Attualità

Hybrid cloud, open source e managed services: ecco come competere con le Digital First company

Una nuova strategia “a strati” basata sulla recente release di Red Hat Enterprise Linux e che si spinge fino a un’automazione estesa e unificata. Nelle vesti di “trusted advisor”, è così che Red Hat si propone a chi vuole innovare puntando su un hybrid cloud potenziato dall’open source. Questa formula vale anche per l’Italia dove, per poter impattare realmente sul livello di competitività dell’ecosistema sia pubblico che privato, va però colmata la mancanza di competenze. Un “anello debole preoccupante” anche nella sfida del PNRR.

Pubblicato il 19 Lug 2022

Digital First company

Il motore dell’innovazione digitale gravita sempre più verso l’open source. L’82% dei leader IT predilige vendor che collaborano con questo mondo e l’80% è intenzionato a integrarne l’utilizzo nello sviluppo della propria offerta legata alle tecnologie emergenti. Tra le più gettonate nella community ce ne sono infatti di attualissime – come container, mobile, edge, kubernetes – affiancate dalle intramontabili AI/ML e big data analytics.

Il principale driver di questo repentino “innamoramento” per l’open source da parte delle aziende è l’estremo bisogno di fonti di innovazione al di fuori dal proprio perimetro. Ma non solo: sono sempre più numerosi i casi in cui l’obiettivo strategico è l’abilitazione dell’hybrid cloud.

A studiare e raccontare così a fondo “L’evoluzione dell’open source enterprise” è stata Red Hat, in un recente report dedicato a questo paradigma, che da 27 anni guida la sua strategia. Anche la nuova strategia presentata dall’azienda mantiene al centro la logica open source, ma innovandola, potenziandola e ampliando le modalità con cui convertirla in vantaggi concreti. Guardando al presente e al futuro, inevitabile è stato infatti adeguarla alle necessità di un mercato ritrovatosi in balia di troppe incertezze, quando si era invece illuso di dover “solo” gestire il post covid.

Open source per l’hybrid cloud: Red Hat protagonista con due cappelli

“La forza dei grandi numeri unita alla potenza dell’innovazione rendono l’open source un ingrediente vincente per l’ecosistema imprenditoriale. Si innesca un circolo virtuoso in cui le buone idee vengono notate, attirano massa critica e si trasformano in tecnologie per il mercato, grazie a interazioni con player dei più differenti settori” spiega Gianni Anguilletti, VP Med Region di Red Hat. Prima solo finanza, PA e Telco lo avevano notato, oggi anche settori più tradizionali come manufacturing, retail, trasporti e utilities.

Red Hat asseconda questa spinta all’innovazione aperta mettendo in campo novità per “permettere a ogni azienda di sfruttare al meglio le tecnologie open source in ambiti mission e business critical aumentando la propria competitività verso i digital first company”.

Nel suo approccio, l’azienda “veste due cappelli”, investendo in entrambi i casi decine di migliaia di risorse umane interne. Con quello infrastrutturale partecipa ai lavori della community che sviluppa e ottimizza innovazione. Con quello ingegneristico, invece, integra le nuove tecnologie con funzionalità aggiuntive, ma soprattutto le stabilizza applicando stress test per garantirne l’efficiente funzionamento.

“Come mai in precedenza stiamo investendo in tre specifiche aree che riteniamo a maggior potenziale per alimentare scalabilità, velocità e sicurezza, elementi vitali oggi per sopravvivere in ogni tipologia di mercato” spiega Anguilletti. La prima area riguarda la realizzazione di framework per lo sviluppo di app moderne e cloud native, ma molti investimenti sono legati alle tecnologie per costruire architetture a supporto di un modello di cloud ibrido aperto.

Il principale obiettivo di Red Hat è infatti permettere a tutte le realtà di sfruttare al meglio le risorse di potenza computazionale a esso legate, facendo in modo che le applicazioni moderne possano essere eseguite su ogni dispositivo. La terza area prioritaria per la società è quella degli strumenti per la gestione dell’infrastruttura di hybrid cloud, per rendere le operazioni sempre più intelligenti assicurando la resilienza e sicurezza che il mercato esige.

Dalla nuova RHEL 9, innovazione a cascata su tutta l’offerta

Dietro a questo tridente di investimenti c’è una strategia “a strati”, disegnata “per supportare i mondi hybrid cloud disaccoppiando l’infrastruttura dalla parte operativa e introducendo servizi in modalità managed attraverso gli hyperscaler, per renderli direttamente erogabili dal loro marketplace” spiega Giorgio Galli, Senior Manager Solution Architecture di Red Hat.

