Trasformazione applicativa: parola d’ordine, semplificazione

Andare verso semplicità ed efficacia nella trasformazione, migrazione e gestione delle applicazioni è un’esigenza sentita ormai da tutte le aziende. Ma il percorso non è poi così semplice; molte le realtà che hanno agito finora con progetti artigianali per rispondere a problematiche puntuali, anche perché fagocitate dai problemi legati alla manutenzione dei sistemi esistenti. Cresce però l’esigenza, e la consapevolezza, di un approccio disciplinare supportato da tecnologie che consentano di analizzare automaticamente il DNA delle applicazioni per ridurre i rischi e velocizzare i processi di trasformazione

Pubblicato il 05 Lug 2012

Le applicazioni aziendali sono uno degli strumenti più strategici e complessi a supporto del business. La loro complessità è legata al formato (fisico o virtuale), al modello di delivery adottato (centralizzato o distribuito), ai differenti sistemi operativi su cui poggiano, alla tipologia di virtualizzazione adottata e al tipo di utilizzo che ne fa l’utente aziendale. Senza contare inoltre le criticità legate alla crescita o all’evoluzione nel tempo del parco applicativo installato o alle sue molteplici correlazioni e interazioni con altri sistemi It, anch’essi inevitabilmente soggetti a cambiamenti periodici. Come allora gestire nel tempo e in modo ottimale la migrazione di applicazioni da un ambiente ad un altro, da un sistema operativo ad uno più innovativo e avanzato, oppure quando si intende definire una strategia evolutiva dei sistemi informativi in virtù di un più rapido time-to-market e di servizi It più efficaci? Se ne è discusso nel corso di un recente Executive Dinner che ZeroUno ha organizzato in collaborazione con Citrix e Ibm dal quale sono emerse alcune interessanti riflessioni in tema di trasformazione/migrazione/gestione applicativa. Ambito che vede oggi le aziende impegnate nella definizione di una strategia e un modello di governance applicativa che potrebbero trovare un valido supporto tecnologico grazie a strumenti volti a valutare le performance delle applicazioni esistenti e analizzarne il funzionamento, la qualità e la redditività in eventuali integrazioni, evoluzioni e migrazioni future (senza perdere di vista il valore, in termini di riduzione di rischio, di tempo e di costo che un processo di migrazione applicativa corretto genera per l’azienda).

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Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno

“Vediamo tutti una fase di forte trasformazione, senz’altro dei Dipartimenti It ma la cui provenienza è legata al cambiamento dei modelli competitivi delle aziende sul mercato – esordisce Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno aprendo il tavolo di lavoro -. L’economia è difficile, la competizione complessa. All’interno di questo contesto stanno affermandosi, per altro con una certa velocità, nuovi modelli di fruizione tecnologica ed applicativa con i quali i Sistemi Informativi devono necessariamente ‘fare i conti’ impostando revisioni organizzative e di processo, nonché infrastrutturali e tecnologiche (si pensi, ad esempio, all’It consumerization, alla fruizione di soluzioni secondo logiche on demand o as a service, al paradigma del cloud computing, alla mobility, ecc.)”.

Riccardo Zanchi, partner Netconsulting

Una trasformazione, questa, che i Cio, nei primi 5 punti della loro agenda, affrontano indicando priorità specifiche di intervento legate all’ambito applicativo: “Dalla nostra Cio Survey 2012 emerge una forte focalizzazione dei Dipartimenti It proprio sul mondo applicativo – illustra Riccardo Zanchi, partner di NetConsulting – con focus su: core business application; reporting & Business intelligence; enterprise application (Erp, Crm, Scm, Hrm, ecc.); applicazioni mobili; consolidamento e razionalizzazione del parco applicativo”.

“Le aziende sono consapevoli dei benefici e delle possibilità introdotte dall’adozione di processi di modernizzazione e trasformazione del parco applicativo – spiega Uberti Foppa riportando i dati di una recente web survey condotta da ZeroUno su un campione di 45 grandi aziende italiane -, tuttavia sono presenti molti fattori che stanno rallentando questo percorso, primo tra tutti la mancanza di budget dedicati ma non va scordato, come punto di debolezza importante, l’assenza di un piano di revisione architetturale/applicativa nel medio periodo.

