Qualsiasi sia la soluzione che le aziende adotteranno nel next normal per gestire la loro forza lavoro, di full remote working o ibrida, Hewlett Packard Enterprise è pronta ad accompagnarne l’evoluzione. HPE Discover, dal 23 al 25 giugno, parlerà anche di questo. Sono diversi i segnali che fanno propendere a favore della permanenza di forme di collaborazione non più solo in presenza, come si può ricavare da vari studi, a cominciare da quelli svolti dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. I dati dell’Osservatorio trovano conferma anche a livello internazionale, come sottolinea Mauro Colombo, Technology and Innovation Director di HPE Italia, citando la survey di Gartner Reimagine HR condotta nel 2020 su un’ampia platea di lavoratori europei: “Il 78% degli intervistati – riporta Colombo – sostiene che vuole continuare a lavorare in modalità remota per una parte del tempo, mentre il 56% che intende farlo esclusivamente da remoto. Hewlett Packard Enterprise è convinta che si andrà verso l’hybrid working, cercando di prendere il meglio delle due modalità lavorative”. Perfino in un paese come l’Italia che è arrivato a varare un’apposita legge sul “lavoro agile” solo nel 2017, oggi le soluzioni di remote working vedono le aziende “nella fase di evoluzione, piuttosto che di adozione da zero, perché quella iniziale, anche in forma embrionale, è già avvenuta in maniera forzata nel 2020”.
VDI e disaster recovery as a Service, la proposta HPE
Questo indice di maggiore attenzione del tessuto economico e produttivo italiano nei confronti di modelli ibridi e non più ufficio-centrici lo si ricava dal tenore delle loro richieste a un vendor come HPE. “La prima richiesta – esemplifica Colombo – è che vogliono soluzioni di remote working che siano flessibili e disponibili in chiave pay per use. Soluzioni, quindi, che possano crescere o decrescere a seconda dell’andamento del business e che siano pagate in base al consumo, senza un immobilizzo di capitale”. GreeLake, la nuova generazione di offerta cloud di HPE va in questa direzione e, al suo interno, soprattutto il VDI (Virtual Desktop Infrastructure) as a Service e il disaster recovery as a Service. Anche la componente di backup as a Service per utente segue la stessa logica, ma si tratta di un servizio che godeva di maggiore diffusione già prima della pandemia. “L’aspetto differenziante del portfolio HPE – tiene a precisare Mauro Colombo – è che il nostro offering cloud è alla pari di un cloud service provider. Quindi non solo forniamo l’infrastruttura, ma anche le licenze per i software vengono pagate a consumo”. Probabilmente, la circostanza che fino a qualche anno fa infrastruttura e software fossero disaccoppiati nell’acquisto ha penalizzato anche la scelta dei VDI da parte delle aziende. Un problema che adesso HPE punta a superare con il suo modello as a Service onnicomprensivo.
I power user che hanno bisogno di lavorare everywhere
Il VDI proposto da HPE, inoltre, è caratterizzato da scalini di ingresso molto bassi, idonei a trovare una vasta platea di end user nel mercato italiano, perché parte da 20 postazioni utente. Va anche detto che gli utenti che si candidano a ottenere i maggiori benefici dal Virtual Desktop Infrastructure, e che già lo fanno, sono quelli che Colombo definisce “power user, cioè coloro che non usano solo la posta e la suite office, ma che utilizzano applicativi particolari o accedono a dati di estremo valore. Ad esempio, gli utenti delle divisioni di engineering di aziende manifatturiere, gli utenti CAD o che si occupano di design. Anzi, in questo ambito c’è una forte domanda di HDI (Hosted Desktop Infrastructure), che si può considerare il VDI per i power user, in cui la componente grafica è fondamentale”. Anche il mondo delle banche e delle assicurazioni manifesta uno spiccato interesse per le soluzioni VDI e HDI. “Ad esempio i trader sono dei power user, perché accedono a dati privilegiati e devono essere messi nelle condizioni di lavorare everywhere con la stessa velocità che possono avere nella sede centrale. Analogamente, il processo di remotizzazione sta riguardando il personale amministrativo sia dei gruppi bancari sia dei gruppi assicurativi, entrambi accomunati da un ciclo di adozione, e non di sperimentazione, molto accentuato”.
I settori che possono beneficiare del remote working
Sul versante del disaster recovery as a Service, HPE ha studiato una soluzione ad hoc per la media impresa italiana, una tipologia di organizzazione diversa, dal punto di vista dimensionale e non solo, rispetto alla media impresa americana o a quella tedesca. Un remote working che si rispetti non può infatti tralasciare di mettere in sicurezza il business dell’azienda. Non c’è un settore economico che si distingua più di altri per una maggiore vocazione a investire sia nel disaster recovery as a Service sia nel VDI as a Service. Certamente il manifatturiero, vista la posizione di leadership detenuta in Europa da quello italiano, potrebbe fare da traino. “Le più propense a fare investimenti sono le aziende già uscite dai contesti nazionali – chiarisce Colombo -, che hanno una percentuale di export pari al 30-40% del fatturato e che per questo hanno risentito un po’ meno del rallentamento dell’economia degli ultimi mesi. Il manifatturiero italiano è un settore molto ampio e trasversale, che va dalla meccanica pesante all’industria della ceramica, a tutto l’indotto dell’automotive fino al Pharma”. Un altro segmento con cui HPE sta collaborando è quello della sanità pubblica e privata italiana. Un importante gruppo sanitario, proprio durante il picco pandemico, ha completato il rollout di tecnologie VDI, facendo in modo che il personale di back office e amministrativo mantenesse l’operatività nell’ambito del provisioning, della logistica e di altre attività pur stando lontano dall’ufficio.
Soluzioni adatte a tutti, anche alla F1 Mercedes
Ogni organizzazione è differente, e così la modalità attraverso cui attingere alle soluzioni HPE che “possono essere fruite – sintetizza Mauro Colombo – o presso il data center del cliente o presso un colocator, un data center esterno. I plant produttivi, ad esempio, vogliono l’infrastruttura vicino, perché l’interazione fra IT e macchina di produzione deve essere a latenza ultra-bassa e, quindi, tutta la parte dell’edge computing resta tendenzialmente in azienda”. Le possibili forme dell’as a Service di HPE si prestano a qualsiasi sfida, come dimostra la soluzione “mobile” di engineering workstation virtualizzata messa a disposizione della scuderia Mercedes di Formula 1. Un po’ del successo di Lewis Hamilton, che sarà tra gli ospiti di HPE Discover, forse dipende anche da questo.