Datacenter, un mercato che cambia faccia

Latenza, reputation, service continuity, performance, sicurezza e compliance, protezione dei dati, disaster recovery. Sono gli elementi che l’IT Enterprise deve avere sempre sott’occhio per garantire la generazione del reddito del business digitale. In questo scenario di evoluzione complesso, il mercato della co-locazione del data center assume un nuovo ruolo.

Pubblicato il 17 Giu 2016

Dimenticare l’hardware, dimenticare le infrastrutture, dimenticare il software… “pensare a fare il proprio lavoro, che è rilasciare servizi e applicazioni”.

David Cappuccio, VP e distinguished analyst di Gartner

È così che David Cappuccio, VP e distinguished analyst di Gartner durante la recentissima Data Center Management Conference (tenutasi a Las Vegas lo scorso dicembre 2015) invita l’It Enterprise a cambiare ruolo. “L’It aziendale deve avere un nuovo approccio verso il data center: non si tratta più di sviluppare il proprio, ma è tempo di pensare alla migliore via possibile per rilasciare risorse It al business”. Purtuttavia, il nuovo ruolo bimodale dell’It passa necessariamente dal data center. L’obiettivo sarà dunque sempre più “diminuire la gestione dei bit delle infrastrutture e fare di più a livello di strategia, selezionando le infrastrutture migliori in grado di supportare specifici servizi”, dice Cappuccio, cui fa eco il collega Thomas Bittman, anch’egli VP e distinguished analyst, che aggiunge: “il toolbox che l’It può oggi modellare include svariate opportunità: data center on-premise, in co-location, in outsourcing o un mix di tutto ciò abilitati anche da modelli cloud (private, public, hybrid)”.

Thomas Bittman, VP e distinguished analyst di Gartner

Nella visione di Bittman oggi l’It aziendale deve fungere da intermediario tra i clienti (siano essi clienti di business dell’azienda piuttosto che ‘clienti interni’, ossia utenti aziendali, partner o fornitori), il data center e i service provider. “Il service provider potrebbe essere l’It aziendale, ma potrebbe anche essere Google, Amazon, Salesforce…”, fa notare Bittman. “Alla fin fine è una delega di responsabilità”.

Guardando in dettaglio al mercato, secondo le previsioni di Gartner gli impatti della digitalizzazione sulle aziende, di qualsiasi tipologia, durerà a lungo e, per i prossimi anni, tali impatti saranno concretamente visibili e percepibili non solo nelle modalità operative del business, ma soprattutto sul piano del reddito (grazie soprattutto a una migliore capacità di innovazione di prodotti e servizi, di ingaggio dei clienti e dei partner, di anticipazione del mercato e della concorrenza).

Raymond Paquet, analista di Gartner

Ed è proprio per queste ragioni, si legge nel report di Gartner, che aziende di consulenza e ricerche di mercato continuano a portare all’attenzione dell’It e dei businessmen l’importanza di adottare approcci agili e multi-dimensionali a supporto e completamento delle strategie infrastrutturali (ossia del data center management). “Oggi le cosiddette digital business capabilities (ossia le ‘nuove’ abilità di business, come anticipato prevalentemente riconducibili ad innovazione di prodotti e servizi e migliore capacità di ingaggio e comprensione di clienti e mercato, ‘facilitate’ dalla digitalizzazione diffusa sia internamente sia esternamente alle organizzazioni) generano il 18% del reddito aziendale [percentuale media stimata sia per le aziende operanti in Usa sia in Europa – ndr]”, stima durante la conferenza di Las Vegas l’analista di Gartner Raymond Paquet: “Tale porzione in realtà è destinata a crescere in funzione del fatto che, sul fronte ‘digital business’ siamo solo agli inizi del lungo percorso di trasformazione: in soli due anni il reddito generato dalle nuove capacità aziendali abilitate dall’It salirà al 25% e raggiungerà il 40-41% entro il 2020”.

L’It che genera reddito

Stando ai numeri degli analisti, sarà quindi l’It Enterprise il motore del business, non più soltanto dal punto di vista di processo o quale elemento di produttività ma sempre più come strumento di redditività. Ma la natura dell’It Enterprise è oggi caratterizzata dalla complessità (degli ambienti e della continua crescita di componenti infrastrutturali e architetture applicative); consolidamento e virtualizzazione molto hanno fatto, aprendo la strada al cloud, ma la tanto agognata semplificazione (dei sistemi e della loro gestione) è tutt’altro che raggiunta. Spesso, in aggiunta al data center primario, nascono ‘sistemi satellite’ e non si tratta solo di eventuali siti secondari per la gestione della Business Continuity o del Disaster Recovery ma anche di spazi secondari di co-location, per esempio, servizi di Disaster Recovery via public cloud, branch-office It e micro data center in sedi remote e uffici sussidiari, applicazioni Saas, piattaforme di social network utilizzate dallo staff aziendale e via dicendo.

