Demand Management: priorità numero 1

Come aumentare le capacità di demand management e di confronto con le Lob; quali elementi di razionalizzazione e d’innalzamento qualitativo possono
essere messi in atto; come impostare relazioni con i fornitori che non siano solo di tipo vendor-cliente, ma che si basino anche su concetti di governance; come effettuare controlli attraverso strumenti di misurazione NON solo di tipo qualitativo. Se ne è parlato durante un executive dinner organizzato da ZeroUno in collaborazione con Akhela

Pubblicato il 17 Mar 2009

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Il demand management, l’attività che consiste nell’identificare e comprendere i bisogni impliciti ed espliciti del business fornendo alle line of business aziendali le soluzioni Ict più efficaci, è oggi una delle più elevate priorità nelle imprese. L’ha testimoniato una ricerca condotta da NetConsulting e presentata dal direttore generale della società, Annamaria Di Ruscio (in foto), all’executive dinner organizzato qualche tempo fa da ZeroUno “Ict e business transformation: un nuovo ruolo per l’area sistemi informativi”, e l’hanno confermato anche i partecipanti all’incontro. Durante il quale il tema è stato di gran lunga il più dibattuto e da tutti posto come precondizione per aumentare la capacità degli It manager – ma più in generale di tutti i dipartimenti It e dell’entità “data center” – di innovare per agevolare il raggiungimento degli obiettivi di business e restare – o diventare – un centro d’investimento e non di costo.
Negli anni passati si è parlato molto del ruolo dell’Ict e dei suoi responsabili all’interno delle aziende. Si è detto molto sulla valenza strategica della tecnologia per il successo delle imprese e sulla necessità che i Cio iniziassero a parlare di più il linguaggio del business e, possibilmente, fossero cooptati nei board delle aziende. “È giunta l’ora – ha esordito Stefano Uberti Foppa (in foto), direttore di ZeroUno – di dare per acquisito il ruolo strategico dell’Ict nel business e di concentrarci sul bisogno di costruire una capacità d’intercettazione della domanda delle line of business (Lob). E, qualora questo percorso di sintonizzazione sia già avvenuto, capire quali strumenti permettono di conseguire i migliori risultati. Inoltre dobbiamo comprendere come sviluppare nuove relazioni con i vendor in termini di partnership e anche di governance. Infine, individuare i metodi per misurare il contributo dell’Ict al business”.
Nella sua relazione introduttiva, Annamaria Di Ruscio, ha innanzitutto rilevato come “ancora troppo spesso si fa di necessità virtù e si agisce senza una visione strategica”. Dopo questa premessa, ha illustrato i risultati di uno studio secondo il quale oggi il demand management ha assunto, tra le priorità dei Cio, il posto numero uno, seguito dall’obiettivo di consolidare e rendere più flessibili le tecnologie, le applicazioni e le infrastrutture It. “Sono tante – ha continuato il direttore generale di NetConsulting – le azioni che i responsabili It stanno portando avanti. Dalla messa in ordine dell’hardware – attraverso il consolidamento, la virtualizzazione, l’introduzione di sistemi di business continuity e di sicurezza – a quella del portfolio applicativo e alla sua integrazione, compresa l’adozione delle Soa; ma accanto a queste azioni puntuali quello che ancora manca è un disegno strategico, un circolo virtuoso. Pochi guardano a questo disegno nella sua interezza e traducono, insieme all’azienda, i bisogni in trasformazione dei processi attraverso quell’attività nodale che si chiama demand management. Non meraviglia quindi – ha concluso Di Ruscio – che si rilevi un certo livello di insoddisfazione circa i rapporti tra Cio e responsabili delle linee di business. Perché manca un traduttore universale e, alla fine, ognuno rimane ancora sulle sue posizioni. Questo si verifica in maniera maggiore laddove i responsabili It sono più lontani dalle prime linee di management. Quanto più il Cio è invece vicino ai responsabili del business, tanto più è percepito come un collega e si riescono a creare strategie comuni, comunanze di intenti e azioni efficaci”.
La discussione è quindi proseguita con l’analisi di situazioni specifiche. A proposito delle relazioni tra uomini It e di business, Luigi Pignatelli (in foto), responsabile sistemi informativi di Sara Lee, ha sottolineato come esistano per fortuna dei fattori agevolanti le relazioni che nascono anche in maniera estemporanea. “Per esempio le attività necessarie per la compliance alla normativa Sox”, ha spiegato il manager della filiale dell’azienda americana di prodotti mass market. “Iniziative di questo tipo – ha continuato – creano sicuramente un aggravio di lavoro, ma consentono di instaurare dei rapporti e modi di operare che poi si estendono inevitabilmente anche ad altre situazioni”. Detto questo, Pignatelli, la cui azienda ha comunque una politica di demand management strutturata a livello locale e globale, ha sottolineato come esistono ambiti specifici in cui il rapporto tra It e responsabili di processi possono essere più o meno facili: “Per esempio, lavorare con i responsabili della logistica è molto più facile. Sono persone che hanno ben in mente di quali Kpi (Key performance indicator) hanno bisogno. Al contrario, i responsabili del marketing e delle vendite cambiano obiettivi da un giorno all’altro. Non fai in tempo ad allineare le Kpi alle loro strategie che già le hanno cambiate. Ma questo è anche strutturale al loro lavoro”.
Questo esempio è servito da spunto ad Annamaria Di Ruscio per ricordare come oggi il contesto in cui le aziende si trovano a operare e il loro modo di rispondere siano molto diversi da quelli di alcuni fa: “Per fortuna che le aziende cambiano spesso strategie. Oggi le strategie non possono più essere di medio periodo. Ormai quello che può essere valido di un piano triennale è solo la parte relativa al primo anno. Spesso le imprese si trovano a dove modificare i propri piani anche tre o quattro volte l’anno. La mia opinione è che le strategie It non possono che variare al variare del business. La sfida maggiore che i responsabili It oggi hanno è proprio quella di rendere la capacità di allineamento dei sistemi informativi più snella, più rapida e meno costosa. Riconosco che questo non è banale. Richiede che si debbano prendere in considerazione una miriade di fattori contemporaneamente, ma purtroppo non si può fare in modo diverso”.

