La consapevolezza, da parte di chi si occupa di IT, di alcuni aspetti negativi del cloud ha portato al verificarsi sempre più frequente di misure di rimpatrio. Ciò ha significato riportare i workflow essenziali nelle mani dei data center.
A seconda della portata e delle dimensioni di questa migrazione, ci sono molti aspetti da tener d’occhio per garantire il successo e determinare quanto possa costare il rimpatrio nel cloud per una singola organizzazione.
Cosa sapere sui costi del rimpatrio nel cloud
I fattori che determinano i costi di rimpatrio nel cloud includono i seguenti:
- Trasferimento dei dati
- Sicurezza
- Requisiti hardware
- Personale disponibile
- Costi di archiviazione
- Tempi di inattività associati alla migrazione
Prima che i team IT diano inizio a qualsiasi tipo di migrazione, le organizzazioni devono però individuare i motivi per cui le tecnologie cloud non risultano utili. Secondo Randy Armknecht, amministratore delegato di Protiviti Inc, i costi e le competenze disponibili sono potenziali motivi per abbandonare il cloud.
Per quanto riguarda i costi, le aziende potrebbero aver optato per una migrazione “lift-and-shift”, senza tener presente che la piena efficienza dei costi nel cloud si ottiene spesso attraverso la riarchitettura dei sistemi legacy, non semplicemente spostandoli. “Inoltre, ci sono molte funzionalità aggiuntive e costi non previsti prima e che possono emergere in un secondo momento” precisa Armknecht.
Le competenze tecniche necessarie per operare in una configurazione cloud sono inoltre diverse da quelle di un data center on-premise. Il team dedicato potrebbe non aver ricevuto una formazione sufficiente, lasciando i responsabili in difficoltà con la gestione. Il gap di competenze, unito alla generale carenza di talenti per ricoprire i ruoli di ingegneri e architetti cloud, può rendere difficile assumere e mantenere queste figure all’interno di un’organizzazione.
“Può anche accadere che il passaggio al cloud sia mal concepito. Il 92% delle organizzazioni IT che hanno rimpatriato le applicazioni, le hanno trasferite originariamente senza alcuna riarchitettura o modifica. Il 68% delle organizzazioni ha inoltre ammesso che la decisione di passare al cloud è stata presa da un gruppo aziendale esterno all’IT” secondo Scott Sinclair, analista senior dell’Enterprise Strategy Group (ESG) di TechTarget.
Cosa significa costi di rimpatrio del cloud
“Da un punto di vista pratico, le aziende che rimpatriano i carichi di lavoro scelgono selettivamente quelli che hanno particolari esigenze in termini di prestazioni, tempi di attività, manutenzione o sicurezza. Oppure sono task che richiedono applicazioni personalizzate e assistenza in sede” spiega Hyoun Park, CEO e analista principale di Amalgam Insights.
Il ritorno all’infrastruttura on-premise o la creazione di un’infrastruttura on-premise non sono facili o necessariamente semplici. L’acquisto di hardware, il trasferimento dei dati, il backup e il ripristino, la sicurezza, la manutenzione e i tempi di inattività dell’infrastruttura, sono tra i principali fattori da considerare.
“Questo significa pensare ai costi di rete e di larghezza di banda, allo storage, ai processori, ai costi di archiviazione, a una strategia completa di gestione della sicurezza fisica e digitale e al costo umano della gestione e della manutenzione di queste tecnologie – ha detto Park – Il solo costo finanziario è raramente una ragione valida per il rimpatrio del cloud, a meno che l’azienda non possa ragionevolmente recuperare milioni di dollari di risparmi annuali in un periodo pluriennale”.
Nel calcolo finanziario, le aziende devono tenere conto anche dei costi di amministrazione tecnica, connettività, continuità operativa, sicurezza e sostituzione dell’hardware.
Come prepararsi a cambiare modello di business
La sfida del rimpatrio dal cloud non è tanto la migrazione iniziale, quanto la manutenzione continua, la governance e i rischi associati alla nuova infrastruttura.
Il costo più significativo del rimpatrio dal cloud consiste molto probabilmente nel tempo associato alla pianificazione del progetto. “Pesa molto anche il tempo aggiuntivo che potrebbe risultare necessario per scalare e supportare efficacemente i carichi di lavoro su base continuativa” sottolinea Park.
Le aziende che stanno valutando il rimpatrio dal cloud devono considerare quanto la gestione tecnica on-premise sia una competenza organizzativa fondamentale. Il management deve quindi considerare il valore del tempo personalmente speso per supportare queste risorse, piuttosto che per affrontare altri problemi IT.
Armknecht sottolinea che “i potenziali costi di rimpatrio nel cloud includono i costi di uscita dei dati per il loro trasferimento dal cloud al data center, che possono essere significativi. Poi ci sono anche i costi di acquisto di nuovo hardware, per supportare lo sprawl di macchine virtuali e container. Per questo, i team IT dovrebbero condurre un processo di razionalizzazione e selezionare i carichi di lavoro da riportare in sede”. Quelli che prevedono grandi costi di trasferimento dei dati sono buoni candidati a spostarsi in una sede on-premise più vicina, per evitare i costi legati alla larghezza di banda.
I responsabili devono anche rivedere e perfezionare i piani di disaster recovery (DR) e di business continuity per la nuova configurazione on-premises. Ci sono punti importanti da considerare durante la valutazione del DR, come ad esempio se l’organizzazione utilizzerà il cloud per eseguire il backup delle risorse on-premises e se lo spazio del data center si trova in una struttura di proprietà dell’azienda o altrove.
A seconda del piano di ammortamento dell’organizzazione, i responsabili IT possono e devono determinare in che modo il rimpatrio influisce sull’acquisizione di hardware e sui cicli di spesa IT.
Strumenti e tempistiche per il rimpatrio del cloud
“Una volta selezionati i carichi di lavoro da migrare verso l’infrastruttura on-premise, i team IT devono valutare tutti i potenziali strumenti di migrazione e le tempistiche del processo di rimpatrio nel cloud.
Sebbene il mercato delle infrastrutture IT abbia continuato a spingere le organizzazioni a spostarsi verso il cloud, gli strumenti di migrazione possono essere utilizzati anche per uscire dal cloud” spiega Armknecht.
“Abbiamo riscontrato un crescente interesse da parte dei clienti verso l’infrastruttura convergente. Promette di fornire un livello di incapsulamento al di sopra del data center e dei provider di servizi cloud, in modo che i carichi di lavoro possano spostarsi senza soluzione di continuità” prosegue.
Armknecht fa inoltre notare che ciascuno dei principali fornitori di servizi cloud ha rilasciato – e probabilmente continuerà a sviluppare – servizi che consentono di integrare l’elaborazione e lo storage on-premises con una console di gestione cloud. Le opzioni attuali includono Azure Arc, Azure Stack, AWS Outposts e Anthos di Google.
Le operazioni di rimpatrio tendono a essere non solo costose, ma anche dannose. Secondo Sinclair di ESG, i dati della società hanno mostrato che il 43% delle organizzazioni che hanno rimpatriato i carichi di lavoro in sede ha sostenuto costi legati ai tempi di inattività.
Ciò significa che la tempistica del rimpatrio del cloud è essenziale, soprattutto se i carichi di lavoro sono mission-critical o parte essenziale delle operazioni aziendali. La quantità di dati che i team IT devono spostare e l’infrastruttura che deve essere installata impattano sull’entità dei tempi di inattività e sulla capacità dell’organizzazione di sostenere tali costi.