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Data Center UE “calorosamente virtuosi” non solo al Nord

L’Europa vuole che più città utilizzino il riscaldamento di scarto dei data center ma ci sono tanti “ma”. Economici, “culturali” e tecnologici, oltre al timore degli operatori che il costo di questo cambiamento ricada tutto sul singolo settore

Pubblicato il 12 Mag 2023

data center e sostenibilità

Il calore di scarto dei data center è una delle fonti rinnovabili su cui l’Unione Europea sta puntando per rendere il settore net zero entro il 2023. Con una direttiva discussa e in discussione, la Germania si è quasi auto-candidata come Paese pilota, per saggiare la fattibilità dell’idea e identificare gli eventuali nodi da sciogliere.

L’iniziativa tedesca e il progetto europeo Grow Smarter

Già nell’ottobre 2022, nel suo Energieeffizienzgesetz, il governo tedesco aveva abbozzato un quadro giuridico inerente al calore in eccesso dei data center. Dal 2025 in poi, le nuove infrastrutture in costruzione dovranno riutilizzare il 10% del calore in eccesso. L’idea iniziale era di partire dal 30%, per poi passare al 40% per quelle operative dopo il gennaio 2027, ma si è ripiegato su un 20% a partire dal luglio 2028.

Percentuali comunque ambiziose che, sia alla Germania che all’Unione Europea, servono per identificare gli ostacoli, dal punto di vista tecnico, economico e culturale.

Per prima cosa, facendo qualche calcolo, la temperatura del calore di scarto di un data center medio non sarebbe abbastanza alta per essere utilizzata in una rete di sistemi di riscaldamento. Servirebbe una pompa di calore per amplificare la differenza. Ciò potrebbe portare a un maggior utilizzo di energia ma anche a una significativa riduzione delle emissioni complessive di carbonio.

Per alcuni resta un’opzione riservata ai Paesi dai climi più freddi, posti al di sopra del 54° parallelo nord. Prova a smentire tale convinzione “arrendevole”, il progetto Grow Smarter finanziato da Horizon 2020. Questa iniziativa spunta in un documento del marzo 2023 della Direzione generale per l’energia della Commissione europea e scompiglia le carte annunciando un’innovazione tecnica. Si tratta di un modello di pompa di calore in grado di produrre acqua calda a una temperatura di 85°C invece che a circa 68°C che sarebbe applicabile a qualsiasi città, a patto che abbia un un sistema di riscaldamento nelle vicinanze in cui il calore di scarto possa essere immesso.

La resistenza del settore e la resilienza dell’UE

Ipoteticamente superate le criticità tecniche, restano tutte le altre su cui il settore dei data center e, in generale, dell’energia, si stanno dividendo. Dal punto di vista di fattibilità economica, per esempio, Grow Smarter è vincolato dalla volontà del DSO (Distribution System Operator) di consentire e pagare l’immissione in rete da parte di terzi. Si tratterebbe di un imponente cambio di business model ma un suo consenso renderebbe l’idea scalabile. Basterebbe riuscire a bilanciare l’investimento in connessioni/tubi e il valore della produzione propria evitata, grazie al calore di scarto acquistato.

Restano diversi scogli costituiti da mindset resistenti all’idea di un cambiamento e da un settore che a tratti si sente “ingiustamente” preso troppo di mira dall’UE. Alcuni, per esempio, reputano la direttiva tedesca “limitante”: potrebbe spaziare anche in altri settori energivori. Ci sarebbe da lavorare anche sull’accettabilità da parte degli utenti che potrebbero guardare con sospetto l’iniziativa. Le mosse della Germania, in generale, dimostrano nei fatti che, per un vero cambiamento in ottica net zero, serve un’ampia cooperazione tra politici, gestori di data center, fornitori di energia, sviluppatori di progetti e Comuni.

Pur sapendo che anche le stagioni potrebbero creare problemi le fluttuazioni tra la domanda estiva e quella invernale di calore di scarto sarebbero complesse da gestire), l’Europa continua a voler scommettere anche sui data center. Comprensibile: secondo la Direzione Generale dell’Energia della Commissione Europea, il riscaldamento rappresenta il 50% della domanda di energia e il 70% è costituito da combustibili fossili.

Per ora, di ufficiale esistono gli obiettivi generali fissati dalla Commissione europea, nel 2018, che stabiliscono come l’UE debba raggiungere almeno il 32% di energia rinnovabile entro il 2030, con una “clausola per una possibile revisione al rialzo entro il 2023”, ora al vaglio del Consiglio e del Parlamento europeo, insieme al resto della legislazione che mira a realizzare l’European Green Deal.

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