La strategia ha le fondamenta nella nuova release di Red Hat Enterprise Linux (RHEL). La numero 9 è la prima lanciata dopo l’acquisizione da parte di IBM, ma soprattutto la prima basata su CentOS Stream, piattaforma di sviluppo Linux che permette alla community open source di contribuire allo sviluppo parallelamente al team Red Hat.

Accoppiando l’affidabilità della versione enterprise di Linux con i catalizzatori innovativi delle comunità open source, RHEL 9 estende i vantaggi e le opportunità anche all’edge. “È una distribuzione snella e funzionale non solo del sistema operativo, ma anche di molte funzionalità di gestione per automatizzare il maggior numero di operazioni e mantenere il footprint leggero. L’edge, infatti, non va visto come elemento a sé stante: deve assolutamente rientrare in ogni strategia di hybrid cloud” spiega Galli.

Da RHEL 9 si sprigionano una serie di novità tecnologiche che potenziano tutti gli altri strati, a partire da Openshift. Questa piattaforma as a service basata su container disaccoppia la parte infrastrutturale da quella operativa, permettendo di decidere dove rilasciare un’app anche dopo averla sviluppata. Per le aziende ciò significa poter valutare al momento, in base norme di sovranità digitale, costi, latenza e priorità interne, restando aperte e multi-cloud.

Per potenziare questo approccio, sono stati introdotti anche i managed services con cui demandare a hyperscaler e Red Hat l’installazione e la gestione di OpenShift, per focalizzarsi sullo sviluppo di applicazioni. Oggi queste devono essere quasi tassativamente cloud native: a supporto di chi le deve creare è stato previsto un layer ad hoc, sovrapposto alla piattaforma, con servizi cloud, anche in modalità managed services.

A completare la strategia c’è la rinnovata Ansible Automation Platform, che risponde a quel 70% di leader IT che è tornata a considerare l’automation un obiettivo irrinunciabile. “È un elemento strategico nell’evoluzione delle infrastrutture applicative. Non deve più essere a silos, però: noi puntiamo su un’unica tecnologia open source che indirizzi tutti gli scenari e i casi uso offrendo anche servizi per automatizzare aree cruciali come cloud network e security” precisa Galli, ricordando l’Ansible Innovation Center, recentemente lanciato assieme a Kyndryl per estendere i casi uso di automazione.

Grave skill shortage ma PA molto vivace: luci e ombre del mercato italiano

Il cloud ibrido al centro del presente e del futuro delle strategie Red Hat è anche l’elemento predominante in un mercato digitale italiano che nel 2023 promette una crescita del 4,3%. Il Country Manager Italia di Red Hat Rodolfo Falcone, individua come unico driver davvero significativo per il futuro dell’innovazione del Paese il PNRR.

Le tecnologie su cui esso investe sono quelle che Red Hat privilegia da tempi non sospetti ma “questa sfida si giocherà sulla forte mancanza di risorse umane a supporto dei progetti finanziati da questi fondi. L’assenza di figure specializzate in tecnologia e innovazione resta l’anello più debole e preoccupante della catena”.

Ne cerca anche Red Hat, per potenziare la propria presenza nelle vesti di “trusted advisor, ovvero di chi si siede al tavolo con le aziende per capire assieme a loro come fare innovazione” spiega Falcone. È il caso di BPER, che ha avviato un percorso di hybrid cloud consolidando i propri data center e semplificandone la topologia. Oppure di Intesa SanPaolo che ha puntato su RHEL per introdurre container e ambienti cloud, e spostare così app in modo randomico senza alcun impatto sul business.

E poi c’è INAIL, che ha chiesto a Red Hat di smaterializzare le proprie infrastrutture a favore di un approccio hybrid cloud basato sull’open source. Falcone “punta il dito” su questo ultimo caso cliente e lo fa perché è la dimostrazione di come “oggi la PA sia il vero unico motore di innovazione in Italia. Ultimamente ho visto progetti all’avanguardia nel pubblico, mai incontrati lavorando con i privati che stanno innovando solo a macchia di leopardo. La PA è molto vivace, abbiamo molti progetti in corso e un’interlocuzione intensa e concreta che fa pensare ne arrivino di nuovi, fortemente impattanti sul livello di innovazione dell’intero Paese”.

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