Di fronte a scenari così complessi, l’It, nella gestione ed evoluzione del data center, sempre tenendo presente il suo ruolo di erogatore di servizi di business (servizi che per l’utente non possono certo essere complessi nella fruizione), deve necessariamente avere sempre in testa alcuni capisaldi, che gli analisti di Gartner hanno così riassunto: “latenza, reputation, service continuity, performance, sicurezza e compliance, protezione dei dati, disaster recovery”.

Come cambia la co-location

In questo panorama evolutivo di innegabile complessità la co-locazione dei data center aziendali, secondo quanto emerge dalle analisi di Gartner, rappresenta un mercato in espansione e cambiamento; le ragioni sono svariate: 1) gli utenti stanno diventando sempre più smart e sanno esattamente cosa chiedere al proprio data center provider; 2) le aziende stano utilizzando con maggiore fiducia e semplicità servizi cloud e la co-location diventa un hub per un accesso più rapido; 3) trend tecnologici come l’IoT e il Dcim (Data Center Infrastructure Management) stanno decisamente impattando sull’It e i data center aziendali.

Queste tendenze incidono pesantemente sulle scelte sia dell’It aziendale sia dei service provider che devono ‘adattare’ i propri data center. Ed è per questo che, secondo Bob Gill, research director di Gartner, il mercato della co-locazione vivrà una nuova vita nei prossimi anni. Nella visione raccontata da Gill al pubblico di Las Vegas, il mercato vedrà già nei prossimi mesi una ‘biforcazione’ dei data center service provider: “Mentre molti attori si stanno diversificando aggiungendo ai più tradizionali servizi di outsourcing prestazioni a più elevato valore aggiunto come hosting, cloud, servizi di interconnessione (per connettere più sistemi e servizi eterogenei) o managed services, altri si stanno concentrando solamente su ciò che riguarda la co-location fornendo spazi, energia e raffreddamento a costi competitivi”.

Per coloro che sceglieranno questa seconda via di specializzazione, le sfide ruoteranno attorno ad alcuni punti critici:

  1. flexible design: molte aziende iniziano a comprendere che i propri workload e le esigenze riversate sui data center stanno diventando sempre più sofisticati, per cui richiedono ai provider di co-location maggiori capacità di spazio e densità. Spesso si richiedono al provider densità multi power nello stesso spazio, per cui tali fornitori dovranno sempre più disegnare in modo flessibile il data center per far fronte a tali richieste;
  2. il ruolo crescente del Dcim: i software di gestione delle infrastrutture data center stanno avendo un ruolo di prim’ordine già da diversi anni ma assumono un ruolo decisamente critico laddove esistono situazioni di co-locazione. Internamente, il provider utilizza questi strumenti per migliorare l’efficienza e la resilienza, esternamente li utilizza per fornire alle aziende informazioni sull’utilizzo dei sistemi di power&cooling e sui reali consumi;
  3. edge computing: i cloud service privider e le digital media company hanno necessità di erogare servizi ed archiviare sempre più dati in funzione dell’uso massivo di ‘personal computing’ da parte di utenti mobili, sia professionali sia consumer. Spesso i data center in uso dalle Telco e dai service provider si trovano vicino alle metropoli o a grandi centri urbani rendendo così decisamente più complessa la fruizione di servizi digitali da parte di chi si muove o abita in centri urbani meno popolati che non solo non possono quindi contare su un florido mercato data center nelle vicinanze ma, spesso, hanno problemi di connettività a banda larga che inficia dunque la possibilità di accesso ai servizi digitali. Motivo per cui, secondo gli analisti, prenderà sempre più piede il cosiddetto Edge Data Center Space ossia spazi data center ‘minori’ in grado da fare ‘da ponte’ tra i provider e i mercati ‘a margine’ (centri rurali lontani dalle grandi città, aree geografiche prive di insediamenti professionali e industriali, ecc.), fermo restando l’impegno necessario da parte delle Telco per l’infrastruttura di connettività;
  4. IoT e Big data: anche per chi si specializzerà sul fronte della co-locazione, questi trend rappresentano un volano perché è attraverso sensori e ‘cose connesse’ che gli operatori saranno sempre più in grado di migliorare, attraverso l’analisi dei dati generati da tali oggetti, le operation (manutenzione e gestione degli spazi, controllo dei consumi e degli ambienti, ecc.);
  5. cloud: secondo l’analista Gill, “cloud e co-location sono nati per essere ‘naturalmente’ alleati: il cloud deve pur vivere da qualche parte”. Mentre attori come Amazon, Microsoft o Ibm costruiscono i propri data center a supporto dei servizi cloud, moltissime altre realtà utilizzano (e lo faranno sempre più secondo gli analisti) servizi di co-location per espandere i propri data center. Non solo, come già accennato, i co-location data center stanno diventando veri e propri hub laddove le aziende hanno accesso ad una moltitudine di servizi cloud esterni (diventano gli spazi dove poter collocare e gestire tutti questi servizi: anziché integrarli nel proprio data center on-premise, se ne definisce un singolo punto di accesso attraverso un data center esterno in co-location).

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