I data center continuano a evolvere. Lo devono fare perché nel mirino dei vincoli ESG, per via dell’energia e delle emissioni di CO2, ma non solo. Come spinta, c’è anche la necessità di rispondere in modo sempre più efficiente alle richieste di settori particolarmente attenti alla sicurezza e alla sovranità dei dati. È proprio questo il caso di AWS e del governo degli Stati Uniti. Per rendere più semplice il dispiegamento in località remote di queste strutture, il primo ha offerto al secondo un Modular Data Center (MDC). Nulla di nuovo, tecnologicamente parlando, ma interessante e strategico è il comprendere tale scelta da parte delle agenzie del Dipartimento della Difesa (DoD).
Unità autonome, combinate, collegate
Il MDC di AWS si presenta come un’unità di data center modulare scalabile, distribuendo unità aggiuntive. Se ne può creare un cluster, col numero opportuno, ma ciascuna è racchiusa all’interno di un container. Il container – in questo caso inteso come contenitore da spedizione – rende il data center adatto per il trasporto via nave, ferrovia o camion, oppure per quello aereo, per esempio con mezzi cargo militari.
All’interno di ciascuno, possono essere ospitati rack di dispositivi di diverso tipo e scopo. Si può trattare di device progettati per spostare petabyte di dati da e verso AWS, o per elaborare i dati sull’edge (AWS Snow Family). Oppure di sistemi di infrastrutture gestite, per eseguire i servizi AWS presso la sede dell’utente (AWS Outposts).
In entrambi i casi si ha a che fare con un sistema autonomo, ma con delle importanti differenze. Nel primo, serve solo il collegamento all’alimentazione, nel secondo, invece, anche una connessione di rete, da realizzare sfruttando le comunicazioni satellitari.
Data center più semplici, per l’uso in luoghi remoti
Nell’offerta “in container” al Pentagono AWS non si è inventata nulla di nuovo, per lo meno a livello tecnologico. Ha saputo piuttosto individuare, indirizzare e combinare tecnologie già esistenti da anni. I data center modulari, infatti, sono nati tempo fa, come semplice metodo per creare rapidamente un’infrastruttura IT. I container standardizzati sono già stati usati da Schneider Electric, in un portafoglio revisionato ad hoc, lo scorso anno.
Ora, l’unione delle due idee in server farm modulari, rappresenta la risposta alle esigenze delle forze armate statunitensi. Ne risulta, infatti, proprio il data center che serve per supportare le loro applicazioni moderne, ad alta intensità di dati e bassa latenza. Inevitabilmente hanno queste caratteristiche e devono mantenerle, per poter gestire al meglio attività critiche come le comunicazioni e il coordinamento sul campo.
Il valore dei data center modulari autonomi sta nel rendere l’utente in grado di condividere e accedere ai dati in un luogo specifico. Una capacità sempre più essenziale per il successo di una delle missioni tipiche del Pentagono. Si spazia dalle operazioni militari a quelle in risposta alle crisi o per il coordinamento del trasporto critico di rifornimenti e truppe. L’esigenza del poter attingere ai dati, sapendoli in un luogo di cui si conoscono le coordinate, resta.
Tale vantaggio, si unisce alla possibilità di operare anche in ambienti con connessione assente, interrotta, intermittente o limitata, distribuendo infrastrutture di calcolo e di storage per supportare anche carichi di lavoro su larga scala.
Una volta esplorati e testati i benefici applicativi dei Modular Data Center con il Pentagono, l’idea dell’azienda è di innescare una vera e propria trasformazione dei data center. Sono da sempre pensati come infrastrutture fisse, estremamente complesse da costruire in ambienti remoti. Per non parlare delle difficoltà che la loro gestione comporta. Con la soluzione offerta al Pentagono, si passa a un data center completamente diverso. Le caratteristiche che lo rendevano una “zavorra” scompaiono. Ovunque sia collocato, la sua agilità permette di rispondere alle esigenze di calcolo e storage su larga scala. Del Pentagono, come di qualsiasi azienda il cui business “critico” lo richieda.