Cpm, una questione di trasparenza

Tecnologie, ma anche processi, metodologie e metriche: il governo delle performance dell’azienda coinvolge molteplici aspetti.
Come monitorare questa complessità pervasiva? Dal Cpm una risposta, purché sia considerato nella sua natura olistica e non con la focalizzazione su particolari tecnicismi

Pubblicato il 21 Nov 2005

"Conquering Complexity", domare la complessità è stato il filo rosso dello scorso simposio primaverile di Gartner. Un esempio di complessità “pervasiva” è senz’altro il governo strategico delle performance dell’azienda, con capacità di trasparenza che soddisfi clienti, azionisti, enti regolatori, dipendenti e partner. C’è una disciplina olistica per riuscirvi, che va sotto il nome di Corporate Performance Management (Cpm), e che, dal punto di vista informatico, è basata sul dispiegamento, a livello di corporate governance, di soluzioni di business intelligence ponendo, quindi, servizi data warehouse al centro della corporate governance. Ma Frank Buytendjik, il Research Vice President Gartner che ha presentato “Cpm, come costruire l’impresa di successo” ci tiene a chiarire, nell’intervista rilasciata in esclusiva a ZeroUno, che le tecnologie sono solo un lato del poligono Cpm, il quale coinvolge a 360 gradi anche processi, metodologie, metriche, per non parlare di prerequisiti organizzativi e di archetipi culturali da smuovere. Una complessità pervasiva, appunto, ma cruciale da monitorare e gestire, se dobbiamo credere a due previsioni di Gartner: “Le organizzazioni capaci di dispiegare soluzioni Cpm efficaci supereranno in performance di business la loro concorrenza di settore”; e il numero di aziende Global 2000 con soluzioni Cpm schizzerà da meno del 10% nel 2002 a oltre il 40% a fine 2006.

Obiettivi e indicatori di performance allineati fra cicli di management
(clicca sull’immagine per ingrandirla)


Fonte:Gartner

Perché il Cpm
Già con la transizione dall’era industriale all’era amministrativa (anni ‘70), ci ricorda Buytendjik, il flusso di informazione è diventato primario rispetto al flusso di beni e denaro e il focus della produttività aziendale si è spostato dai processi di fabbrica (colletti blu) a quelli amministrativi (colletti bianchi). Con il 2000, nell’era della conoscenza, la produttività si focalizza sui processi collaborativi. I colletti bianchi – scienziati o ingegneri, responsabili di business o di marketing, specialisti di vendita o di supporto – hanno in comune tre cose: lo status di “lavoratore della conoscenza”, il contributo di valore e … lo scarso supporto che ricevono dai cosiddetti processi collaborativi e dai sistemi abilitanti, che viene dal generalmente insoddisfacente controllo olistico aziendale sulla performance di questi ultimi. Ecco il bisogno di Cpm, con una vista globale della performance aziendale.
Sono in arrivo “suite applicative Cpm”, che promettono il monitoraggio e la gestione delle performance di business di un’organizzazione aziendale. Ma che da sole certo non bastano a “fornire la vista olistica, collegando i punti fra i vari livelli di informazione nei vari settori aziendali e gestendone il ciclo di vita”: nella metafora di Buytendjik quello che serve è piuttosto una “staffetta” (di investimenti) tra metodologie, metriche, processi e, alla fine, anche applicazioni Cpm. Perché un Cpm di valore per l’azienda deve garantire che i vari cicli di informazione nell’organizzazione producano feedback in termini di indicatori di performance, a fronte di specifici obiettivi; e deve assicurare l’allineamento fra cicli, in modo che indicatori di un ciclo interno diano un feedback fruibile anche da un ciclo esterno (vedi figura 1).
L’allineamento, e alla fine la trasparenza, risulta possibile solo rendendo accessibili servizi di applicazioni Cpm ai vari processi core, secondo metriche strategiche e tattiche, in linea con una metodologia di scelta aziendale. Questo significa certamente una grande complessità da governare, ma anche opportunità di vantaggio competitivo cruciale, in una prospettiva aziendale che tende al real time.
L’obiettivo del Cpm è proprio la trasparenza nel business, cioè la capacità di fornire un’”unica versione della verità”, a tutti gli stakeholder aziendali (dai clienti agli azionisti, dagli enti regolatori, ai dipendenti e ai partner). Incidentalmente: a enti regolatori si associa subito la parola Compliance, il cui impatto sul Cpm è così sintetizzato da Buytendjik: “La Compliance non è completamente risolta da un’azienda dotata di Cpm, ma un Cpm efficace è la chiave per conseguirne i benefici a costi contenuti”.

