Per essere competitive oggi le aziende si pongono come obiettivo un allineamento sempre più stretto tra il proprio It e le esigenze delle line of business per ridurre il time to market. Le tecnologie per il data center promettono il raggiungimento di questo obiettivo, ma devono essere implementate secondo modalità e condizioni precise per permettere il raggiungimento dei benefici desiderati.
La virtualizzazione è un importante abilitatore tecnologico che ha dato il via a una fase di investimenti nell’ottica del consolidamento e della razionalizzazione: dopo un primo momento di euforia, però, in molte organizzazioni ci si trova ad affrontare oggi un momento di ‘stallo’. La velocità con cui si evolvono il business e le tecnologie rendono infatti rapidamente i data center inadeguati sotto diversi aspetti. È questo quanto emerge da una recente indagine commissionata da Fujitsu e Intel al Politecnico di Milano, che ha coinvolto circa 60 aziende italiane, i cui risultati hanno rappresentato la base di discussione di un Breakfast organizzato pochi giorni fa a Milano da ZeroUno in collaborazione con i due vendor It.
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“Il livello di adeguatezza delle infrastrutture Ict nelle aziende non risulta oggi essere sufficiente rispetto alle sfide cui è chiamato a dare supporto il dipartimento It – esordisce Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno -. Il problema non è solo la maintenance che ‘ruba’ il 70 o l’80% del tempo e delle risorse in un data center ma sono soprattutto i limiti di performance e governance a ‘frenare’ il motore dell’innovazione. Ecco perché ci si sta muovendo sempre più velocemente alla ricerca di nuovi modelli basati sulla semplificazione e la standardizzazione tecnologica a favore di processi più efficaci. In questa ricerca entra a gamba tesa il modello cloud, che trova nella virtualizzazione il primo efficace passo verso una maggior automazione dei processi ed una orchestrazione di servizi It che siano di valore rispetto ai piani del business”.
“Il datacenter tradizionale, al momento, presenta dei limiti – interviene Denis Nalon, Portfolio & Business Manager Marketing Department di Fujitsu Technology Solutions -: gli analisti sono concordi nel definire una serie di limiti che costituiscono alcune delle principali motivazioni di investimento in nuove infrastrutture. Analizzando solo alcuni dei dati emersi da diverse indagini, notiamo che oltre il 50% delle grandi imprese incontrerà problemi di spazio fisico nei propri data center entro il 2013; oltre il 50% dei data center esistenti non può ospitare i nuovi impianti ad alta densità a causa di limiti alla rete dati, di alimentazione elettrica o di condizionamento; oltre il 75% dei Cio prevede di avere problemi relativi alla capacità di storage dei propri sistemi entro i prossimi due anni; esiste, infine, una necessità di rivedere l’infrastruttura di comunicazione, cioè l’ambito del networking, affinché non diventi un collo di bottiglia (rielaborazione da fonti Gartner, Idc, Politecnico di Milano – ndr)”.
Molte imprese stanno oggi pagando lo scotto di una crescita non pianificata, con isole tecnologiche onerose da aggiornare, gestire, integrare e proteggere. Oltre a dovere affrontare i problemi di infrastruttura, un labirinto di sistemi poco ottimizzati e di componenti implementati in modo non organizzato, rende molto difficile per l’It rispondere ad una pressante richiesta di competitività dell’impresa. L’operatività dei data center è divenuta quindi un vero limite per i Ceo che cercano modi innovativi per supportare la crescita del business. La flessibilità necessaria a supportare le strategie aziendali viene comunemente ottenuta investendo in nuova capacità: questo porta ad un over-provisioning, sotto-utilizzo e ad una proliferazione di piattaforme disomogenee.
“Le risorse dell’It risultano spesso ‘bloccate’ nello sforzo di coordinare una molteplicità di piattaforme e di silos tecnologici disomogenei; i livelli di complessità tecnica e gestionale sono un ostacolo alla crescita – osserva Uberti Foppa -. Il maggiore limite che separa business ed It è il time-to-market. Ma in questo contesto osserviamo ormai da qualche anno una significativa spinta al cambiamento che dovrebbe però necessariamente passare anche dall’evoluzione delle infrastrutture come propulsione alla competitività del business”.
