Difficoltà e vantaggi di un fenomeno in crescita

La lunga storia di ricorso all’Outsourcing motivato quasi esclusivamente da obiettivi economici e non strategici continua a frenare un’evoluzione che, comunque, è iniziata e presto si farà strada. ZeroUno ha svolto un’inchiesta tra alcuni dei principali vendor per comprendere a che punto evolutivo si trova il fenomeno dell’outsourcing e quali sono, a loro avviso, i principali snodi del cambiamento.

Pubblicato il 28 Lug 2008

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Capacità di favorire cambiamenti rapidi e integrati dei processi di business. Disponibilità di skill specialistici che sarebbe antieconomico prevedere all’interno di un’azienda ma che sono ormai necessari per gestire problematiche non core business ma cruciali per il business dell’azienda. Possesso di tecnologie allo stato dell’arte e pronte a soddisfare le nuove necessità tecnologiche che emergeranno in futuro. Sono questi, e non solo quindi la capacità di erogare servizi a costi inferiori a quelli che dovrebbe sostenere un’azienda curandoseli da sé, alcuni degli elementi che rendono l’Outsourcing un tema di sempre maggiore attualità per le imprese. Grazie anche al fatto che stanno cambiando i contesti macroeconomici e operativi, le tecnologie, la cultura e le organizzazioni delle imprese e dei provider. E ci si aspettano cambiamenti ancora più spinti nel medio e nel lungo termine.

È tempo di cambiamenti
Al momento possiamo cominciare a parlare quanto meno di una seconda fase, in cui restano validi alcuni punti fermi del passato, ma a essi se ne aggiungono di nuovi. “Oggi l’asse dell’outsorcing – dice Vittorio Albini (nella foto a fianco a destra), Hr director di Csc Italia (it.country.csc.com)

– si sta spostando sempre più verso quello che, nella nostra realtà, definiamo un “Dynamic Outsourcing”. È un rapporto che fa leva su una visione strategica dell’azienda e un’attenzione alle performance di business. Inoltre considera l’External Service Provider (Esp) un partner di lungo periodo, invece che un semplice fornitore che gli permette di risparmiare sui costi”. Questo fenomeno, ovviamente, è ancora in fase di emersione. Come afferma Valentino Bravi (nella foto in basso a sinistra) Ceo di T-Systems Italia (www.t-systems.it), “Il fatto che l’esternalizzazione dei

servizi Ict in passato sia stata vista esclusivamente dal punto di vista del “cost saving” non ha consentito che realmente emergessero i plus di questo modello. Ciò ha penalizzato la velocità di entrata di molte organizzazioni in questo tipo di approccio facendo percepire l’outsourcing come un “dispositivo” spesso limitato e limitante, utile solo a ridurre i costi aziendali”. Ma i cambiamenti ormai sono sotto gli occhi di tutti.
“Anche se il tema originario della riduzione dei costi mantiene il suo peso, soprattutto quando le aziende si rivolgono a grandi outsourcer come noi che possono realizzare importanti economie di scala – interviene Stefano Paternello(nella foto in basso a destra), Strategic Outsourcing executive di Ibm

Italia (www.ibm.com/it) – stanno emergendo nuovi valori e nuove aspettative. Adesso le imprese si affacciano all’outsourcing anche per conseguire trasformazioni associate a progetti molto complessi”.
I provider che permettono di adottare questa metodologia, insomma, oggi sono visti sempre meno come fornitori a basso costo di servizi “non core business”, ripetitivi, a basso valore aggiunto, ma sempre più abilitatori di strategie che mirano ad aumentare la competitività di un’impresa e il raggiungimento di nuovi obiettivi di business.
“Il mercato dell’outsourcing è cambiato in maniera profonda anche per via di mutazioni a livello macroeconomico e alla globalizzazione”, sostiene Claudio Arcovito( nella foto in basso a sinistra) , head of

marketing di Bt Italia (www.italia.bt.com). “Una volta l’outsourcing era visto semplicemente come una possibilità per abbassare i costi o in un’ottica molto tattica, come per esempio un’alternativa all’impiego di personale interno per attività come il desktop management o il Lan management. Ora vediamo aziende ricorrere a questa metodologia per aumentare la produttività e garantire la possibilità di competere meglio sui propri mercati di riferimento. L’apertura dei mercati esteri ha innescato dinamiche molto veloci. Basti vedere cosa è successo in ambito finanziario. Prima c’è stata una forte espansione, ora si assiste a un consolidamento”.
Fusioni e acquisizioni, aperture in nuovi paesi, necessità di fare fronte a esigenze legate a leggi e regolamentazioni sempre più stringenti e complesse, bisogno di innovare. Sono diversi i progetti che portano oggi le imprese a riconsiderare il ruolo dell’outsourcing a supporto delle proprie strategie per la creazione di nuovo valore. “Le aziende che hanno effettuato merger and acquisition per espandersi a livello internazionale – dice ancora Paternello di Ibm – si ritrovano poi a dover razionalizzare tutti i processi e i sistemi utilizzati con l’obiettivo di ricondurre tutto sotto un unico standard e sotto un solo punto di controllo: la casa madre. Per quanto riguarda invece le compliance, al posto di portare a norma un sistema obsoleto un’azienda può scegliere – in un’ottica di outsourcing selettivo – di portare su un sistema in outsourcing quelle attività che devono sottostare a requisiti di elevata sicurezza oppure devono rispondere a criteri di sostenibilità, ovvero di green computing”.

