Un anno fa Forrester Research (www.forrester.com) ha pubblicato uno studio, elaborato su interviste in profondità svolte presso vendor It e aziende utenti, dal titolo: Analisi Forrester – IT Asset Management, ITIL, And The CMDB: Paving The Way For BSM. Questa analisi, che tratta del ruolo della gestione degli asset It, delle metodologie Itil (Information technology infrastructure library) e del Configuration management database nel percorso verso il Business service management, parte da tre assunti. Il primo è che sebbene i tre quarti del budget It sia assorbito dalla manutenzione e dalla fornitura dei servizi operazionali, le aziende tendono a trascurare l’allineamento al business di queste attività per concentrarsi quasi esclusivamente sui progetti applicativi, percepiti come gli unici capaci di creare valore. Il secondo punto è l’emergere dell’It come aggregatore di servizi, di fonte interna o in outsourcing, rivolti al business: da questa visione nascono i servizi erogati ‘a catalogo’ e in base a Sla con gli utenti (vedi figura). Infine, il paradigma del servizio end-to-end diventa una realtà e la funzione It deve individuare ciò che lega le applicazioni alle piattaforme tecnologiche in modo da controllare costi e qualità dei servizi offerti, abbandonando la visione per ‘silos’ applicativi e organizzando una struttura di Bsm.
Bsm e it asset management
Il primo passo verso il Bsm è la gestione degli asset It: se non si sa ciò che si ha in casa non si può fornire un servizio di qualità. L’asset management è il ‘collante’ che lega tutte le attività a supporto di un’infrastruttura It, quindi oltre ai dati su piattaforme e applicazioni deve includere anche costi e condizioni di servizio. Per gestire ambienti It sempre più complessi un sistema per la conoscenza e il controllo delle risorse è assolutamente necessario, ma lo strumento tecnologico è solo un terzo della soluzione, il resto è processo. Sulla gestione degli asset non esistono best-practice formalizzate, ma secondo Forrester le metodologie Itil permettono di costruire un modello per l’input e l’output dei dati tale da poter implementare un buon asset management e un configuration management database.
Le attività dove l’It asset management ha maggiore impatto sono cinque:
1) tracciatura del software, che evita inutili aggiornamenti e taglia i costi riallocando tra gli utenti licenze sottoutilizzate;
2) contratti di leasing, per controllare e rinegoziare i pagamenti in funzione di nuove configurazioni e, soprattutto, del continuo calare dei costi dell’hardware in rapporto alle prestazioni; molti contratti hanno clausole di rinnovo automatico che non aggiornando le condizioni rendono il leasing sino al 40% più costoso del dovuto rispetto ad un nuovo contratto per nuovo hardware;
3) tracciatura delle garanzie, per evitare interventi che invalidino la garanzia e per non includere nei contratti di manutenzione asset ancora garantiti dal fornitore;
4) interventi di help-desk, per inviare i dati dell’asset management all’help desk (un lavoro che si fa in batch una volta alla settimana) in modo che l’operatore conoscendo gli asset in uso presso l’utente possa meglio risolvere i problemi di primo intervento e possa usare tool di verifica dinamica dell’installato per quelli più complessi;
5) interventi di manutenzione, dove conoscere la situazione del singolo utente permette ai tecnici di ridurre i tempi del cosiddetto ‘ciclo Imac’ (install-move-add-change) e l’uso di tool di audit e reconciliation permette all’It di dimostrare il procedere dei progetti che, come quelli di upgrading, indirizzano gli utenti finali.
Molte imprese ricorrono all’Itil per le best-practices dei processi di erogazione e supporto dei servizi It. Bisogna però sapere che non tutti i processi Itil sono uguali. Secondo gli It manager di 19 grandi imprese che hanno implementato una strategia Itil, l’ordine di importanza dei processi mette decisamente al primo posto la gestione degli incidenti. Un sistema strutturato di risposta alle situazioni di crisi è quindi il miglior punto di partenza di una strategia Bsm. Seguono, in ordine decrescente, la gestione dei livelli di servizio, delle configurazioni, della disponibilità, dei cambiamenti e della continuità. Non tutti i servizi danno inoltre lo stesso Roi. Bisogna identificare i servizi Itil dove la gestione degli asset dà il maggior ritorno dell’investimento, rinunciando a implementare in un colpo solo un asset management applicato all’intero ciclo di vita delle risorse It ma mappandone l’applicazione a quei processi (gestione degli incidenti, della configurazione, delle release e così via) la cui integrazione con la gestione delle risorse può dare più vantaggio.
Bisogna ricordare infine che le best practices suggerite dall’Itil permettono un miglior controllo sull’erogazione dei servizi ma non vanno oltre. Non danno istruzioni operative né prescrivono come rapportare l’It ai mutamenti del business o all’estendersi dell’impresa. Per realizzare un Bsm che veramente allinei l’It al business bisogna tenere a mente che: l’approccio deve essere top-down e non viceversa: la funzione It deve, di concerto con il business, prima disegnare il giusto processo e solo poi lavorare su quello che occorre per poterlo eseguire, modellando le dipendenze che infrastruttura e applicazioni devono avere verso il processo di business; bisogna distinguere il Bsm dal Service level management (Slm): il primo vede la gestione di un servizio sotto gli aspetti del business (tipo il tempo di accredito degli incassi), il secondo sotto quelli dell’It (tipo la disponibilità dell’Erp).
La maggior dote che si chiede ad una soluzione di Bsm è quindi quella di comprendere il processo di business descritto (e la corretta descrizione è il maggior sforzo che deve fare l’azienda utente) in modo da poterlo mappare sui componenti dell’infrastruttura It.