L’evoluzione delle infrastrutture dovrebbe, infatti, essere motivata da elementi quali la possibilità di dotarsi di tecniche e strumenti per la pianificazione della capacità, la necessità di allocazione dinamica delle risorse e di ottimizzazione delle infrastrutture ma anche l’accesso a competenze tecniche e la possibilità di traguardare rapidamente un aggiornamento a tecnologie allo stato dell’arte.
Virtualizzazione: vantaggi attesi sul piano organizzativo
Commentando i risultati dell’indagine, Nalon si sofferma sui dati che evidenziano gli elementi che rendono oggi maggiormente critica la gestione delle server farm o dei data center. “Le oltre 60 aziende intervistate evidenziano tre problematiche su tutte: una certa obsolescenza delle infrastrutture (44%); un patrimonio informativo frammentato e scarsamente o non integrato (39%), derivante da una crescita poco organica dell’It; la sempre maggiore necessità di competenze It interne (38%), derivanti dalla rapidità di evoluzione delle tecnologie e, a volte, da percorsi di formazione non sempre adeguati a supportare la sempre maggiore complessità delle tecnologie (considerato un ulteriore elemento critico per il 30% degli intervistati)”, commenta Nalon.
Andando ad esaminare le scelte di virtualizzazione, si nota come questa tecnologia sia stata adottata nel data center delle aziende del campione in larga misura, ma con velocità diverse: il 50% di queste ha adottato la virtualizzazione in più di metà dei progetti di data center; il 24% in una piccola parte del data center, l’11% realizzerà progetti nel breve-medio periodo, mentre solo il 15% del campione dichiara di non avere intenzione di implementarla. Al di là delle percentuali di adozione, ciò che è interessante sottolineare è che le principali ragioni che spingono all’adozione della virtualizzazione sono da cercare nella maggiore flessibilità ed agilità nell’uso e nei minori costi di amministrazione delle risorse It, effetti che si riflettono poi in maniera positiva anche sulla qualità e il livello di servizio erogato alle line of business.
Nel nostro caso la virtualizzazione è stata vista non tanto come evoluzione tecnologica (anche se questa, ovviamente, c’è stata) ma come cambio organizzativo – spiega per esempio Luca Del Bosco, Responsabile Sistemi Informativi del Collegio San Carlo di Milano -. Essendo una struttura educativa, abbiamo dovuto affrontare la criticità della mobilità accelerata con il fenomeno del Byod – Bring your own device – che ha enormemente impattato su questioni quali la standardizzazione e l’interoperabilità dei sistemi. La priorità, tuttavia, era ed è quella di dare un servizio efficace agli utenti; una priorità di business, quindi, che sul piano tecnologico ci ha ‘obbligato’ a liberarci dalle incombenze di gestione/governance tecnologica tradizionale, per svincolare le risorse e utilizzarle in modo più profittevole rispetto all’obiettivo di business. La virtualizzazione è stata la scelta tecnologica che però ci ha permesso di creare valore per il business”.
Dello stesso parere Martino Pellegrini, Direttore Operations, It e Organizzazione di Crédit Agricole Assicurazioni. “Anche nel nostro caso viviamo il fenomeno molto spinto del Byod che accentua alcune problematiche, per noi decisamente prioritarie, come la riservatezza del dato – riflette Pellegrini -. Parliamo di un fenomeno che certamente riduce alcuni livelli di complessità (la gestione e manutenzione dei device, per esempio) ma ne apre molti altri che un It non può sottovalutare. La virtualizzazione aiuta moltissimo in questo senso perché supporta l’organizzazione It ad essere più ‘snella’, anche nelle procedure, rispondendo quindi meglio alla dinamicità del contesto di business. Per farne percepire concretamente il valore, infatti, credo sia necessario ricorrere a degli indicatori di business, come abbiamo fatto al nostro interno, dimostrando al management che, grazie alle scelte tecnologiche e agli investimenti It effettuati, siamo nella classifica delle aziende Top 5 per capacità nella gestione dei costi”.