Meta-Kpi e relazioni
Prendendo spunto dall’esempio dell’implementazione delle Kpi, che dovrebbero essere degli indicatori di performance il più possibile facilmente leggibili dai responsabili di business, Uberti Foppa ha detto, rilanciando la discussione, che “forse bisognerebbe dedicarsi a identificare delle meta-Kpi”. La provocazione è servita per sensibilizzare sul bisogno di trovare dei linguaggi comuni tra It e business che permettano di facilitare l’evoluzione più rapida dell’It a supporto degli obiettivi aziendali. “È nella relazione continua tra le risorse It e le linee di business che possono essere identificati questi meta-Kpi, che s’inseriscono peraltro nel discorso della misurazione dell’impatto che i cambiamenti It hanno sul business”, dice Uberti Foppa.
Il dibattito che è seguito ha evidenziato come le problematiche di demand management possano variare molto in funzione del settore di appartenenza delle imprese così come dalle singole culture aziendali. Il primo ad affermarlo con forza è stato Renzo Passera (in foto), account executive It di Zurich Insurance. “In passato – ha raccontato – ho lavorato in aziende di produzione. Da due anni sto imparando a declinare le mie esperienze passate in una realtà sostanzialmente diversa. Le imprese finance stanno affrontando problemi che quelle di manufacturing hanno iniziato a vivere dieci e quindi anni fa: le leggi del mercato. Le dinamiche di rapporto magari non cambiano da un settore all’altro, quello che cambia sono i contesti in cui le imprese si trovano da un momento all’altro a operare”.
Dello stesso parere si è dimostrato anche Maurizio Besurga (in foto), direttore It di Mediamarket. “La nostra è una società di vendita, che ha problemi diversi da quelli di un’azienda di processo. Il retail di elettronica di consumo è un settore ancora molto giovane. La nostra azienda poi si trova in una situazione particolare. L’adozione di una strategia di demand management ha fatto molto, ma ha anche portato a evidenziare come i responsabili di processi come le vendite o il marketing, non sanno in che modo le tecnologie possono aiutarli. La casa madre vorrebbe che i nostri processi si allineassero ai loro, ma si tratta di un lavoro complesso. Noi dell’It ci troviamo tra l’incudine e il martello. Comunque il demand management sta portando cambiamenti importanti. Ci siamo resi conto che i process owner esistono, di fatto, ma che quelli che conoscono a fondo tutti i processi, dall’inizio alla fine, siamo noi”. Anche Paolo Ballabene (in foto), responsabile sistemi informativi di Tnt Global Express Italia, ha portato un’esperienza analoga. “La nostra filiale nasce da un’acquisizione”, ha spiegato. “Nel gruppo esistono dei common process, la cui accettazione è necessaria prima che si possa parlare di common system. Tendenzialmente anche nel nostro caso i responsabili di business preferirebbero continuare con i processi precedenti. Ma, in alcuni casi, è effettivamente auspicabile adottare dei common process su scala globale. Soprattutto nelle operation è preferibile che ci siano degli standard che valgano dal Far East all’Italia. Nel nostro caso abbiamo creato dei team locali che si stanno preoccupando di elaborare progetti che devono essere poi approvati a livello centrale. Se si allineano ai common process e portano a Roi sicuri si riesce a procedere speditamente”. Che le situazioni siano le più diversificate l’ha testimoniato anche Maurizio Agazzi (in foto), direttore sistemi informativi di Robur, che ha detto: “La nostra è un’azienda italiana a produzione discreta, che occupa 250 persone e fattura di 36 milioni di euro. Come si sviluppa il demand management da noi è un po’ diverso da come ho sentito qui. Spesso si creano dei gruppi di progetto, ma non è detto che l’It sia sempre coinvolta. Devo però dire che i gruppi che funzionano meglio sono quelli in cui è inserito qualcuno dei sistemi informativi. Nelle aziende come la mia è importante cercare di seminare, di fare lobbying”.