“A questo elemento si associa, in particolare nelle grandi aziende, la presenza di numerosi strati di soluzioni custom che rendono difficoltoso il percorso verso la standardizzazione dei processi relativi al ciclo di vita delle applicazioni”, aggiunge Zanchi. “Di fatto oltre il 50% delle aziende ritiene il proprio parco applicativo non adeguato alle nuove esigenze di business e vede nell’application transformation una via per aumentare le performance e i livelli di servizio erogati al business, accrescere la soddisfazione e la produttività degli utenti, ridurre i costi di gestione e mantenimento”.

Soprattutto ora che ci si trova davanti ad alcune importanti sfide quali la migrazione a Windows 7, il numero delle applicazioni web crescente anche per supportare processi mission critical, le difficoltà di integrazione/interoperabilità tra sistemi operativi differenti, browser e linguaggi di programmazione diversi o dovuti all’utilizzo di distinti device.

Matteo Bertolucci, application manager di Italcementi

“Nel nostro caso abbiamo identificato nelle applicazioni una chiave di svolta per la trasformazione del business – riflette Matteo Bertolucci, application manager di Italcementi – cosa abbastanza atipica dato che il settore del cemento è stato per anni molto statico. Oggi il nostro business sta cambiando, spostandosi quasi su modelli che potrei assimilare a quelli della grande distribuzione. Motivo per cui abbiamo introdotto, per esempio, un sistema Crm centralizzato e colto l’occasione per razionalizzare, attraverso un intervento di consolidamento anche architetturale, le oltre 1000 applicazioni che avevamo (tra Italia e Francia) portandole a poco più di 400. Certo, è stato necessario uno sforzo di analisi e assessment senza i quali non è possibile fare alcun ragionamento di trasformazione. Devo sottolineare che questi primi passi sono serviti a creare quel clima di fiducia tra It e business indispensabile per riuscire ad evolvere da entrambi i fronti”.

Il DNA per la migrazione, la remediation e la gestione applicativa

Massimiliano Grassi, marketing manager di Citrix Italia

“Le sfide applicative sono cambiate nel corso degli ultimi anni – spiega Massimiliano Grassi, marketing manager di Citrix Italia – a causa dell’evoluzione del portafoglio applicativo, da un lato, e del loro modello di erogazione/fruizione (applicazioni web, virtualizzazione/cloud, software as a service, mobile application, ecc.). Spesso ci troviamo di fronte aziende che ci chiedono: da dove inizio un progetto di virtualizzazione o di migrazione a Windows 7? Come posso sapere in anticipo difficoltà e le tempistiche di migrazione? Come posso eliminare il rischio introducendo le applicazioni in nuovi ambienti? Le mie applicazioni sono pronte o adatte per essere virtualizzate? Come riesco ad erogare applicazioni in scenari misti (VDI, client Windows, server based computing)? Come posso accelerare il deploy di applicazioni o di desktop virtuali? Come faccio a conoscere proattivamente l’impatto dei cambiamenti nelle mie applicazioni?”.

Kurt Heusner, vice president Citrix AppDNA Sales and Services

Risposte alle quali Citrix e Ibm rispondono con tool tecnologici (in particolare AppDNA di Citrix – ndr) specifici per l'analisi e il monitoring delle applicazioni installate nei sistemi It aziendali per valutarne le performance esistenti e, soprattutto, per usufruire di stime previsionali circa il funzionamento, la qualità e la reddittività di eventuali integrazioni/migrazioni/trasformazioni future. ”Ciò che consente di avere oggi la tecnologia – spiega Kurt Heusner, vice president Citrix AppDNA Sales and Services – è una base di conoscenza reale sulla quale definire una propria specifica roadmap evolutiva. In modo semplice, automatizzato e immediato, il tool estrae dalle applicazioni, qualunque esse siano, anche verticali e customizzate, il loro DNA, lo analizza e definisce una matrice all’interno della quale è immediatamente possibile capire quali operazioni sono possibili, in termini di migrazione, virtualizzazione, ecc., quali necessitano di interventi preparatori o che presentano rischi e conseguenze sulle quali è necessario riporre la massima attenzione (remediation) e quali, invece, non sono nemmeno attuabili”.

Martino Bedani, It architect di Ibm

Dopodiché starà al team It, possibilmente insieme al business, definire il proprio percorso nei tempi e nei modi più consoni alle proprie necessità. Un concetto, questo, più volte ribadito nel corso della tavola rotonda anche da Martino Bedani, It architect di Ibm, che ha sottolineato “l’importanza di una metodologia, ossia di un approccio disciplinare, onde evitare di ritrovarsi, come già successo a moltissime aziende, con un portafoglio applicativo troppo vasto sul quale non si riesce ad avere il controllo e che richiede eccessive risorse per la sua mantenibilità”.

