Management del Politecnico di Milano, e una trentina di Cio e It manager di medie e grandi aziende, dal titolo: “Infrastrutture e applicazioni: come ottimizzare il rilascio dei servizi It”. L’obiettivo, come recitava il sottotitolo, era anche toccare sfide specifiche per chi si occupa di operation.
Benvenuti nell’Internet of Everything o nel digital business
Il tema della serata è all’ordine del giorno. “Ma un conto – ha sottolineato Uberti Foppa – è continuare a parlare solo di trasformazione digitale del business, un altro cercare di partire dai passi necessari per intervenire e colmare in modo corretto le lacune esistenti, che ci frenano nella realizzazione di questa trasformazione. Secondo noi, oltre alla problematiche organizzative e di processo, occorre approfondire anche quelle di carattere infrastrutturale e di governance applicativa”.
Un primo contributo a inquadrare in questo modo la tematica lo ha dato Ficagna. L’analista ha esordito ricordando che ormai ci troviamo di fronte a “una nuova piattaforma informatica caratterizzata da componenti quali il mobile, il social business, il cloud computing, i big data: tutti elementi che abilitano quello che chiamiamo ormai Internet of Everything. Il risultato è una crescita della complessità. L’effetto immediato, più ‘hard’, di questo trend è la crescita esponenziale della mole di dati che vengono raccolti e che devono essere gestiti anno dopo anno. Il tasso annuale di crescita dei nuovi dati ammonta fra il 20 e il 40 percento, con un aumento superiore alla media da parte dei dati destrutturati rispetto a quelli strutturati. Sommando i nuovi a quelli già esistenti, si ottiene un raddoppio anno su anno dei dati presenti nei sistemi informativi. Inoltre, bisogna tenere conto che in dieci anni si può arrivare a una moltiplicazione per 50 dei dati da gestire. In parte, per affrontare questo problema, ci può ancora aiutare la legge di Moore, secondo la quale le capacità di calcolo raddoppiano ogni 18 mesi, quelle storage lo fanno ogni 12, mentre la velocità di trasmissione dei dati attraverso le fibre ottiche si duplica ogni nove mesi”. Tutto ciò, però, avviene a livello teorico. “In pratica – ricorda Ficagna – i sistemi in possesso delle aziende hanno in buona parte qualche anno di vita. Se non è pensabile sostituirli tutti a ciclo continuo, occorre almeno rinnovare le tecnologie in un’ottica di sostituzione di quelle giunte a fine vita”.
Un altro effetto della “nuova piattaforma informatica” cui fa riferimento Ficagna è la progressiva “digitalizzazione del business”. “Ci troviamo ormai di fronte a operatori dell’hospitality che non posseggono nemmeno un immobile (Airbnb), o leader nei servizi taxi che non hanno un automobile, come Uber”, ha ricordato il senior advisor dell’Osservatorio Enterprise Application Governance del Politecnico di Milano. “E pensiamo ad Alibaba, un immenso marketplace planetario che non produce scorte, perché le lascia nei magazzini delle aziende che vendono i propri prodotti attraverso di esso. Sono solo alcuni esempi delle startup che stanno avendo effetti disruptive in settori sempre più diversi”. E questo anche grazie al loro continuo aumento e alla loro crescente capitalizzazione. “Nel gennaio 2014 – ha fatto notare Ficagna – nel mondo si contavano 45 start up con una dotazione di capitali dal miliardo ai dieci miliardi di dollari. Nel febbraio 2016 risultano più che triplicate: ne sono state censite 146 con capitali superiori al miliardo di dollari. La sola Uber capitalizzava oltre 51 miliardi. Una forza di questo tipo consente a un’azienda come questa di decidere di muoversi in nuovi mercati, nel caso specifico, per esempio, quello delle consegne a domicilio espresso”.
Perché queste start up riescono a creare così velocemente nuovi modelli di business? Come possono gli “incumbent” cercare di acquisire la loro stessa agilità”?
Le motherboard di Google
La risposta alla prima domanda è che gli “outsider” hanno iniziato a muoversi da protagonisti in una economia sempre più basata sulle “application”. Allo stesso tempo si sono da subito dotate di infrastrutture hardware in grado di supportare i loro nuovi modelli di business application-based dalla crescita imprevedibile e da modificare rapidamente. Il paradigma, in realtà, non è nemmeno così nuovo. “Pensiamo a quando è nata Google – ha detto Ficagna -. All’inizio l’idea dei fondatori era fornire un motore di ricerca in grado di indicizzare le risorse di un web sempre più in espansione. Invece di creare un data center tradizionale, hanno acquistato tante motherboard consumer e standard e sviluppato una software in grado di gestire un’infrastruttura di questo tipo, in grado di crescere semplicemente aggiungendo un blocchetto alla volta”. Risolto il problema dell’infrastruttura, un’azienda come Google ha potuto evolversi quindi, dal punto di vista business, adottando un approccio veloce allo sviluppo di nuove applicazioni e algoritmi. “È un po’ quello che si sta cercando di fare in tutte le aziende oggi”, ha proseguito l’analista. “Dove le Lob chiedono all’It di essere più veloce nel supportare a livello applicativo e infrastrutturale le nuove idee di business che devono essere introdotte. Una tendenza che pone l’It di fronte alla sfida di essere più agile e flessibile ma allo stesso tempo tenere conto di problemi quali il contenimento dei costi, l’affidabilità, la sicurezza e le compliance”.