Una roadmap al Cpm
(clicca sull’immagine per ingrandirla)


Fonte:Gartner

Ingredienti e roadmap
Tra i processi da integrare in una strategia Cpm di un’organizzazione (che rifletta la “proposta di valore unica” dell’azienda), sono quelli del settore finanziario (logicamente il più coinvolto), varie aree chiave come la gestione della relazione con il cliente, quella del ciclo di vita del prodotto, della catena del valore e, naturalmente, del capitale umano fino a tutte le tematiche di pianificazione e budgeting.
Sulle metodologie, la ricetta di Buytendjik è di investigare quale sia la metodologia migliore e di investire di più nell’applicare la metodologia scelta. Le metodologie sul mercato sono tutte valide: la balanced scorecard (Bsc), il value-based management (Vbm) con formati Economic-value-add (Eva), l’activity-based control (Abc), il 6-sigma, l’European Foundation for Quality Management (Efqm), nonché loro possibili combinazioni ad hoc. La loro applicazione deve invece essere consistente (in ogni comparto aziendale) e coerente (non cambiare cavallo una volta scelto, per le metodologie vale il paradosso della patente: si impara davvero a guidare solo dopo averla conseguita, con la pratica).
Per le applicazioni Cpm (per esempio scorecard, forecasting e budgeting, consolidamento, modellizzazione e ottimizzazione, analisi di profittabilità, reporting statutario), il pericolo è di vedere solo il lato tecnico, cercando, per esempio, il nuovissimo strumento di budgeting, concentrandosi sul singolo elemento e perdendo di vista il collegamento tra punti. La Bi funge da strato di middleware, con i datamart dipartimentali e il data warehouse aziendale che forniscono alla suite Cpm funzionalità di Online Analytical Processing (Olap), Query, Reporting e Metadati: è la visione dell’Enterprise Business Integration intelligente, in cui anche il business a livello operativo sfrutta la Bi (vedi l’articolo “Il data warehouse al centro dell’impresa “agile”, pubblicato sul numero di giugno di ZeroUno). E Bi è, a sua volta, integrata con soluzioni Erp, Crm, Scm e altri sorgenti di metadati. Non sorprende dunque che i fornitori di suite Cpm siano o i vendor Erp (tipo Sap e Oracle), in genere forti nel settore merceologico ma non altrettanto nell’assiemare dati da sorgenti diverse e tipicamente messi da Gartner in posizione di challenger; o i vendor Bi (come Business Objects, Sas, Cognos, Hyperion), forti nei metadati, tipicamente visionari. Nessuno riesce, secondo Gartner a occupare per ora il quadrante dei leader.
Ma il lavoro più difficile è indubbiamente sulle metriche, sull’identificazione dei vari indicatori di performance e la loro corretta relazione gerarchica. Mentre per metriche operative si può immaginare di ricorrere a una certa standardizzazione (non ha senso una definizione aziendale di lunghezza di una coda in un call centre), le metriche strategiche sono specifiche per ogni singola azienda (due aziende dello stesso segmento, anche se sullo stesso cliente, possono richiedere una diversa metrica di performing in quanto perseguono obiettivi strategici diversi, basati, per esempio, su diverse competenze core o diversi livelli d’offerta); il sistema di metriche strategiche è dunque un riflesso dell’approccio di business, una specie di Dna aziendale.

Cpm e politica aziendale
Una possibile “roadmap al Cpm” viene suggerita in figura 2, con quattro livelli di obiettivi (efficienza, efficacia, capacità di leva, competitività) e il loro impatto, culturale, organizzativo e, nel tempo, sugli “ingredienti” Cpm.
Buytendjik raccomanda una scalata “graduale e politica” degli obiettivi. Graduale perché il focus si sposta al passo successivo solo dopo una consistente adozione del precedente nei vari silos aziendali. Politica perché, anche graduato, l’obiettivo di fondo – l’allineamento tra obiettivi e indicatori di performance a livello corporate (dunque tra cicli di management diversi) – incontra inesorabilmente il “conflitto d’interessi” del management intermedio, responsabile di tradurre la strategia in azione, un’azione che invariabilmente verrà percepita come un sacrificio con il quale il proprio potere locale viene immolato sull’altare della trasparenza corporate. C’è invece una non paradossale comune “motivazione alla trasparenza” tra senior management, che formula la strategia di trasparenza, e “base operativa”, sensibile all’armonia e all’equità più che alla competizione.

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