L’importanza della comprensione da parte del business è l’elemento che anche Roberto Contessa, Ict Manager di Fratelli Branca Distillerie, si sente di evidenziare: “Anche nel nostro caso la virtualizzazione, sia lato server sia sul piano dei client, ha generato benefici di natura organizzativa ma affinché questi siano percepiti di valore per il business e, quindi, facciano da ‘apripista’ per nuovi investimenti per andare, per esempio, verso il cloud compiuting, servono comprensione e appoggio del management aziendale che dev’essere consapevole dei possibili vantaggi ma anche disposto ad accettare rischi e ‘sacrifici’ connessi”.
Governance: deve rimanere in carico all’It interno!
“Le opportunità generate dalla virtualizzazione, prima, e dal cloud computing poi sono senza dubbio innumerevoli e, come abbiamo sentito dalle testimonianze delle aziende, aprono la strada verso un It decisamente più flessibile e in grado di rispondere meglio ai cambiamenti del contesto in cui opera la propria azienda e delle esigenze e degli obiettivi che si prefigge il business”, interviene Marco Soldi, Marketing Development Manager di Intel. “Attenzione però: per riuscire a beneficiare di vantaggi di questo tipo è fondamentale porre attenzione agli elementi di sicurezza e governance”.
Sono questi, per esempio, gli elementi di criticità cui ha dovuto porre attenzione Alessio Bibolotti, It Manager di Sirti. “Per riuscire a snellire le operation It e trovare nuove risorse per fare innovazione abbiamo scelto la strada dell’automazione dei processi abbracciando anche modelli di public cloud per i servizi ‘non strategici’, per i quali cioè ‘non vale la pena’ investire all’interno del data center togliendo alle persone l’incombenza della gestione del servizio – spiega Bibolotti -. Ma attenzione: se da un lato queste scelte ci aprono nuove strade verso una migliore capacità di proposta al business, dall’altro aumentano la complessità di governance con innegabili criticità legate all’interoperabilità dei sistemi. Benché i servizi esterni siano gestiti dai provider, il governo dei processi legati all’erogazione dei servizi è e deve rimanere in carico all’It interno”.
Anche Marco Cameroni, Ict Manager dell’Ospedale San Raffaele di Milano, porta l’attenzione all’importanza del modello di governance, ma accentua un altro elemento imprescindibile nei piani di trasformazione It, il change management. “Sul piano del data center è più facile giustificare i driver di cambiamento perché i ritorni degli investimenti in virtualizzazione o cloud sono quantificabili e tangibili – premette Cameroni -. Le difficoltà si hanno quando ‘entra in gioco’ la virtualizzazione client: sul piano della governance It porterebbe, nel nostro caso, degli enormi vantaggi in termini di flessibilità e agilità nella gestione e controllo dei client e di tutti i sistemi operativi e applicazioni erogati in modalità di servizio. Tuttavia, abbiamo ancora difficoltà a far percepire il valore di business di tale eventuale opzione, ecco perché diventa fondamentale il change management. La virtualizzazione client, infatti, impatta in modo diretto sugli utenti e questo richiede un modello e una gestione del cambiamento non banale su cui l’It deve investire moltissime risorse con conseguenze, quindi, anche di natura economica”.
“È tuttavia innegabile che sul piano della flessibilità e dell’agilità dell’It nel far fronte alle richieste del business questo ‘sforzo’ sarebbe più che giustificato”, aggiunge Cameroni.
La conclusione che traiamo dagli spunti offerti dai Cio è che sebbene sul fronte tecnologico consolidamento e virtualizzazione siano stati ampiamente adottati, sembrano ancora mancare meccanismi strutturati di governance che permettano di apprezzare i benefici e promuovere l’adozione massiva delle tecnologie per l’automazione integrata, anello evolutivo mancante verso forme di vero private cloud.
“La carenza di competenze rappresenta oggi uno dei principali punti di resistenza ed inibitore, ma è anche la sfida più importante che le aziende italiane dovranno cogliere”, commentano Nalon e Soldi. “In gioco non c’è solo l’It ma la capacità competitiva delle aziende cui offrono supporto”.