La risposta dei fornitori
In questo contesto di sofisticazione dei bisogni delle aziende, c’è posto per fornitori di outsourcing di tutte le tipologie e con i più svariati modelli di servizio. “Noi continuiamo a crescere a ritmi del 20% annuo circa”, dichiara Roberto Gamerro(nella foto in basso a destra), amministratore delegato di

Byte (www.bytesh.com), importante realtà italiana per le soluzioni e i servizi di human resource management. “Cresce la tendenza a ricorrere all’outsourcing per le problematiche legate alla gestione del personale, un’attività che diventa di giorno in giorno sempre più complessa. I motivi scatenanti la scelta possono essere diversi. Anche il fatto che in un’azienda piccola o media vada in pensione il responsabile dell’amministrazione del personale. In realtà, il motivo principale è il riconoscimento del fatto che ormai la gestione delle paghe sta diventando un’attività troppo complicata da svolgere in azienda e che all’interno non ci sono le competenze sufficienti per fare fronte a un tema così difficile e variabile. E che pur non essendo di tipo “core business” è comunque strategico e vitale. Come per esempio, in alcune imprese, la manutenzione di impianti sofisticati che conviene sempre affidare ad aziende esterne certificate”.
A fronte di questo graduale cambiamento della qualità e quantità delle attività che diventano oggetto di relazioni di outsourcing, le attese che i clienti hanno nei confronti dei fornitori non sembrano ancora essere cambiate molto rispetto al passato. “In questo – risponde Albini di Csc – direi che è ancora possibile notare una sconnessione di fondo. L’approccio “filosofico” all’outsourcing è considerare questa attività come uno strumento o un processo di ottimizzazione del Business System nel medio-lungo periodo, includendo anche valutazioni di opportunità di carattere strategico. Nella realtà, invece, la garanzia di adeguate riduzioni di costi è ancora una strategia vincente per aggiudicarsi contratti in tempi ragionevoli. Le aziende più all’avanguardia, comunque, tengono conto di elementi fortemente legati al processo di business e alla strategia aziendale come il value linking, cioè la capacità dell’outsourcing di impattare su aree esterne all’ambito specifico in cui sta operando; la value acceleration, ovvero la capacità di introdurre con l’outsourcing controlli centralizzati in ambienti precedentemente frammentati; il job enrichment, che si traduce nella capacità di incrementare la produttività degli utenti finali”. Altrettanto disincantato nell’analizzare l’approccio adottato in realtà dalla maggioranza delle imprese nella selezione dei fornitori di outsourcing è Bravi di T-Systems Italia: “L’esperienza dovrebbe rappresentare lo spartiacque primario tra i fornitori dalla riconosciuta esperienza e immediatamente eleggibili e i player meno strutturati; tutto ciò in un mondo nuovo che avanza, dove le imprese devono concentrarsi su investimenti sicuri e sostenibili nel tempo, sulla propria competitività e core business. C’è da dire che molte realtà sfuggono a questa logica preferendo sviluppare progetti all’insegna dell’immediato affidandosi a soluzioni “d’emergenza” allo scopo di gestire l’attualità senza sufficiente lungimiranza. Il risultato è che spesso molti fornitori trovano terreno fertile facendo leva semplicemente sul fattore prezzo. Questa logica li mette al riparo da complessità progettuali che invece andrebbero affrontate ma che spesso richiedono skill che solo pochi partner possono vantare. In un mondo orientato ai processi di business globali i fornitori di Ict outsourcing devono poter offrire ai clienti risposte complete e basate su esperienze ed assetti internazionali; questi requisiti rappresentano le ragioni chiave della scelta di un partner Ict in grado di fornire servizi e soluzioni innovative e collaudate”.
Da parte delle imprese più illuminate, invece, emergono requisiti più chiari e decisi: “Uno dei requisiti oggi più richiesti – interviene Paternello di Ibm – è la globalizzazione. Oggi le aziende chiedono modelli globali di delivery perché vogliono avere lo stesso processo in ogni geografia. Un altro requisito è una contrattualità più flessibile. Le imprese non vogliono solo un canone ma anche altre dinamiche che permettano di introdurre innovazioni man mano che il business evolve. Un contratto di outsourcing Ibm può avere un elemento fondante, come per esempio la gestione del server. Poi possono essere aggiunti pacchetti come la sicurezza logica, il backup e così via”. Secondo Arcovito di Bt, infine, la flessibilità da parte del provider deve esserci anche nel modo di rapportarsi al cliente: “L’outsourcing deve avere sempre un approccio progettuale che prevede una fase di studio, un output di analisi economiche e di Roi, un pilot e, infine, una soluzione definitiva. Le esigenze del cliente devono essere necessariamente messe come priorità. Alcuni, soprattutto quelli che temono di perdere la governance di un processo, possono volere strumenti di monitoraggio, oltre all’implementazione di Sla”.

