Seppur con uno scarto temporale leggermente spostato in avanti, anche l’Italia risente dei cambiamenti in atto nell’economia digitale che negli ultimi 12 mesi hanno significativamente accelerato la revisione infrastrutturale dei data center aziendali.
A confermarlo è Fabio Rizzotto, Senior research and Consulting Director di Idc Italia: “Sebbene sia ancora presto per vedere fenomeni impattanti quali l’IoT, è innegabile che fattori quali mobility, cloud, big data e crescita dell’e-commerce siano fenomeni italiani con il più evidente impatto infrastrutturale It”, sottolinea l’analista. “Di fronte alla velocità con cui gli effetti del digital business si stanno propagando, anche in Italia, l’It deve iniziare a ‘cedere dei pezzi di sovranità’ perché da solo non può fare tutto e non è solo una questione di modello di governance ma anche di sostenibilità ed efficienza di sistemi infrastrutturali non più all’altezza del loro ruolo”.
Il primo evidente impatto della digitalizzazione all’interno delle aziende, infatti, può essere ricondotto al livello di adeguatezza dei sistemi It, per la maggior parte ‘in sofferenza’. “Ne è la testimonianza concreta il fatto che numerosi attori stanno iniziando ad investire in Italia proprio nella costruzione di nuovi data center per poter offrire alle aziende servizi It difficilmente configurabili on-premise in modo rapido come richiede in realtà oggi il mercato”, porta in evidenza Rizzotto. “Va da sé che l’ambiente It aziendale, tradizionalmente molto diversificato, diventa anche molto esteso e va fuori dai confini dell’organizzazione pur rimanendo, di fatto, ancora una leva strategica importante”.
Data center, una trasformazione complessa
Il data center rimane il luogo dove il servizio It viene sviluppato ed erogato ma la sfida maggiore riguarda proprio il ‘match up’ tra tali servizi e i business requirement. Il disallineamento è tangibile a vari livelli:
- i data center si trovano nei ‘posti sbagliati’: i workload costruiti dalle organizzazioni sono orientati al consumatore perciò necessitano di data center vicini ai grandi hub di telecomunicazione ed ai centri residenziali, non vicini agli headquarter aziendali;
- i data center rappresentano una barriera all’agilità: molti data center enterprise sono stati costruiti e continuano ad operare sulla base dell’assunto che il potenziamento dei workload e delle tecnologie rimanga pressoché ‘immobile’ (procedendo spesso con un sovradimensionamento dei sistemi per fronteggiare i passi futuri). Una politica destinata a fallire di fronte all’esplosione di fenomeni quali mobility e analytics che stanno alimentando nuovi modelli (sistemi iperconvergenti, software-defined, It modulare e cloud based…);
- i data center costringono lo staff It a concentrare gli sforzi sulle cose sbagliate: “le ultime rilevazioni Idc confermano che la maggior parte dei budget It aziendali sono ancora spesi in elevate percentuali (tra il 70 e l’80%) per il mantenimento dell’esistente”, conferma Rizzotto. “Nonostante nuove tecnologie come virtualizzazione e converged systems, il tradizionale ‘design’ e le limitazioni a livello operativo che ancora oggi si riscontrano nei data center impediscono di raggiungere migliori livelli di efficienza operativa e service agility”. Una delle ‘pene’ primarie riguarda l’integrazione lungo tutto lo stack tecnologico: infrastrutture, network, storage, applicazioni, servizi (che, a cascata, ha un effetto diretto e dirompente sulle competenze It, spesso inadeguate come le infrastrutture).
Lo stato dell’arte… che evolve in fretta
Cercando di fare una fotografia attuale dei data center, secondo quanto riportato da Idc a livello globale l’ondata di Internet e il boom del .com hanno fatto nascere sul mercato nuovi attori ed evolvere molti service provider che hanno costruito nell’ultimo decennio dei grandi ‘data center warehouse’ dove poter ospitare tutti i web and application server. Questi ‘mega-data center’ oggi rappresentano circa il 30% di tutte le costruzioni data center del mondo [che nel 2017 saranno circa 8,6 milioni, nel complesso – ndr] ma nel 2020 ne rappresenteranno il 50%.
