Una Business intelligence processo-centrica che “pone il Data warehouse al centro dell’’impresa”: è questa, in estrema sintesi, la visione della Bi per l’impresa agile di Mike Ferguson, esperto di fama mondiale di DataWarehousing e di Architettura ed integrazione aziendale (Enterprise Architecture and Integration). Da Real Time Enterprise, l’azienda evolve in Intelligent Enterprise dove il business diventa capace di “self-tuning”, con operazioni configurabili al volo, per esempio in funzione della tipologia di cliente o in presenza di cambiamenti di contesto anche repentini.
Questa impostazione rende possibile – anche per processi operativi quotidiani – reagire a eventi, con estrazione al volo di informazioni utili e con conseguenti decisioni automatizzate (al verificarsi di condizioni previste) o, comunque, informate; informazioni che sono al servizio di utenti che non sono analisti di business specializzati in data mining, ma responsabili operativi. Come? Con processi configurabili e trainati da regole. Le tecnologie ci sono tutte, quasi tutte mature, alcune a livello comunque sufficiente. Ferguson suggerisce di partire con un progetto pilota, con un approccio di rilasci iterativi e di allargare gradualmente la Business Intelligence integrata a livello Enterprise (Ebi) e con essa il sottoinsieme operativo che usa la Bi in azienda.
Operazioni “intelligenti”: perché e a chi servono
“Lavoro a una nuova idea di Business Intelligente, che punta a mettere insieme sistemi di Bi e sistemi operativi, per integrare l’intelligenza nelle operazioni quotidiane” ci dice Mike Ferguson. L’esperto di datawarehousing risponde in sintesi alla prima e più facile domanda, “a cosa serve?”, raccontandoci prima un paio di “disastri logistici” visti da consulente in una grande azienda specializzata nella spedizione di auto. Nel primo, dopo la cancellazione di un ordine di spedizione da parte di un costruttore “primario”, le auto non arrivano più al porto di spedizione, ma il responsabile del porto non lo sa in tempo, sicché una nave viene fatta arrivare – e anche ripartire – semivuota, perché nemmeno il responsabile vendita del servizio ha avuto il tempo di rivendere la capacità residua della nave resasi disponibile. Nel secondo, un ordine viene improvvisamente aumentato: 400 auto stazionano di colpo sul molo e nessuna nave della flotta aziendale si trova nel raggio di 1500 Km; ne consegue l’affannosa ricerca di una nave a noleggio, che risulta essere un cargo da 5.000 auto. Di qui la risposta di Mr Ferguson alla prima domanda: “Man mano che si verificano eventi significativi per il business in esecuzione, la catena del valore deve – e oggi può – costantemente riottimizzare le sue operazioni per gestire il cambiamento, sulla base delle informazioni che la Business intelligence riesce ad associare all’evento per il processo in esecuzione”.
Gli esempi fatti danno già un’idea chiara degli attori cui serve la riottimizzazione operativa: non analisti di business, che continuano a fare mining e a produrre, con sofisticati strumenti Olap, rapporti cruciali per l’analisi della business performance e il supporto a decisioni oltre che operative, tattiche e strategiche; ma la base di manager e professionisti, nelle operazioni quotidiane, cui serve contare sul software per qualcosa di più elementare, ma pur sempre dipendente dal campo della Bi: allarmi automatici in tempo utile (non sempre serve in tempo reale), associati ora ad analisi, ora a raccomandazioni o al limite sostituiti da azioni automatiche, come appropriato.
Esempio di raccomandazione? Un operatore di Call Centre che, in funzione delle richieste del cliente (l’evento), riceve una raccomandazione per offrirgli un prodotto o un servizio in cross selling. Esempio di azione automatica? Le regole di business che determinano, in un processo operativo, comportamenti differenziati in funzione del profilo cliente (per esempio platino, gold, classico) e che possono agganciarsi a una Bi “al volo”. Una grande azienda di logistica di cui Ferguson è consulente, per esempio, approvvigiona di prodotti cinque grandi catene sparse su tutto il territorio e 18.000 piccoli negozi, per l’intero segmento dei quali naturalmente l’azienda vuole che tutti i processi di business abbiano un comportamento standard, mentre può esserci una personalizzazione per ciascuno dei 5 clienti top.
