Edison è una delle più antiche società industriali italiane. Oggi è anche una primaria realtà internazionale impegnata in tutta la catena del valore della produzione e vendita di energia elettrica e gas, attiva in più di 10 paesi con circa 3.000 persone e con un fatturato 2015 superiore a 11 miliardi di euro. Nel 2012, dopo diversi cambiamenti societari e di business model (ricordiamo la fusione Montecatini/Edison nel 1966, da cui nacque Montedison, un gigante della chimica; e ancora, nel 2002, la fusione Montedison/Edison/Sondel/Fiat Energia, da cui sorse la “nuova” Edison”) è entrata a far parte del Gruppo Edf Electricité de France, che la controlla con il 99,48% delle azioni.
Da qualche anno la società con sede a Milano viene spesso invitata a eventi che trattano di software open source. E la cosa non manca mai di stupire qualcuno perché “le utility – ha detto nella sua relazione introduttiva al recente evento Ibm Open Innovation Francesco Rutigliano, Head of Application Architecture, Innovation e Quality Assurance dell’azienda – sono spesso viste come organizzazioni conservatrici, ma la realtà è molto diversa. Due anni fa Edison ha compiuto 130 anni di vita ed è la società fornitrice di elettricità e gas più vecchia d’Europa, ma, come agli inizi, continuiamo a essere dei pionieri. Insieme all’etica e alla trasparenza perseguiamo l’innovazione sia per utilizzo interno, sia da trasferire al mercato”.
La costante ricerca di innovazione di Edison si esplica in tutte le fasi della catena del valore che la vede impegnata: dall’upstream (l’insieme dei processi operativi da cui ha origine l’attività di produzione di gas naturale, olio combustibile e petrolio) al midstream (procedure relative al trasporto dal sito di estrazione al sito di raffinazione e lo stoccaggio), al downstream (processi di trasformazione allo scopo di ottenere i prodotti derivati destinati al commercio e la loro distribuzione e vendita). Un esempio di innovation nell’ambito produttivo sono le cento centrali elettriche che Edison gestisce in Italia, che rappresentano un buon mix di termoelettrico e “green”, in particolare idroelettrico, eolico e fotovoltaico. Per quanto riguarda il midstream, ovvero l’importazione e la trasformazione, un paradigma è l’impianto di rigassificazione di Rovigo. Quanto al downstream, dopo essersi affacciata sul mercato libero dell’energia nel 1999 con l’entrata in vigore del “decreto Bersani”, nel 2008 e nel 2009 Edison ha lanciato un’offerta rispettivamente di energia elettrica e di gas per il mercato residenziale; due rivoluzioni di business model che hanno richiesto all’azienda ridisegni organizzativi, di processi e Ict.
Alla ricerca di nuovi touchpoint e applicativi
Nel corso di tutte queste trasformazioni, l’Ict ha sempre subìto cambiamenti di natura strategica. Nel periodo precedente il 2008 (anno in cui Rutigliano viene assunto in Edison dopo un trascorso in Abb) per affrontare in modo efficiente le esigenze informatiche di processi di business molto verticalizzati, l’azienda aveva compiuto una scelta di full outsourcing nei confronti di Global Value (nata nel 2001 come joint venture fra Ibm e Fiat, lasciata poi da quest’ultima nel 2005). “Ad oggi – spiega a ZeroUno il manager – circa il 94% del nostro budget It è destinato ad attività svolte in outsourcing. In particolare tutta la parte legata ai data center è affidata a Ibm che gestisce due data center in cui sono attivi oltre 500 server, il 90% dei quali è virtualizzato. Le applicazioni sono oltre 150 e lo spazio gestito supera 1 Petabyte. Negli ultimi tre anni, il livello di disponibilità applicativa ha raggiunto il 99,95%”.
Le novità introdotte a livello Ict da Edison negli ultimi anni hanno mirato principalmente a sostenere l’estensione del core business dall’upstream verso il downstream: “Un settore – sottolinea Rutigliano – dove negli ultimi anni i margini si sono notevolmente assottigliati e il tema della fidelizzazione dei clienti è diventato fondamentale. Non esiste più il vecchio business model che si basava sulla sigla di contratti pluriennali e l’invio di bollette ai clienti, che nel caso di errori si limitavano a chiedere rettifiche e conguagli.
