ZeroUno: Dal punto di vista degli skill, quali sono le tendenze in atto?
Peynot: Sono fondamentalmente tre. Primo, i tassi di pensionamento accelerano (e declinano i laureati europei in informatica o corsi affini). Gli informatici del babyboom in pensione sono cresciuti in modo costante ma contenuto dal 1997 al 2005; sono però previsti accelerare nel 2006-2007 per banche e pubbliche amministrazioni, con una certa isteresi di 3-4 anni in altri settori (manifatturiero). Secondo: una forte tendenza all’outsourcing di alcuni domini dell’It (non tutti). Terzo: evolve il ruolo del dipartimento It: cambia il contributo chiesto all’It per risultati aziendali e performance di business. L’It è chiamato a trasformarsi in centro di profitto o quantomeno capace di contribuire al profitto in modo misurabile.
ZeroUno: Come si trasforma di conseguenza la domanda di profili di skill It?
Peynot: In generale più orientata al business e meno alla tecnologia. Semplificando un po’ brutalmente, per un “It worker”, tutto dipende dalla collocazione aziendale o esternalizzata del dominio It di competenza, per cui, in ogni caso, gli serve un “nuovo piano di training”. Il profilo che serve ai professionisti It che restano è da posizione senior. Occorrono tecnici senior (architetti, specialisti di infrastruttura), capi progetto, analisti/disegnatori It per il business. E capi programma a livello aziendale, in grado di interagire con gli stakeholder di tutti i processi coinvolti. Ma col secondo trend, ci sono domini It esternalizzati, ad esempio applicazioni gestionali, manutenzione applicazioni, gestione del desktop, sviluppo. I professionisti It in questi ambiti, col contratto di outsourcing, “passano” a un Service provider It (Isp) – che col servizio eredita così decine o magari centinaia di persone. I profili di skill qui restano tecnici, ma serve lo stesso un intenso programma di retraining: per gli operativi (Itil, Cobit, strumenti di dispiegamento, diagnostica e sicurezza), come per gli sviluppatori, su linguaggi (Java, c++, Php), tecniche di integrazione (middleware e servizi Web), metodologie (Uml e livelli CMM). Il problema è che il retraining per spostare uno sviluppatore cobol di 40 anni su Java costa da 6 mesi a 1 anno: non basta la settimana, ci vogliono due – tre mesi di corsi e altri mesi per “digerire le differenze”. Senza programma intensivo, le nostre stime (confidenziali per le singole aziende) pur variando per imprese e settori diversi, mostrano che salvo pochi dipartimenti It “best of breed”, la maggioranza ha alte percentuali di It worker “non al giusto livello” di skill o “non mobilizzabili” col proprio dominio It a società terze di servizi (in condizioni più competitive, ad esempio con parte dello stipendio resa variabile in funzione dei risultati). Fino alla situazione di “skill non migrabile”, per cui l’unica opzione è lasciare che l’It worker vada in pensione e assumere il nuovo skill. Ecco il deficit di skill It in Europa per almeno un paio d’anni.
ZeroUno: La seniority non potrebbe essere alleviata dalla mobilità? Se andiamo verso una società di servizi sempre più in cooperativi, un Isp dovrebbe aver interesse a che proprie persone si muovano dalla supply alla demand side.
Peynot: E’ una buona idea che un senior passi 5 anni presso l’azienda cliente, 5 anni dall’Isp e torni indietro. Ma in pratica è difficile da mettere in atto in modo efficiente, salvo in Gran Bretagna e in Germania. In Francia, ad esempio, abbiamo il “blocco della seniority”; la maggior parte delle grandi aziende rifiuta di assumere persone con più di 40-45 anni.
ZeroUno: Ma il secondo trend, l’outsourcing, in forma locale o remota (offshore) con che velocità cresce nell’Europa continentale? E i dipartimenti It hanno alternative?
Peynot: Il trend di outsourcing nell’ Europa continentale sta accelerando ed è irreversibile, anche se ancora lontano dai livelli del Regno Unito. E’ in maggioranza locale. L’offshore è considerato solo per lo sviluppo, non per l’infrastruttura, ma mostra crescite anno su anno dal 20 al 30%. In Francia i leader sono di gran lunga gli Isp indiani, con un 50% del mercato offshore. Non vedo molte alternative per i dipartimenti It. Costa dirlo, ma non è per questo meno vero: se siamo protezionisti le nostre aziende non sono competitive. In particolare le nostre banche devono stare sul mercato e confrontarsi con la concorrenza, che fa offshore, se vogliono sopravvivere.
ZeroUno: Non esiste un “ effetto barriera” della lingua (che peraltro non c’è fra Gran Bretagna e India, per cui la Francia è forse più incline a un nearshore con Isp dell’Europa centrale, dai Paesi Baltici alla Bulgaria?
Peynot: La barriera della lingua esiste anche con l’Europa Centrale: in Romania c’è una regione in cui parlano italiano e/o francese, ma l’intera nuova generazione parla inglese. Inoltre l’Europa Centrale non è ai livelli di eccellenza degli indiani, che sono in questo mercato da 25 anni, con un livello organizzativo per lo sviluppo software CMM-5 (ottimizzato), mentre un Atos Origin è CMM-3 (definito/ripetitivo). Il gap fra il livello 3 e il livello 5 non è uno scherzo. (CMM-SEI è il Capability Maturity Model del Software Engineering Institute, vedi www.sei.cmu.edu/cmm).
ZeroUno: L’effetto dell’allargamento dell’Ue all’Europa Centrale, che produce laureati a una velocità doppia del resto dell’Europa, non potrà mitigare il “deficit di skill It in Europa”?
Peynot: In una grande banca francese molta gente va in pensione senza rimpiazzo. Il management It, che ha lanciato senza esito un allarme per “perdita di competenze”, teme che l’argomento del deficit di skill sia sfruttato dal top management per esternalizzare dove gli skill ci sono, dunque ad esempio in Europa Centrale. Ma con margini di manovra ristretti e mantenendo un profilo basso, per via dei sindacati. Certo, con la libera circolazione di servizi nell’Unione europea, i lavoratori nearshore possono mitigare il deficit di skill It, ma solo col buy-in sindacale.