La Circolare n.63/2013 dell’Agenzia per l’Italia Digitale non trova il mercato italiano dei vendor, degli sviluppatori e dei fornitori di servizi intorno al software libero impreparato a soddisfare le necessità della Pa. La carenza di operatori nel settore open source non può essere portata come scusa per non dare piena applicazione alla nuova normativa. Un freno alla sua attuazione può provenire esclusivamente dalla pressione esercitata da portatori di interessi contrapposti al software libero o di riuso, o dall’incapacità di alcune amministrazioni di dotarsi di processi di controllo sugli acquisti software.
“Se un’azienda come la nostra – esordisce Gianni Anguilletti, Country Manager di Red Hat, uno dei più importanti fornitori di software open source e servizi collegati – riesce a fatturare un miliardo e mezzo di dollari vendendo software libero, un motivo ci sarà. Noi siamo diventati grandi proprio offrendo servizi per utilizzare l’open source negli ambiti It più mission-critical”.
Le soluzioni a sorgente aperto permettono all’utenza non solo di risparmiare sui costi di licenza, ma anche di beneficiare degli elevati livelli di innovazione, standardizzazione, scalabilità e sicurezza di queste tecnologie che derivano del modello di sviluppo collaborativo che sta alla loro base. “Se analizziamo le tecnologie attuali più interessanti – afferma Anguilletti – scopriamo che sono open source. Mi riferisco, per esempio, ad Hadoop per la gestione dei big data o OpenStack per la creazione e gestione di cloud privati e ibridi. I maggiori operatori cloud, come Google o Amazon, hanno creato e ingrandiscono a dismisura i loro data center utilizzando tecnologie open source”.
Per il Country Manager di Red Hat, la Circolare dell’Aid testimonia il riconoscimento della validità del software libero da parte della Pa. Dove, peraltro, oggi non mancano adozioni innovative e di alto livello, che aprono la strada ad altre implementazioni per lo sviluppo di servizi più efficienti, economici, aperti e integrati verso i cittadini.