Dall’approccio artigianale alla ‘disciplina’

Fabrizio Albini, It manager di The Walt Disney Company Italia

L’esigenza del passaggio da un approccio artigianale alla gestione del parco applicativo ad una ‘disciplina professionale’, soprattutto in virtù di una più agile erogazione dei servizi applicativi agli utenti di business, è sentita oggi da molte aziende. Lo testimonia, per esempio, Fabrizio Albini, It manager di The Walt Disney Company Italia. “La nostra è una multinazionale supportata da centinaia di applicazioni ma il loro governo viene gestito centralmente – osserva Albini -. A livello nazionale abbiamo poche decine di applicazioni che abbiamo sviluppato e manteniamo, in modo abbastanza artigianale e, spesso, la loro trasformazione è guidata da esigenze puntuali piuttosto che da una strategia di lungo termine. Tuttavia, iniziamo senz’altro a sentire l’esigenza di un approccio più strutturato e sono convinto che strumenti e tool per l’analisi dettagliata delle applicazioni possano essere di enorme supporto”.

Fabio Grignani, Chief Operating Officer di Sia

Parla addirittura della necessità di mettere a punto un ‘piano regolatore’ Fabio Grignani, Chief Operating Officer di Sia: “Facendo un banale esercizio di grossolana suddivisione dell’It in due macro aree, quella infrastrutturale e quella applicativa, notiamo che questo secondo ambito, il più ‘nobile’ e sicuramente più vicino al business, quello su cui si costruisce il differenziale competitivo di un’azienda, è gestito in genere con processi e strumenti ‘casalinghi’ anziché seguire metodologie strutturate e processi industrializzati come ormai avviene, al contrario, per la parte infrastrutturale. Tale approccio, non consente di avere una visione di lungo termine; oggi ci troviamo a parlare di consolidamento delle applicazioni perché è mancato, alla base, un piano regolatore che ne consentisse un’evoluzione controllata e governata”.

Il difficile rapporto con i vendor

Consapevoli delle loro carenze interne e delle necessità di approcci più strutturati, i Cio trovano però l’occasione dell’Executive Dinner di ZeroUno per fare alcune riflessioni sui modelli propositivi di alcuni vendor. “In periodi economicamente più stabili e dove i budget disponibili erano sicuramente più cospicui – osserva un Cio presente al tavolo, – i vendor ne hanno approfittato per proporre soluzioni puntuali in risposta ad esigenze specifiche, anche perché questo consentiva di avere poi un rapporto duraturo grazie alla manutenzione dei sistemi e al supporto applicativo. Oggi la tendenza per fortuna sta cambiando ma, nel nostro caso, ci troviamo in un lock-in non facile da gestire e superare”.
“Alcuni vendor It non sono riusciti a cambiare approccio insistendo sulla vendita finalizzata a ‘fare cassa’, non accorgendosi di quelle che erano, invece, le nuove esigenze delle aziende – puntualizza Grignani -. Nel nostro caso situazioni di questo tipo sono state risolte dismettendo del tutto le tecnologie di questi vendor al nostro interno, optando per fornitori più lungimiranti e che avessero nelle loro intenzioni la fidelizzazione del cliente e non accumulare introiti e basta. E parlo di fidelizzazione, non di partnership, perché è chiaro a tutti che ognuno deve trarne un vantaggio”.

“Il momento di profonda trasformazione economica che costringe le aziende a rivedere i propri modelli di business interessa anche noi direttamente – risponde Bedani di Ibm -. Per un’azienda come la nostra che ha una vastissima offerta, riuscire a intercettare correttamente le esigenze delle aziende utenti significa anche rivedere costantemente i nostri modelli di go-to-market e i processi interni proprio per riuscire a ‘disegnare’ in modo efficace la proposta di tecnologie e servizi”.

“La nostra scelta – puntualizzano in conclusione Heusner e Grassi di Citrix – è stata quella di rendere standard e open le nostre soluzioni. Quello che vogliamo proporre con AppDNA è una via più efficace all’analisi applicativa in vista dell’evoluzione delle soluzioni; il percorso di trasformazione lo decide l’azienda utente che non è affatto vincolata ad affidarsi a noi”.

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