Guardandosi alle spalle e attorno, gli USA procedono a passi decisi con la propria strategia su chip e semiconduttori. Da un lato, cercano di fare terra bruciata attorno alla Cina. Dall’altro, esplorano il futuro di questo settore richiamando alla co-partecipazione le “proprie” big tech e i propri cervelli.
C’è chi parla già di “chip war”, definendo così la crescente tensione USA-Cina, emersa con la crisi della supply chain, durante la pandemia. Prima o poi, anche il nostro Paese sarà probabilmente chiamato a schierarsi ma, prima ancora, a considerare cosa può significare davvero chip war. Tutti ne pagherebbero le spese, in primis chi produce poco, e non ha una vera strategia produttiva autonoma in tal ambito.
Verso semiconduttori co-progettati e sostenibili
Quella degli Stati Uniti si chiama Future of Semiconductors (FuSe) e supporta la ricerca sulla prossima generazione di semiconduttori. Lanciata dalla National Science Foundation (NSF), coinvolge in primis cervelli eccellenti e big tech, perché vi contribuiscano, sfoderando un approccio cooperativo e sostenibile. In cambio, 50 milioni di dollari, ma anche la partecipazione a un progetto nazionale di filiera che vuole far aumentare la produzione di chip sul territorio. Oggi la domanda è alta, ma solo per il 10% è coperta da dispositivi Made in USA.
L’obiettivo della NSF è di far cercare nuovi materiali, tecnologie e processi per sviluppare dispositivi utilizzabili, adottando un approccio olistico e di co-progettazione. Ciò significa coordinarsi e coinvolgere già “by design”, il maggior numero possibile di elementi della filiera che comprende materiali, dispositivi, circuiti, architetture, software e applicazioni.
Le partnership già costituite da NSF (con Intel, IBM, Samsung ed Ericsson), e quelle che arriveranno, avranno alla base anche l’imprescindibile tema della sostenibilità. Ogni progetto, sul nascere, sarà infatti monitorato anche dal punto di vista di prestazioni, riproducibilità, riciclabilità e impatto sull’ambiente.
Non è ancora chiaro se la mossa della Casa Bianca rientrerà nel budget del recente CHIPs Act, budget da 52 miliardi di dollari. Poco cambia, in effetti, ed è più importante il messaggio mandato alle big: serve una risposta corale e concreta, basta “personalismi”.
Con la stessa lungimiranza, il governo USA ha guardato anche alla forza lavoro a supporto del settore. Le partnership da 10 milioni di dollari, con Intel e Micron, e il memorandum d’intesa, con la Semiconductor Research Corporation (SRC), mirano, infatti, a sostenere opportunità di ricerca pratica per gli studenti universitari e ad aumentarne le competenze.
Dialoghi internazionali per isolare la Cina
Sebbene confidi in una svolta a breve, innescata dal FuSe, il governo USA non può ignorare lo scenario instabile che oggi caratterizza il settore dei semiconduttori. Consapevole delle ambizioni e delle performance della rivale Cina, i suoi sforzi si concentrano nell’isolarla. Nella pratica, vuole spezzare ogni sua supply chain legata al settore.
È in questa chiave geo-economica che vanno letti I recenti colloqui USA con Paesi Bassi e Giappone. Lo scopo era quello di indurli a introdurre restrizioni più severe, volte a frenare la capacità della Cina di produrre semiconduttori avanzati.
Ha mirato a questi Paesi perché entrambi produttori chiave di macchinari per la fotolitografia, utilizzati nella produzione di chip. Per i Paesi Bassi, inoltre, le restrizioni si potrebbero estendere anche su ASML, l’unico fornitore globale di macchine per la litografia a ultravioletti estremi (EUV). Anche se colpirebbero le apparecchiature meno avanzate per la litografia a ultravioletti profondi (DUV), essendo le EUV già bandite per la Cina, il colpo sarebbe duro, simbolicamente e strategicamente.
I due Paesi devono ancora confermare le restrizioni, probabile anche che le applichino senza effettuare annunci ufficiali. Qualche incertezza, nel frattempo, sarebbe emersa. Il pensiero di entrambi i governi, è corso subito all’eventuale impatto sull’economia nazionale che potrebbe conseguirne. Inoltre, nessuno dei due desidera che la propria scelta diventi “la goccia che fa traboccare il vaso” e inasprire ulteriormente la chip war, estendendola ad altri ambiti tecnologici. Preoccupazioni comprensibili, che presto anche il nostro Paese potrebbe dover affrontare. Non occupiamo un posto così importante sulla scacchiera globale dei semiconduttori ma, almeno come Paese UE, stiamo prendendo parte al gioco.