Fare la differenza
Da tutte le esperienze è emerso come sia problematica la comunicazione tra It e business. E come occorra ancora trovare delle nuove modalità di rapportarsi, anche linguisticamente, e di dimostrare la capacità di aggiungere valore ai processi aziendali. “Gli uomini It – ha detto Alessandro Tiretta (in foto), responsabile sistemi informativi di un’altra azienda retail, la Leroy Merlin Italia – devono essere capaci di non parlare nei comitati in termini tecnici, ma di dimostrare di conoscere bene la propria azienda e i suoi meccanismi di funzionamento. Per riuscirci non occorre fare parte del board. Spesso diciamo che i responsabili It sono quelli che, dei processi aziendali, conoscono tutto. Quindi dovremmo essere in grado di anticipare almeno alcune strategie evolutive. Noi sappiamo che se si spegne la più stupida delle tecnologie il business può saltare. A livello di management questa consapevolezza ancora non c’è. Nella nostra azienda c’è domanda di innovazione: ma è una domanda di innovazione di business, non di tecnologie. Quello che conta è che noi sappiamo che se si opera con la tecnologia in un certo modo, l’azienda diventa più performante”. “Spesso le aziende sono piene di tecnologia – ha detto anche Roberto Riccardo Rossi (in foto), It service delivery senior manager di Walt Disney Company Italia – ma presso l’utenza non sono divulgate le informazioni che permetterebbero all’It di dare servizi migliori, che fossero effettivamente percepiti come tali”.
Secondo Passera di Zurich “fintanto che continuiamo a parlare della T di It saremo dalla parte dei perdenti. Oggi la tecnologia si compra facilmente, al massimo possiamo fare della governance, ma c’è anche il rischio che finiamo per diventare dei semplici buyer. La nostra strategia vincente dovrebbe essere quella di concentrarsi sulla I (Information, ndr.). Dobbiamo identificare, nel perimetro delle nostre attività, delle nicchie diversificanti. Il valore della nostra attività è percepito quando dà un valore aggiunto a un processo diversificante in termini di business. Altrimenti, il nostro valore è misurato solo in base alla capacità di ridurre i costi”.

