Business collaboration: tecnologie per il cooperative working

Nell’attuale fase di sviluppo della collaboration troviamo nuove modalità e strumenti di comunicazione, gestione e accesso ai contenuti, alle informazioni e cooperazione che promettono il rapido miglioramento del time to market, un aumento della flessibilità, nonché di efficienza e riduzione dei costi. Ma il cambio di approccio e di visione, elemento imprescindibile, è anche molto complesso. Se ne è discusso nel corso di un recente Executive Dinner che ZeroUno ha organizzato a Milano con la partnership di Microsoft, cercando di identificare percorsi e scenari di un nuovo modo di lavorare e collaborare in azienda

Pubblicato il 27 Mag 2010

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Migliorare la collaborazione tra il personale, sia esso dislocato in varie zone del mondo sia interno all’organizzazione, avvalendosi di strumenti digitali e di applicazioni che sfruttano il Web è un’esigenza ormai primaria delle imprese. Personale che necessita di strumenti sempre più avanzati di analisi dei dati, collaborazione, comunicazione e gestione dei documenti, attraverso applicazioni, “friendly” e intuitive, accessibili da Pc, smartphone, vari dispositivi mobili o dal Web browser. E tutto questo per migliorare il time to market, aumentare la flessibilità, l’efficienza e ridurre i costi.
Durante un recente Executive Dinner organizzato da ZeroUno in collaborazione con Microsoft, abbiamo indagato percorsi e tendenze delle soluzioni collaborative a supporto del business di impresa cercando di capire opportunità e nuove frontiere della collaboration senza trascurare sfide e criticità, a partire dalla contrazione economica che ha decisamente rallentato gli investimenti It delle aziende di quasi tutto il mondo. “Crisi che non solo ha frenato i percorsi di innovazione aziendali ma che porterà con sé un nuovo modo di fare impresa (fase che Gartner chiama della “nuova normalità”)”, afferma Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno. “Dinamicità e cambiamento continuo impongono alle aziende una flessibilità di mutamento dei processi, del modus operandi e del business nel suo complesso. Flessibilità che deve raggiungere anche l’area dei sistemi informativi che dovrà sempre più rendere disponibile on demand gli strumenti e i servizi (elaborativi, applicativi, di BI, di collaboration, ecc.) necessari agli utenti, e predisporre architetture sottostanti in grado di supportare adeguatamente i cambiamenti dell’organizzazione”.
Mettere a disposizione degli utenti strumenti semplici da usare, resi disponibili tra i diversi intelligent workers, e servizi che seguono le esigenze dell’azienda significa pensare ad un nuovo modo di fare It, quello che Forrester identifica come “It Business Enabler”. E nell’accezione della business collaboration questo si traduce in un piano di supporto alla produttività e allo scambio informativo. “Per l’It i punti di riferimento diventano: conoscere le modalità (e i processi) operative e collaborative degli utenti delle business unit; supportare i flussi collaborativi degli intelligent workers con strumenti e servizi; abilitare e governare la collaboration”, precisa Uberti Foppa.