Non solo, nell’attuale contesto chiamato ‘la terza piattaforma’ dove cloud, mobile, social e analytics si intersecano e convivono dinamicamente, il data center deve evolvere ancora. Aziende come Apple, Facebook, Google, Amazon, Alibaba, Ibm o Microsoft, solo per citare alcuni nomi noti, stanno disegnando strutture specializzate a supporto di questi trend con focus particolare su scalabilità, sofisticazione, efficienza. Si tratta delle cosiddette ‘data factories’, “ma non è detto che tutte le aziende che oggi possiedono un data center siano in grado di ‘reggere’ il confronto e di trasformare le proprie infrastrutture seguendo questa direzione”, sottolinea ancora Rizzotto. “Nel 2018, per poter gestire una domanda crescente di servizi It da parte degli utenti [si stima che nel giro solo di un paio d’anni lo scenario che si concretizzerà nel mondo vedrà ogni individuo possedere cinque device, utenti mobili che ammonteranno a 4 miliardi, un volume di dati generato pari a 24 zettabyte, ovvero 6,75 terabyte per persona al giorno – ndr] i data center dovranno raddoppiare il numero di core installati rispetto ad oggi”.
Un’evoluzione che si traduce in requisiti ancora più elevati in termini di continuità, scalabilità, efficienza, sostenibilità energetica e interoperabilità tra ambienti fisici e virtuali, tutti requisiti imprescindibili per i nuovi modelli It dettati dal digital business. “Non tutte le aziende riusciranno a gestire autonomamente e in house la trasformazione dei propri data center”, conferma Rizzotto. “Partendo da questa convizione, stimiamo che già a partire dal 2017, a livello globale il 60% degli asset It sui quali le aziende si appoggiano per far girare il business ed erogare servizi sarà gestito in co-location, in hosting o attraverso data center in cloud”.
Ed è proprio per questo che, come accennato, si assisterà ad una crescita sostenuta dei cosiddetti mega data center accelerata dagli investimenti di grandi service provider in grado di raggiungere scale di efficienza inavvicinabili dalla gran parte delle aziende: Idc calcola per esempio che i 218 data center cosiddetti hyperscale attivi nel mondo coprano attualmente il 2% di tutto lo spazio occupato dai data center in generale, ma ospitino al loro interno quasi il 20% di tutti i server installati (percentuale destinata a crescere nei prossimi anni).
Dove andranno gli investimenti
Guardando agli scenari futuri Rizzotto cita in chiusura due grandi trend che influenzeranno gli investimenti data center a livello globale:
- riallineamento dei workload: entro il 2018 il 65% degli investimenti per le nuove infrastrutture data center sarà a sostegno dei cosiddetti ‘system of engagement’ (infrastrutture, architetture applicative e servizi il cui obiettivo è coinvolgere l’utente, sia esso interno, il cui coinvolgimento si traduce in produttività, sia esso esterno il cui engagement genera profitto). “Si ribalterà così il rapporto tra mantenimento dell’esistente e investimento in nuove opportunità”, sottolinea l’analista, “con particolare focus verso i ‘systems of insight’ (big data analytics), e i ‘systems of action’ (IoT)”;
- hyperconvergence e software-defined infrastructure: entro il 2017, la nuova generazione di sistemi convergenti ottimizzati per la tecnologia flash e software-defined consentiranno alle aziende di ridurre di oltre il 30% gli spazi interni dei data center (nonché lo staff a supporto). “Inevitabile comprendere come la riduzione degli spazi in realtà porti con sé una serie di ulteriori conseguenze – ribadisce in conclusione Rizzotto -; attraverso i sistemi iperconvergenti diventa facile rispondere in modo rapido alle crescenti esigenze di risorse It interne: alla continua crescita di capacità di calcolo si riesce a rispondere garantendo al contempo più elevati livelli di virtualizzazione, una migliore stabilità del network ed un più efficace sistema di storage. Il tutto bilanciato in modo dinamico all’occorrenza”.