Oggi i consumatori sono molto più liberi ed esigenti. Per conquistarli e trattenerli è necessario offrire servizi a sempre maggiore valore aggiunto (noi puntiamo anche sull’efficienza energetica) e utilizzare touchpoint in grado di veicolare contenuti diversi. Tutto questo porta a cercare nuove applicazioni, e spesso è nell’open source che si trovano quelle con maggiori fattori distintivi di innovazione. Non è al risparmio dei costi che punta il nostro approccio all’open source: se ci si avvicina, come stiamo facendo, al tema dei big data, si scopre che la maggior parte delle soluzioni più interessanti in questo campo è open source”. I progetti pilota di Edison in questo ambito (nei quali, è bene precisarlo, sono spesso coinvolti anche “big vendor” tradizionali) si basano su tecnologie open source quali Hadoop, MapReduce, Hive e Spark. Molto utilizzati (lungo tutto lo stack applicativo, dal sistema operativo all’application) sono anche le soluzioni Red Hat Enterprise Linux, JBoss, Sonarcube, Redmine, Talend, Subversion, MySql, Magento e Tomcat.
Meno lock-in, più libertà nelle architetture
Tra le parole chiave più utilizzate da Rutigliano nel descrivere i processi di It Transformation in corso in Edison figura “scouting”. Il termine va a braccetto con un altro, che invece indica un concetto che si vuole eliminare: “lock-in”. “Se l’obiettivo – dice l’Head of Application Architecture, Innovation e Quality Assurance di Edison – è trovare tecnologie in grado di aumentare vantaggio competitivo, occorre potersi aprire verso tutto il mercato dell’It, limitando il più possibile i vincoli nei confronti di un vendor”. Questa affermazione non significa assumere (come dimostrano le esperienze anche di altre aziende con le quali abbiamo recentemente parlato di open source e mission-critical, si veda FinecoBank nell’articolo Fare banca e finanza anche con l’open source –un atteggiamento ostile verso i tradizionali vendor che sviluppano e propongono tecnologie proprietarie, come la stessa Ibm, Microsoft, Oracle, Sap e così via: “Ci sono applicazioni closed source che non hanno concorrenti open in grado di offrire lo stesso livello di funzionalità e che, alla fin fine, hanno anche prezzi, se non economici, abbordabili”, sostiene Rutigliano. E così, per esempio, per le vendite, Edison continua a usare con soddisfazione le soluzioni di Salesforce.com come front end e Sap Crm nel backend.
“Quando tre anni fa abbiamo iniziato a fare scouting – continua Rutigliano – abbiamo iniziato dal sistema operativo. Quando ti apri verso il web, a farla da padroni sono software open come Linux, come sistema operativo server, o Apache, come application server. In questo momento, a livello di sistemi operativi, usiamo Red Hat Enterprise Linux per tutto il mondo web, Windows Server in qualche installazione, e Ibm Aix per tutto il resto dello stack”. Secondo Rutigliano, più si sale nello stack verso lo strato applicativo, e più “vengono meno i vincoli verso uno specifico vendor”. E questo perché le esigenze degli utenti non possono essere soddisfatte tutte da un unico fornitore e in alcuni ambiti verticali si fanno concorrenza poche soluzioni “best of breed”. “Un esempio – interviene il manager di Edison – sono le applicazioni per le sale operative di trading”.
Come si fa a gestire un mondo così eterogeneo di piattaforme e applicazioni in un’azienda che, comunque, ha in outsourcing in propri data center? “Parallelamente all’introduzione dell’open source – risponde Rutigliano – noi abbiamo riportato internamente tutta l’attività di Demand & Delivery Management, la maggior parte del Solution Design & Planning e buona parte dell’Architecture Management. L’introduzione strutturata dell’open source in azienda non passa solo da una scelta tecnologica, prosegue il manager – ma dipende fortemente dal modello di sourcing e ha impatti significativi sulla governance end to end”. Molto rilevante, ci sembra comunque di poter concludere, è anche l’utilizzo di soluzioni che consentono di far convivere e integrare ambienti di tipo open e closed source. Non è senza significato che abbiamo incontrato Rutigliano in un evento di Ibm, dove molto spazio è stato dedicato ai server Ibm Power Systems, basati su Power8, in grado di far girare sia Ibm Aix sia i più diffusi Linux enterprise. Sempre più spesso, poi, i due mondi, open e closed source, si incontrano e si integrano, offrendo nuove opportunità. Bisogna imparare a coglierle.