Oltre ad essere un tema di attualità, la cosiddetta crisi dei semiconduttori ha un forte impatto sull’economia globale e sulle iniziative di trasformazione digitale delle imprese, con particolari ricadute sulla produzione industriale.
Un recente studio di Deloitte evidenzia quanto la situazione fosse aspra a metà 2021. Il drastico aumento della domanda di chip ha dilatato esponenzialmente i tempi d’attesa, quantificati in un range tra le 20 e 52 settimane per certi tipi di semiconduttori. Evidenti le conseguenze, tra cui i ritardi nella consegna degli ordini e la chiusura di linee (non più) produttive.
Le cause del chip shortage e la (contestuale) crescita del mercato
Come siamo arrivati a questa situazione? Glenn O’Donnell, VP e direttore della ricerca di Forrester, spiega che, pur trattandosi di un semplice fenomeno di sbilanciamento tra domanda e offerta, le dinamiche del chip shortage sono state – e sono – certamente peculiari. Mentre i produttori di semiconduttori erano alle prese con la trasformazione digitale della produzione, la pandemia ha repentinamente abbattuto e poi aumentato a dismisura gli ordini di chip, causando uno choc non sostenibile.
Le aziende hanno iniziato ad acquistare dispositivi elettronici (laptop, smartphone, tablet) per sostenere il remote working, le persone hanno rivisto le loro reti domestiche e i provider IT hanno potenziato le infrastrutture per fronteggiare i picchi di domanda, col risultato di esacerbare uno shortage che, beninteso, esisteva anche prima della pandemia.
Tra le cause va citata anche la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. O’Donnell spiega che, in effetti, buona parte dei produttori di chip sono aziende americane (Intel, Qualcomm, Nvidia…) ed esistono specifiche sanzioni che impediscono l’acquisto di semiconduttori da parte di entità cinesi, che hanno risposto accumulandone le maggiori quantità possibili.
L’effetto ‘benefico’ del chip shortage è la crescita del mercato: secondo Deloitte, le vendite di semiconduttori sono aumentate del 25% nel 2021 e cresceranno di un ulteriore 10% durante l’anno in corso. Per dare un ordine di grandezza, nel 1990 il mercato era quantificato in 58 miliardi di dollari: nel 2022 varrà 606 miliardi.
Le previsioni riportate non tengono conto della guerra in Ucraina, capace di avere un impatto dirompente sul fronte produttivo. La produzione di semiconduttori impiega infatti gas neon e palladio: quasi la metà del primo proviene dalla Russia e dall’Ucraina, mentre un terzo del palladio è estratto da suolo russo. Al momento in cui si scrive, gli effetti sulla produzione di semiconduttori sono incerti.
L’impatto della crisi dei semiconduttori
La carenza di chip impatta ogni settore e azienda: “qualsiasi cosa con una spina o una batteria ha probabilmente un chip al suo interno”, ha affermato O’Donnell. Il mercato che ne ha risentito di più è quello automobilistico, laddove i lead time sono aumentati a dismisura per via dell’enorme dipendenza delle auto moderne dall’elettronica. Lungo tutto il 2021, le notizie di interruzione della produzione, di chiusure temporanee di stabilimenti e di riduzione dei volumi globali non hanno risparmiato quasi nessun grande brand.
Ma la crisi dei semiconduttori ha un impatto significativo su qualsiasi iniziativa di trasformazione digitale, in particolar modo nel manufacturing (di cui l’automotive fa parte), laddove si assiste a una forte accelerazione. Alcuni player hanno approfittato della riduzione della pressione produttiva (o addirittura delle chiusure delle linee) per accelerare il percorso verso la data-driven company: secondo Mordor Intelligence, infatti, il mercato delle soluzioni di Industria 4.0 crescerà con un CAGR del 19,48% fino al 2026.
Il rischio resta quello del circolo vizioso. Le aziende investono sempre di più in digitalizzazione e virtualizzazione delle linee produttive, ma la carenza sul versante dei semiconduttori ne impatta tutti gli abilitatori tecnologici, dall’IoT al Cloud. La domanda, inoltre, si sta concentrando sui chip prodotti con le tecniche più avanzate, come quelli dedicati al training degli algoritmi di machine learning (+50% di domanda nel prossimo futuro), laddove lo shortage si sente ancora di più.
Come affrontare il problema e le prospettive future
Alcune aziende, spiega Forrester, hanno pensato di affrontare il problema della computing capacity (centrale in ogni iniziativa di trasformazione digitale) migrando un numero sempre crescente di applicazioni e workload verso il cloud, cioè di fatto dirottando il problema della carenza dei semiconduttori verso il cloud provider e le sue economie di scala.
Il problema, però, si risolve con una visione più ampia e un piano strategico. Le linee di tendenza sono due:
- Creazione di nuovi impianti produttivi e revisione della distribuzione geografica
È la soluzione più ovvia, ma le aziende la devono valutare con attenzione perché storicamente ad ogni shortage è seguito un oversupply, con tanto di crollo dei profitti. In ogni caso, i 60 miliardi di dollari investiti nel 2021 dai tre principali produttori sono una chiara dimostrazione di intenti. Il problema, semmai, sono i tempi: a prescindere dagli investimenti, occorrono circa 2 anni per la costruzione e l’avviamento di una fabbrica di semiconduttori, e in più va rivista la strategia di distribuzione geografica della produzione, che al momento è concentrata a Taiwan e in Corea del Sud.
- Forte spinta verso la digitalizzazione degli impianti
Come anticipato, questa è una linea di tendenza che potrebbe permettere di superare (o quanto meno arginare) il chip shortage. In ambito produttivo, la digitalizzazione aumenta l’efficienza, la qualità e la produttività, permettendo di spingere ulteriormente le capacità degli impianti esistenti.
Non è un caso, e qui citiamo lo Smart Industry Readiness Index (SIRI) 2022 del World Economic Forum, che l’industria dei semiconduttori mostri un livello altissimo di maturità digitale. In altri termini, che sia molto più avanti rispetto alle altre industry nel percorso di trasformazione verso i paradigmi 4.0. C’entra sicuramente il fatto di essere un mercato fatto di grandi multinazionali, ma anche la necessità di accelerare la trasformazione per fronteggiare una domanda in crescita verticale. Secondo il SIRI, permane una certa variabilità tra le imprese (per esempio, l’industria dei medical equipment è molto più stabile), ma mediamente ci si posiziona su livelli molto elevati.
Infine, cosa aspettarci dal futuro? A fine 2021, Deloitte sostenne che il chip shortage sarebbe durato per tutto il 2022 (lead time nell’ordine delle 10-20 settimane), per poi assestarsi a inizio 2023. Resta da valutare, purtroppo, quali saranno gli effetti della guerra e i nuovi assetti che si verranno a creare.