Collaborazione e produttività al centro
La collaborazione oggi assume un ruolo molto importante dal punto di vista business dato che incide in modo diretto sulla produttività degli utenti, in prima battuta, e poi dell’intera azienda. “Per l’It ragionare in termini di “nuova collaboration”, si diceva, ha un duplice risvolto: da un lato, l’It deve maggiormente focalizzare l’attenzione sui processi legati alla circolarità delle informazioni con interventi nell’ordine del presidio e dell’ottimizzazione di tali processi e della creazione di valore proprio attraverso l’approfondita conoscenza degli stessi – esplica Uberti Foppa -; dall’altro lato, l’It deve ragionare sulla produttività delle persone e quindi essere l’abilitatore di intelligent workplace attraverso la scelta e l’implementazione di strumenti e applicazioni quali: social network integrati nel disegno informativo aziendale; community platforms; e-mail-calendar-instant messaging; team document sharing; web conferencing o desktop videoconferencing; applicazioni di business intelligence/analytics, ecc.”.
Associa la collaborazione alla produttività anche Silvio Filippi, Business Productivity Advisor di Microsoft Italia. “È difficile parlare di produttività aziendale senza prendere in considerazione tutti gli elementi che la possono davvero sostenere – esordisce il manager di Microsoft -. E uno di questi elementi, a mio avviso il più importante, è proprio l’It. Microsoft vede la collaboration, oggi, come uno dei tasselli dell’It a sostegno della produttività aziendale, accanto ad altri elementi come la unified communication, la business intelligence, l’enterprise search, l’enterprise content management e il web”.
Tutti tasselli che possono anche essere presi in considerazione singolarmente, sia da un punto di vista tattico sia strategico, ma che solo uniti (attraverso piattaforme tecnologiche integrate) consentono di raggiungere livelli di efficienza e flessibilità aziendali fondamentali per la produttività. “Con un paragone un po’ azzardato posso dire che nel 2010 ci troviamo nella stessa situazione che si era verificata nell’epoca del pre-Erp quando esistevano tanti piccoli strumenti specifici per indirizzare le varie problematiche: distribuzione e fatturazione, contabilità generale, controllo finanziario, produzione e magazzino, gestione acquisti o vendite, ecc. L’avvento delle piattaforme integrate Erp ha portato con sé un profondo cambiamento all’interno delle organizzazioni, a partire dai processi di business. Cambiamenti che hanno poi incrementato notevolmente la produttività e l’efficienza delle aziende”.
Oggi la collaborazione, dal punto di vista tecnologico, può dunque essere intesa come un tassello di una piattaforma che, nel suo complesso, ha il “potere” di cambiare il business aziendale.
E per far comprendere in dettaglio cosa ciò significa, Filippi porta ai Cio presenti alla serata, un esempio di processo di ingegneria e marketing di prodotto. “Esiste oggi nelle organizzazioni un flusso di informazioni e dati sequenziale (il progetto viene sottoposto al cliente che con i suoi feedback impone modifiche e revisioni che dovranno poi essere nuovamente accettate, anche da eventuali fornitori e partner che ne sono coinvolti, oltre che dai vari responsabili), che allunga i tempi di progettazione, di modifica delle specifiche e correzione dei difetti e, in ultima analisi, allunga quello che si chiama time to market di un prodotto. Oggi che è cruciale avere il prodotto giusto al momento giusto nel posto giusto, questi ed altri processi aziendali devono necessariamente essere svolti in modo collaborativo e non sequenziale. Come? Portando all’interno di tali processi strumenti di collaborazione”, dice Filippi.
Portare la collaborazione all’interno di questo processo si traduce in:
– innovazione: lavorare insieme con esperienze diverse per creare nuove idee;
– ingegneria di prodotto: il coinvolgimento di fornitori e clienti nella progettazione aumenta la qualità;
– esecuzione dei processi: i processi collaborativi sono più veloci e con maggiore qualità;
– relazione con il cliente: disponibilità e prossimità verso il cliente creano relazioni durature;
– riduzione dei costi: del 34% nei cicli di progetto, del 35% nel numero di meeting, del 32% in viaggi (secondo stime Microsoft).