La gestione dei fornitori
In questo contesto, al tema del demand management si collega anche quello della gestione dei vendor e, in genere, dei fornitori. Outsourcer compresi.
Uberti Foppa ha quindi chiesto in che modo anche i fornitori, i vendor, possono supportare un miglioramento dell’attività di demand management. “Esistono diversi elementi con cui un fornitore può contribuire in questo senso” ha risposto Andrea Gaspari (in foto), direttore marketing di Akhela, società di servizi It controllata dal gruppo Saras ma attiva sul libero mercato. “Per esempio può permettere di confrontarsi con nuove tecnologie, anche di nicchia, offrendole ai propri clienti in anticipo, prima che le stesse entrino nell’orizzonte “radar” dei grandi fornitori. Oppure può svolgere un ruolo di partner che, instaurata una conoscenza e fiducia reciproca, permette ai responsabili It di dormire sonni tranquilli, offrendogli servizi a valore “cuciti” sulle sue reali esigenze, e non selezionati da un catalogo di un grande vendor, che per quanto di qualità, è costretto ad offrire un servizio molto più generico. Come i vendor possono aiutare effettivamente i responsabili a migliorare le attività di demand management dipende, a mio parere, dal fornitore ma anche da quali ruoli il Cio vuole attribuire alla molteplicità dei suoi possibili interlocutori. A ogni modo è importante che tra cliente e fornitore ci sia un rapporto di fiducia. Meglio ancora di trustship, un termine anglosassone che ha un significato ancora più forte”.
Ha aggiunto Antonio Bottero (in foto), direttore commerciale della stessa società: “Dalla ricerca presentata da NetConsulting risulta che relativamente ai temi legati all’execution e all’efficienza dell’infrastruttura e dei data center – come il consolidamento, la virtualizzazione e l’ottimizzazione – ci siano tecnologie note, progetti avviati e di successo, risultati consolidati e positivi. Mentre quando si passa al tema della gestione della domanda, i discorsi diventano a mio giudizio un pò più complessi, perché si entra nello spazio del cosiddetto allineamento dell’It al business dell’azienda. Esistono oggi tecnologie per il demand management piuttosto sofisticate e potenti, che supportano questo tipo di attività ed in generale tutta la gestione del ciclo di vita delle applicazioni. Sono tecnologie abbastanza complesse da introdurre (implicano tra l’altro un’organizzazione It adeguata) e talvolta non vengono utilizzate a pieno per le potenzialità che sono in grado di offrire. Akhela ha le competenze ed una consolidata esperienza per supportare il cliente nell’introdurre ed avviare con successo queste tecnologie in azienda.
Secondo Tommaso Coppola (in foto), responsabile It di Edison Italia, “anche senza arrivare al cloud computing, sarebbe l’ora di tornare a ragionare sull’on demand. Noi abbiamo scelto di esternalizzare per liberare delle risorse e non doverci preoccupare della crescita della parte architetturale”. Anche secondo Pignatelli di Sara Lee, il ricorso all’outsourcing può essere funzionale al miglioramento del demand management. “Dato che alcune tecnologie cambiano in continuazione, l’utilizzo dell’outsourcing può essere strategico perché permette all’It di continuare a essere sempre più pervasivo, e quindi a mostrare il proprio ruolo agevolante, mentre le risorse interne It possono focalizzarsi meglio sulle vere esigenze di business”. Ovviamente, il ricorso all’esternalizzazione va perseguito con attenzione. Come dimostra l’esperienza di Andrea Donzelli (in foto), responsabile It di Cognis, filiale italiana di un’azienda chimica tedesca. “Migrando i sistemi It locali in outsourcing, bisogna stare attenti a non trovarsi nella situazione di non avere più risorse libere per rispondere alle esigenze degli utenti perché tutte le risorse sono impegnate in un’attività mirante a liberare le risorse”.

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