Nuove relazioni con il cio
Risponde ancora Paternello: “Un tempo il Cio era nemico dell’outsourcing. Oggi invece è l’interlocutore che usa l’outsourcing in una logica di complementarietà e di condivisione dei rischi. Grazie alla possibilità di utilizzare l’outsourcing in modo selettivo, oggi il Cio può proporre più facilmente pilot di nuove soluzioni, come per esempio di Crm, alle Lob (Line of Business). Noi crediamo di aiutare i Cio nel rapportarsi con le Lob e nell’istituire un modello di collaborazione più proattivo nei loro confronti. Non riteniamo giusto che un Cto (Chief technology officer) debba concentrarsi sui dettagli; deve avere più tempo da dedicare a seguire i progetti con le Lob e a innalzare i livelli di competenza dei propri collaboratori verso il business”. Anche Gamerro di Byte è convinto che il ricorso all’outsourcing valorizzi, invece di diminuire, il ruolo dei responsabili dei sistemi informativi. “Spesso – esemplifica – i sistemi di supporto all’ufficio del personale sono dei server tenuti in stanze chiuse a chiave e staccati dal resto della rete aziendale. Con la decisione di utilizzare l’outsourcing, i responsabili It diventano “un attore in più”. Le applicazioni invitano a utilizzare l’infrastruttura aziendale, anche se i dati relativi al personale continuano a essere protetti da occhi indiscreti grazie all’utilizzo di Vpn. Il ruolo dei sistemi It, infine, cresce ancora di più se le aziende decidono di utilizzare soluzioni innovative basate sul Web, come il portale del dipendente, o l’invio dei cedolini via email”.

Non rinunciare al controllo della propria azienda
Dal canto loro, i fornitori di outsourcing considerano fondamentale avere diverse figure di interlocutori con cui rapportarsi a differenti livelli, e con tempistiche differenti, in azienda. Che quindi non deve smantellare tutta la struttura It, con il rischio, paventato da molti, di perdere la capacità di governance delle tecnologie, ma allo stesso tempo deve fare delle scelte sul tipo di risorse da sviluppare e mantenere, e altre di cui fare a meno. “Dalla nostra esperienza – dice Bravi di T-Systems – avvertiamo l’esigenza di avere presso l’azienda cliente un gruppo di specialisti che interfacci le esigenze del business dell’azienda stessa con la nuova soluzione implementata. Entrambi esprimiamo l’esigenza di avere interlocutori in grado di verificare l’applicazione del contratto di outsourcing in modo tale che sia sempre aderente alle necessità delle due parti”.
Si tratta prevalentemente di skill di tipo tecnologico, business/manageriale o entrambi? “È difficile immaginare una separazione così netta tra queste tipologie di competenze. Attualmente assistiamo a un’evoluzione del livello di know-how in direzione di una convergenza di capacità organizzative e conoscenze verticali. Ovviamente molto dipende dalla natura dei progetti specifici” risponde il Ceo di T-Systems Italia. “È molto difficile che oggi le aziende abbiamo al loro interno tutti gli skill specialistici di cui necessitano. Per loro stessa ammissione, le aziende si rivolgono all’outsourcing anche per accedere ad una serie di competenze tecniche considerate fattore critico di successo per il proprio modello di business – interviene Albini di Csc -. L’outsourcing strategico permette alle aziende di concentrarsi sul core business, di effettuare delle trasformazioni di business e di essere più flessibili e adattabili. Direi che quello che serve veramente a noi per dare un buon servizio sia avere un referente che conosca a fondo la propria azienda, le sue strategie e il suo modello di business. Il coinvolgimento degli utenti finali e il commitment del top management sono, senza dubbio, fattori chiave per l’instaurarsi di un rapporto duraturo e di successo”.
Nel futuro dell’Ict strategic sourcing, insomma, è possibile intravedere una crescita organica, graduale e all’insegna della flessibilità.

L’outsourcing nelle comunicazioni

Terziarizzazione del centralino, gestione numeri verdi, assistenza, front & back office, customer care e attività di segreteria e reception: sono questi i servizi offerti dalla divisione Business Concierge di PhonEtica (www.phonetica.it), azienda attiva nel mercato italiano da dieci anni con un’offerta di soluzioni di Business Process Outsourcing (BPO) nelle comunicazioni che si affianca a quella della divisione Accelera focalizzata sulla pianificazione, organizzazione e realizzazione di piani di marketing relazionale che prevedono attività di ricerche di mercato, sondaggi d’opinione, aggiornamento e gestione dei marketing database, attività di supporto alle vendite, nonché promozioni e concorsi. “I servizi personalizzati delle divisioni Business Concierge e Accelera consentono ad aziende di varia dimensione, attraverso l’alleggerimento della gestione interna di attività non strategiche, di concentrarsi sul core business ottimizzando specifici costi aziendali. PhonEtica vanta oltre 350 referenze e impiega 300 persone tra esperti di comunicazione, organizzazione aziendale, informatica, Crm e marketing”, afferma Marco Durante, amministratore delegato dell’azienda. (V.B.)

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