Un percorso sistematico
Siamo dunque in una nuova era della collaboration che però richiede un approccio sistematico al cambiamento. “Forrester parla di percorso POST dove gli elementi da prendere in considerazione sono: People, Objectives, Strategy e Technology”, osserva Uberti Foppa. “L’elemento People focalizza l’attenzione su: capire cosa usano gli utenti; identificare le esigenze dei diversi tipi di utenti (lavoratori mobili, utenti desk, ecc.); assessment non “a campione” ma esteso (quantitativo); creare un profilo di utenti e di utilizzo in ogni segmento di impresa. Accentuare l’attenzione sui cosiddetti Obiettivi significa: focalizzare i business goals; definire un gruppo cross funzionale It-Lob; prioritizzare gli obiettivi rispetto alla fattibilità e all’impatto. E ancora, dal punto di vista della Strategia, mappare gli obiettivi aziendali individuati in specifici scenari collaborativi e identificare quelli che sono gli scenari fattibili per l’azienda. L’aspetto puramente Tecnologico, anche se ultimo nell’ordine di elenco, non può certo essere sottovalutato dato che implica, prima di tutto, l’associazione dei differenti scenari collaborativi individuati alle tecnologie di collaboration più efficienti (in modalità on premise oppure cloud o miste), oltre alla necessaria attenzione su tutti gli aspetti di monitoraggio e controllo (misurare il livello di utilizzo e di soddisfazione)”.
Il tutto, come si diceva, in una logica che vede la collaboration come un tassello di una piattaforma globale orientata alla produttività dell’intera azienda.
“Ciò che serve è un vero e proprio cambio di approccio – interviene Filippi – che implica un cambio di facalizzazione: dalla produttività personale si passa alla visione d’insieme della produttività dell’intera azienda; dall’intervento per l’ottimizzazione di singole applicazioni verticali si passa alla costruzione di piattaforme e di suite di applicazioni integrate; dall’adozione dipartimentale, a quella a livello centrale. E per entrare nel dettaglio degli strumenti tecnologici, il percorso evolutivo richiede di passare, per esempio, dall’impiego di calendari individuali a quelli condivisi, dall’utilizzo del telefono e dell’e-mail per comunicare a strumenti più veloci come l’instant messaging, la chat, il telefono da Pc, la voice mail, ecc.”. Tutto ciò si traduce in un cambio di visione: dai concetti di gestione documentale a strategie di gestione e controllo dell’intero ciclo di vita delle informazioni.

Le difficoltà non mancano
“L’approccio al cambiamento è l’aspetto più importante per la riuscita di un percorso di adozione delle tecnologie di collaboration – interviene Luca Bertoletti, project manager di Ghirlanda -. In molte realtà credo ci sia da parte degli utenti la tendenza a “tenere per sé le informazioni”; per cui posso dotarli di tutti gli strumenti innovativi senza ottenere alcun risultato sulla produttività aziendale. Il cambio di mentalità è di primaria importanza”.
Dello stesso parere Claudio Tancini, responsabile It Operations del gruppo Global Function Leads G-Ito di Zurich Insurance, secondo il quale “il change management è l’unico modo affinché progetti di questo tipo possano avere successo”. “Secondo me la collaboration oggi si articola su tre differenti direttrici: collaboration interna, a livello enterprise ed esterna, tra azienda e i partner/fornitori oppure tra azienda e clienti – osserva Tancini -. Ciascuna di queste aree va analizzata e approcciata in modo differente non solo dal punto di vista strategico; anche gli strumenti cambiano e alcuni sono più efficaci di altri a seconda del contesto in cui vengono inseriti e del’uso che se ne vuole fare. Ci sono modi diversi di fare collaboration, ma per ogni area, l’esito positivo del progetto dipende dalla capacità di gestione del cambiamento”.
“Esiste un blocco culturale che viene da più direzioni – afferma Maria Paola Pezzuto, analista It BI Technologies di una media azienda tessile italiana -. Dobbiamo anche tenere presente, ad esempio, l’età media del top e del middle management che se non crede nell’efficacia di soluzioni che non conosce e con le quali non ha la giusta “confidenza” non fornisce il commitment necessario a dare il via a questi progetti. Non solo: la crisi economica ha accentuato un problema da non sottovalutare: la volontà dell’utente di collaborare per il bene dell’azienda. Davanti alle difficoltà economiche si fa fatica a “sentirsi parte dell’azienda” e quindi manca ancora di più la visione della produttività globale”.
“Sono d’accordo con il blocco culturale – aggiunge Michele Pittoni, direttore corporate organizzazione Ict di Isagro – che frena le iniziative It e aggiungo che spesso manca nell’utente la volontà di assumersi certe responsabilità; per esempio su chi ha modificato l’ultimo documento? Come? Quando?. Io stesso fatico a far decollare Sharepoint in azienda”.
È però vero che l’It deve anche farsi promotore del cambiamento e quindi guidare l’azienda e gli utenti, pur con tutte le difficoltà del caso.