Dall’Agile Development ai sistemi iperconvergenti
“Il modello tradizionale di sviluppo a ‘waterfall’ – ha affermato Ficagna – è ormai diventato troppo lento e a silos. Occorre abbattere i muri fra business, sviluppatori ed esperti di operation e procedere con cicli più brevi e di analisi, sviluppo, testing e rilasci. Qui entra in gioco la metodologia DevOps, che vede i processi di sviluppo e operation non più come mondi isolati, che dialogano fra loro attraverso piccole feritoie, ma come un unico processo integrato”.
“La velocità con cui è ormai diventato necessario che interagiscano business, sviluppo e operation comporta dei rischi, quello che i processi di development e operation si ‘inchiodino’ – ha affermato, per esempio, Roberto Carnevale di Solvay, SAP Solution Manager Expert all’interno del team Qualità e Processi – motivo per il quale è necessario che vendor e system integrator ci forniscano strumenti che ci aiutino a gestire in modo integrato questi processi”. Secondo Ficagna non ci può essere DevOps senza strumenti di automazione e di security evoluta. Ed è qui che entrano in gioco, per esempio, le tecnologie integrate di Nutanix e di F5.
“Quello che rende produttive le aziende – ha esordito Alberto Filisetti, Country Manager Nutanix – non è la capacità di agire sulle caratteristiche hardware delle soluzioni, ma il software. Ciò che ha fatto la nostra azienda, sviluppando i suoi sistemi iperconvergenti, non è, da un certo punto di vista, qualcosa di stravolgente: è quello che ha fatto all’inizio Google con le motherboard – o che stanno facendo Amazon o Alibaba implementando il concetto di Software Defined Data Center – e che noi abbiamo integrato all’interno di singoli ‘pezzi di ferro’. Questa architettura consente di astrarre l’hardware e gestire tutto in modo software. È quello che noi chiamiamo Web-scale, la possibilità di aggiungere, togliere e gestire questi building block con la stessa facilità che caratterizza i servizi reperibili sulle cloud pubbliche”.
Una questione di mentalità
Il ruolo di F5 in questo contesto è, soprattutto, assicurare quella sicurezza che rischia di venire meno quando – con l’adozione dell’Agile Development, della metodologia DevOps e dell’utilizzo di diversi tipi di cloud o sistemi iperconvergenti – le applicazioni devono muoversi fra ambienti diversi. “La nostra tecnologia si security full proxy – ha spiegato Maurizio Desiderio, Country Manager di F5 Italia – si interpone con una latenza nulla o trascurabile fra gli utenti e le applicazioni. Correliamo fra loro le informazioni relative ai client, alle applicazioni, ai protocolli utilizzati, ai traffici. È come se inserissimo le applicazioni all’interno di ‘shell’ di sicurezza che continuano a proteggerle nel modo stabilito dai responsabili della security anche se si spostano fra macchine diverse, compresi i sistemi iperconvergenti e altre infrastrutture cloud”.
Automatizzare attività a basso valore aggiunto tradizionalmente svolte dagli esperti di server, storage, networking e sicurezza, consente ai responsabili delle operation di avere più tempo per lavorare gomito a gomito con gli sviluppatori e, insieme a questi, con i responsabili di business. In questo contesto si abbattono “muri” fra silos di competenze diverse e – come ha fatto notare Lorenzo Anzola, Corporate It Director di Mapei – “emerge la necessità di skill che fino a poco tempo fa non erano previsti. Risorse che al momento non è facile reperire sul mercato, motivo per cui dobbiamo formarcele in casa”.
In ultima analisi, gli strumenti tecnologici e le metodologie per sviluppare e gestire servizi It per competere con successo nell’era della digitalizzazione, ci sono e continuano a nascere a getto continuo. “Quello a cui – come ha sottolineato Antonio Polimeno, Head of Digital Channels Administration and Information Integration di Barclays Bank Italia – occorre imprimere un’accelerazione, è un cambiamento di ‘mindset’, di mentalità. Da parte sia dei tecnologi sia del business”.
Un’alleanza fra specialisti complementariPerché questa partnership tra F5 Networks, specialista nelle soluzioni per l’application delivery, la sicurezza e il cloud, e Nutanix, che opera nell’ambito delle tecnologie iperconvergenti? Grazie alle architetture di Nutanix, i responsabili delle operation possono spostare il focus della loro attività dalle incombenze legate al provisioning manuale di risorse di elaborazione, storage e networking, alla collaborazione con gli sviluppatori e i business. Sui sistemi Nutanix, disponibili in varie configurazioni, possono essere implementate tutte le soluzioni virtualizzabili con tutti i più importanti hypervisor. Al crescere delle esigenze, gli utenti possono aggiungere facilmente nuovi “building block”, con la sicurezza di dotarsi sempre di tecnologie allo stato dell’arte. L’architettura, di tipo Web-scale, inoltre, consente agli utenti di gestire l’infrastruttura con un browser, come avviene con i servizi cloud. Le soluzioni di F5 Networks implementate sui sistemi iperconvergenti Nutanix permettono di realizzare un’infrastruttura sicura per le applicazioni. Grazie all’approccio “full proxy”, i software F5 Networks si interpongono sempre fra gli utenti e gli applicativi. Le soluzioni analizzano i client e gli utenti dai quali provengono le richieste e i tipi di traffici che vengono generati. Le policy adottate per ciascuna applicazione restano in vigore anche se queste vengono spostate da un ambiente a un'altro, come se si trattasse di una “shell” protettiva. |