La trasformazione digitale del business è la sfida raccolta da un’azienda multinazionale italiana storica quale Amplifon. Un marchio prestigioso che detiene il 9% del mercato globale delle soluzioni per l’udito, ha un fatturato che nel 2016 ha superato il miliardo e cento milioni di euro, continua a crescere e opera con 12.600 dipendenti in 22 Paesi sparsi per tutti i cinque continenti. Un gruppo con un go-to-market multichannel che include – con un mix differente da nazione a nazione – punti vendita diretti, negozi affiliati, shop-in-shop e corner, e altre figure professionali esperte in ipoacusia (indebolimento dell’udito).
Who's Who
Oscar Petrucci
Fondata a Milano nel 1950, l’azienda ha superato i 65 anni. Ma li porta bene, anche perché la sua mission prevede un continuo aggiornamento scientifico e tecnologico, che in questi ultimi anni ha abbracciato anche la digitalizzazione del business.
Il fatto che la maggioranza dei clienti non sia nativa digitale, non ha impedito al management di Amplifon di condurre approfondite ricerche e di prendere atto che ormai una grandissima parte dei propri utenti utilizza smartphone e personal computer per navigare sul web, scambiare messaggi e compiere operazioni bancarie.
Un esempio di modello bimodale
La maggior parte degli elementi chiave dell’ultimo piano strategico triennale approvato dal board di Amplifon, come lo sviluppo del marketing multicanale, prevede l’introduzione o il potenziamento di progetti di digital innovation. Nessuno stravolgimento, però, dell’intero sistema IT aziendale e dell’organizzazione dei sistemi informativi. Dal punto di vista di quest’ultima, per esempio, la struttura rimane quella tipica di una multinazionale: una direzione IT corporate cui fanno riferimento, con una certa autonomia, direzioni IT a livello di country. Si è invece rafforzata la collaborazione day-by-day fra IT e business, sia per quanto riguarda i processi di manutenzione e aggiornamento dei sistemi legacy (centralizzati o di punto vendita), sia per quanto concerne i canali digitali. “Abbiamo adottato un modello a due velocità – racconta a ZeroUno Oscar Petrucci, Corporate It Business Applications Director – che prevede la volontà di mettere mano il meno possibile ai sistemi di backend o negozio, che funzionano bene, ma, al contrario, di muoverci in modo molto deciso ed agile sul piano della digitalizzazione. In quest’ottica, l’azienda ha optato per non nominare un Chief Digital Officer, ma di costituire team di marketing dedicati a realizzare progetti end-to-end, dal processo al design della user experience a quello del sito. In questi team sono presenti esperti di business, che si occupano della parte alta dei processi, e di IT, responsabili di quella ‘bassa’, cioè del sito. All’interno del team di sviluppo di un progetto c’è sempre uno sviluppatore”.
Disruption senza compromettere il business
Per supportare questo modello strategico “bimodale” era opportuno scegliere una nuova piattaforma IT abilitante: la scelta è caduta su onStage API Management di Econocom Bizmatica. “L’architettura dual speed che abbiamo deciso di implementare – continua Petrucci – prevede il disaccoppiamento del mondo fisico da quello digitale, nel quale possono verificarsi situazioni disruptive come, ad esempio, un improvviso picco di richieste di informazioni o di contatti che non sarebbe gestibile con i canali di comunicazione tradizionali”. I sistemi di punto vendita esistenti possono, quindi, continuare a supportare senza problemi le attività di routine quali i test dell’udito, i periodi di prova gratuiti degli apparecchi da parte degli utenti, la messa a punto personalizzata delle soluzioni, la preventivazione, la vendita e così via. Tutte le problematiche tipiche del mondo digitale, invece, possono essere gestite in un ambiente separato, connesso a quello preesistente attraverso una piattaforma di API management.
Sopra questo strato, che possiamo sintetizzare come API Layer, è implementato un Content Management System (Cms), unico a livello globale, nel quale le singole country possono trovare quello che serve per realizzare siti, iniziative di marketing e altri servizi in maniera autonoma, ma in sintonia con le policy corporate. Sotto l’API Layer, invece, ci sono le applicazioni legacy che gestiscono i processi tradizionali che non devono essere modificati in modo frequente. “Integrata con questa architettura – continua il Corporate IT Business Applications Director – abbiamo implementato un database centrale in caching, grazie al quale possiamo permettere ai canali digitali di leggere tutti i dati dei clienti [nuovi e potenziali, ndr] senza andarli a modificare”.
Time-to-market e zero downtime
Da un punto di vista dello sviluppo applicativo, l’architettura basata su onStage consente di realizzare in modo agile nuovi servizi e microservizi, ovvero building block simili a mattoncini di lego che sono sviluppati una volta in modo standard e sicuro e possono essere riutilizzati per costruire applicazioni diverse. Solo per fare qualche esempio, Petrucci cita funzionalità che permettono al canale di cercare informazioni sui clienti o di gestire le agende. Un altro esempio di servizio, lanciato online, è quello che permette ai potenziali clienti di effettuare un test “non professionale” dell’udito con il proprio Pc dotato di microfono, per poi decidere, in base ai risultati, se andare o meno a sottoporsi ad un controllo eseguito a livello professionale. “Oltre a garantire questa scalabilità orizzontale, che ci consente di ridurre il time-to-market – aggiunge Petrucci -, onStage offre anche strumenti ulteriori per la scalabilità verticale, come il monitoraggio dell’API Layer o il throttling, una funzionalità che ci permette di aumentare le risorse a disposizione di un’applicazione al variare del carico di lavoro, come può avvenire a fronte di un picco di richieste da parte della clientela”.
Dall’orecchio della possibilità di aiutare più persone a recuperare capacità uditive, Amplifon ci sente bene. Ma è un orecchio che non è affatto disposto ad ascoltare scuse che possano giustificare perdita di competitività.