Il ruolo dell’It… e degli utenti
“Nel nostro caso – porta ad esempio ai colleghi Andrea De Grandis, Cio dell’Istituto Europeo di Oncologia – il sistema collaborativo ha avuto un successo enorme tra gli utenti. Partendo dalla consapevolezza che il dipartimento It è quello che permette di avere gli strumenti per accedere alle informazioni e per creare il contenitore all’interno del quale farle circolare e che sono invece gli utenti i responsabili del contenuto, della conoscenza, abbiamo dato loro gli strumenti (senza per altro fare nemmeno una mappatura dei processi e delle relazioni di scambio). Il resto lo hanno fatto da soli, definendo le modalità di collaborazione e le procedure da seguire”.
Non sono tutte “rose e fiori” come l’esperienza positiva descritta da De Grandis, quanto mai rara, ma i successi dei progetti di collaborazione ci sono. “Utilizzare questi strumenti non è immediato e nemmeno facilissimo – asserisce Eugenio Capra, docente universitario del Politecnico di Milano -. È necessario prevedere una formazione specifica e soprattutto indirizzare correttamente gli utenti affinché possano trarre i vantaggi degli strumenti prima di tutto in modo diretto”.
Visione condivisa anche da Filippi che sottolinea come il suo parallelo con il mondo dell’Erp sia ancora più appropriato se visto nell’ottica del cambiamento: “Nessuno si è mai sognato di dare il via ad un progetto Erp senza un piano di change management che, oltre a identificare processi, relazioni ed effetti, focalizzasse l’attenzione anche sugli utenti, sul loro modo di lavorare e sulle specifiche esigenze”.
Il ruolo dell’It diventa poi pressoché fondamentale dal punto di vista del governo. “La qualità del dato e la congruenza dell’informazione fa ancora capo all’It – sostiene Sergio Errigo, responsabile sistemi informativi di Sint -. A mio avviso, poi, la tecnologia non è ancora così matura (soprattutto a livello di infrastrutture) e quindi l’It deve necessariamente fare “il direttore d’orchestra” perché è l’unico che può avere una visione d’insieme”. “E l’unico che ha ancora un vista completa e trasversale dei processi aziendali”, aggiunge Domenico Finucci, security manager di Fiditalia.
“Credo che la collaboration viva più di altre aree il difficile tema del bilanciamento: tecnology strategy contro demand management; approccio procedurale contro quello comportamentale degli utenti; controllo contro liberalizzazione; suite contro soluzioni singole – riflette Carlo Wolter, amministratore unico di Tecnimex -. L’It in questo difficile bilanciamento ha un ruolo di primaria importanza perché è l’unico che può prendere in considerazione tutti i singoli aspetti del progetto: dalla fattibilità alle conseguenze; dai costi agli effetti; dai processi alla produttività. Come in tutte le cose, le opportunità non mancano, ma vanno analizzate, insieme alla valutazione di tutti i possibili rischi, compresi gli elementi di un possibile insuccesso”.
“Sono d’accordo – dice Sergio Martina, consulente e fondatore di Martina Team -, bisogna valutare non solo l’efficienza ma anche l’efficacia. Ritengo che le tecnologie ci siano, a tutti i livelli, e che l’It abbia la capacità di orchestrare adeguatamente e correttamente questo tipo di progetti. Lo scambio di informazioni oggi ha raggiunto livelli di efficienza elevati ma questo non si traduce necessariamente in comunicazione (cioè in scambio di conoscenza e collaborazione). Perché ci sia comunicazione, è necessario che lo scambio di informazioni sia efficace oltre che efficiente e credo che, ancora una volta, sia l’It a doversene occupare, anche in virtù del suo nuovo ruolo di business enabler”.

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