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Data center tropicali future-proof. E sul Mediterraneo?

Il governo di Singapore ha creato uno standard per ottimizzare queste strutture in condizioni di clima tropicale. Possono essere elementi ottimali di una strategia di efficienza energetica adatta ad accogliere anche i dati legati ad AI e device IoT

Pubblicato il 18 Lug 2023

Immagine di KsanderDN su Shutterstock

Siamo abituati a sentir parlare di data center situati nel Nord Europa o, più in generale, in aree per lo meno fresche. Il clima “appiccicoso” di Singapore, con i suoi 30 gradi centigradi di temperatura e il suo tasso medio di umidità che supera l’80% non sembra quindi il luogo ottimale per ospitare queste strutture. Eppure il 60% di quelle della regione si trova in questa nazione insulare. Una sfida persa in partenza?

Non per il governo locale che si è attrezzato sviluppando degli standard ad hoc per data center tropicali.

Raffreddamento e consumi energetici: priorità standard

L’obiettivo principale, e scontato, è quello di individuare e condividere le buone pratiche per far funzionare le strutture in condizioni di calore.

Gli occhi sono puntati soprattutto sui meccanismi di raffreddamento. Secondo l’Infocomm Media Development Authority (IMDA) di Singapore, è necessario con urgenza intervenire sugli elevati livelli di energia richiesti per il funzionamento di questi sistemi. Ottimizzazione e localizzazione delle strategie, sono i due processi chiave con cui cercare di cambiare le cose. E poi si può anche osare, prendendo in considerazione altri metodi di raffreddamento oltre al condizionamento e alla ventilazione meccanica (ACMV), come il raffreddamento immersivo.

C’è anche chi prova a suggerire soluzioni controintuitive, come quella di aumentare le temperature operative di 2°C nei data center da 4,5 MW. Digital Realty lo ha fatto, per prova, ottenendo una riduzione del consumo energetico totale dei dati del 2-3%.

Una sperimentazione di cui tener conto, ma senza troppo distaccarsi dagli standard indicati dal governo. Sembra infatti che diano buoni risultati. Fonti ufficiali dichiarano infatti che un operatore di data center che li ha adottati ha già stimato un risparmio sui costi energetici di oltre 185 milioni di dollari all’anno.

Un piano per data center a zero emissioni

Il documento con tutti gli standard di sostenibilità è scaricabile per poco più di 30 dollari e non parla solo di raffreddamento. Sfogliandolo, vi si possono trovare anche vari suggerimenti su come misurare e calcolare il costo totale delle operazioni in condizioni tropicali. È il modo per giustificare l’utilizzo di data center nell’area e spiegarne i vantaggi ai clienti.

Gli studi e le ricerche attorno a queste strutture sono state indirizzate dal governo per elaborare un modello di costo totale di proprietà (TCO) che si ritiene non comprometta l’affidabilità o le prestazioni delle apparecchiature. Per “personalizzarlo” dal punto di vista climatico in modo insindacabile, si è partiti dall’analisi dei dati empirici raccolti dai server di produzione monitorati dal team di ricerca del Tropical Data Centre (TDC). Un solido punto di partenza per ottenere un metodo di applicazione, misurazione e monitoraggio ad hoc.

Con questa strategia, Singapore gioca d’anticipo e si prepara a restare competitivo in un periodo in cui il mercato sarà dominato dall’efficienza energetica. Si tratta di una delle tante mosse tattiche previste dal suo piano di connettività digitale, realizzato per gestire al meglio il passaggio al cloud distribuito con l’edge-centric computing. Un passaggio obbligato, in cui i dispositivi IoT, AI e macchine autonome richiederanno data center più efficienti e localizzati. I tropici sono pronti per dare una risposta adeguata, mentre guardano a data center a zero emissioni alimentati da energie rinnovabili. E il Mediterraneo?

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