C’è chi, per sostenibilità dei data center, intende quella ambientale, chi quella economica oppure umana. Nessuno ha torto né ragione, sono tutte manifestazioni in qualche modo di “apprensione” per un segmento dell’IT che è esploso e che, presumibilmente, continuerà a crescere. Dove “collezionare” in nostri dati, altrimenti?
Per essere realmente sostenibile, oggi un data center lo deve diventare in tre modi diversi. Realizzarli e gestirli, quindi, è una triplice sfida da affrontare sotto i riflettori di tutto il mondo, per lo meno di quello IT.
Le tre sostenibilità di un data center
A declinare il concetto di sostenibilità, adeguandolo all’attuale contesto, è Olivier Ribet, Executive Vice President EMEA di Dassault Systèmes. Il primo aspetto da affrontare (e il più raccontato)
è quello della sostenibilità “fisica”. In questa declinazione rientrano “i sistemi di raffreddamento, i vari collegamenti tra elementi, le operations e l’hardware. Tutto deve essere costruito e gestito da subito in quest’ottica e, allo stesso tempo, funzionare h24, supportando un ritmo crescente di innovazione crescente. Si tratta di sistemi complessi che interagiscono tra loro, una situazione che non ci è nuova” racconta Ribet, sottolineando come oggi tutto debba essere ottimizzato minimizzando i consumi energetici
e l’impatto dell’invecchiamento dell’hardware. Poi passa alla skill sustainability, un tema sempre più attuale, da cui i data center non sono esonerati. “Si susseguono generazioni di computer e chipset con ritmo serrato. Per poter gestire un data center è quindi necessario un reskilling continuo e mirato, per potersi garantire internamente un know how sempre lungimirante e in grado di abilitare il futuro” aggiunge Ribet. Quanto alla terza “faccia” della sostenibilità, si entra in campo finanziario. Con onesto pragmatismo ammette: “i costi di computer e infrastrutture oscillano senza sosta e un data center deve poter continuare a esistere, nonostante l’assenza di certezze”.
Outscale, una mossa in nome della sovranità europea
Il contesto geopolitico attuale non aiuta, ma non è solo per questo motivo che mancano certezze. Per lo meno dal mondo esterno. La reazione di Dassault Systèmes, già in tempi non sospetti, è stata quella di crearne all’interno, diventando il cloud provider di sé stesso, con data center propri.
“Abbiamo scelto di portare in questo campo la nostra visione olistica e le nostre competenze. Sia quelle tecnologiche, sia quelle di management, partendo dalla nostra esperienza in gestione di sistemi, ma anche in collaboration, simulation e formazione. Questa è la vera ragione per cui abbiamo scelto di entrare nel mercato dei data center. Sono dei veri e propri systems of systems, multiscale, multi-dominio e multi-country, con un grado di complessità elevato e che noi sappiamo già ben gestire”.
La decisione strategica, nel concreto, è stata quella di prendere ufficialmente il controllo di OutScale. Un modo per avere data center e cloud da offrire ai propri clienti, pronti ad assicurare performance competitive ma, soprattutto, sovranità europea.
“La tecnologia di Outscale ci è servita per sviluppare software, disegnandoli realmente cloud first. Possiamo inoltre assicurare ai clienti che i loro dati vengano gestiti in Europa. In questo campo non è scontato ma la sovranità digitale è e sarà sempre di più una priorità, anche per settori non severamente regolati” precisa Ribet. Con questa mossa, Dassault Systèmes ha scelto di mettersi in gioco e, allo stesso tempo, di “avvolgere” il cliente in un ambiente sicuro e “sovrano”.
Trasferimento di competenze, per salvarle dalla pensione
Quella della sovranità è una sfida in bilico tra presente e futuro, ma non l’unica. Secondo Ribet, infatti, oggi è fondamentale “occuparsi della trasmissione della proprietà intellettuale e della conoscenza. La generazione esistente deve poterle passare a quella che sta entrando ora nel mondo del lavoro. È cruciale farlo in questo momento, perché la maggior parte delle innovazioni in Europa sono state fatte da chi andrà in pensione nei prossimi dieci anni. Prima che accada, devono poter tramandare conoscenze tecnologiche ed esperienze di cui dobbiamo imparare a fare tesoro, per assicurare che le società sopravvivano. Oltre che di business continuity, si potrebbe parlare anche di skill continuity” afferma Ribet.
Da questo punto di vista, Dassault Systèmes sta investendo molto nelle università, portando le logiche e l’esperienza dei virtual twin. Una tecnologia che spinge alla collaborazione intra-generazionale e intra-team, un metodo data driven e “no file”.
La seconda mission in tema di competenze riguarda le aziende. Ribet la riporta in chiave europea, traendo spunto dalle missioni spaziali, come esempio di collaborazione costruttiva attorno a uno scopo chiaro e importante. “È urgente costruire una strategia di cooperazione multi-dominio, connettere diverse aziende e combattere la frammentazione, per distribuire il workload e condividere competenze. Non esiste solo la collaborazione politica o economica, serve anche una engineering collaboration per costruire un’Europa più competitiva ed efficace”.