BI operativa: prerequisiti e architettura
Per ovvio che sembri, il primo passo è a livello di business plan: garantire, con una consistenza aziendale di obiettivi, che ogni e qualsivoglia uso di intelligenza operativa sia totalmente in linea con la strategia di business. Se gli obiettivi operativi non contribuiscono all’obiettivo strategico complessivo, o questo si decompone in sotto obiettivi chiave che sono non compresi o violati, le decisioni operative intelligenti sono addirittura un rischio: l’Ebi è e resta parte integrante dello sforzo di Enterprise Business Performance.
Ferguson sottolinea poi che più che insieme di prodotti, l’Ebi è un’architettura a più componenti (si veda la figura 1), che poggia su due infrastrutture che lavorano insieme: quella di accesso classico al sistema di Business Intelligence (coi tool per costruire e accedere ai sistemi di data warehouse tramite Data Integration Platform), e quella di Business Integration che consente di incapsulare intelligenza nei processi, appunto “come se si mettesse il data warehouse al centro dell’impresa”.
La Business Integration ha come chiave di volta i servizi Web, secondo gli standard della Service oriented architecture (Soa). È possibile accedere ai servizi Web esposti dai tool di Bi, e integrarli, tramite gli “operational system” nelle diverse maniere schematizzate nella figura: come servizi applicativi integrati utilizzando il Service Bus aziendale per il messaging, resi accessibili in portali aziendali o essere visti come servizi facenti parte di sottoprocessi di business, schedulati dal Business Process Management aziendale.
È così possibile creare, grazie ai servizi di connessione della Business Integration, nuovi processi di business risultanti da esecuzione combinata fra i due sistemi operativo e di intelligence, che Ferguson ama chiamare “processi Intelligenti”.
La tecnologia per l’intelligenza process-centrica
I “processi Intelligenti” sono tali per tre capacità: reagire ad eventi; estrarre e associare al volo all’evento informazioni eventualmente utili perché l’operativo possa prendere decisioni informate; o intraprendere azioni automatiche al verificarsi di condizioni previste. Ed è tutta tecnologia che Ferguson snocciola come disponibile qui e ora.
Cominciamo dal fondo: il motore di regole, capace, con un accesso al data warehouse, di ottenere l’intelligence necessaria per il percorso tra regole e accessibile come servizio web, è offerto oggi, per esempio, da BizTalk di Microsoft o da Corticon, partner Ibm, che ci mette i WebSphere Business process modeling tool con cui configurare le regole. E una volta configurato, è il motore di regole che pilota comportamenti automaticamente differenziati del processo. Sempre su un evento, in alternativa o in aggiunta a scelte automatiche, c’è il supporto informato alla decisione, che consta di arricchimenti configurabili con un meccanismo di data-on demand, affidato alla Data integration platform: per i sistemi operativi nella versione Enterprise Information Integration (Eii), ci sono WebSphere Information Integrator o Bea Liquid Data; per i sistemi di Bi nella versione Etl, si hanno i vari prodotti Ascential, Informatica (SuperGlue), Business Objects (Data Integrator), Sun (Etl Studio). Cruciali sono Alerting Services, servizio di sottoscrizione ad eventi che fluiscono nel service bus aziendale, e Business Activity Monitoring (Bam), che si attiva quando l’evento è di interesse per decidere quale azione automatica intraprendere. La metafora che Ferguson cita per Bam e i processi intelligenti è quella del cervello e del corpo umano: se si corre su per le scale, il cuore si mette a battere più veloce, si respira più pesantemente, si comincia sudare: una parte del cervello (Bam) ha individuato effetti sul fisico (per esempio meno ossigeno nel sangue) come cambiamenti di stato e aggiusta il corpo per gestire il cambiamento.
La domanda finale, ancora più ovvia di quella iniziale, è sui tempi occorrenti per rendere intelligente l’impresa con una Bi a disposizione di tutti processi operativi. L’invito di Ferguson è di non ragionare in termini di “quanto tempo ci vuole per arrivare” ma di “approccio con cui partire”. La strategia da adottare è quella di rilasci iterativi, cominciando a dispiegare un sottoinsieme di Ebi in un settore di business scelto come pilota, e di qui esportarne progressivamente componenti in tutta l’impresa.
Architettura della Business Intelligence integrata a livello Enterprise (Ebi)
L’Intelligent Enterprise: una Real Time Enterprise con decisione operativa
Come si posiziona l’Intelligent Enterprise rispetto alla Real Time Enterprise (Rte) verso cui si incamminano tutti i grandi vendor, come per esempio Ibm con Common Event Infrastructure, Oracle con Event Fabric?
Nella Rte, l’azienda, al fine di competere usando informazione aggiornata stato dell’arte, per ogni processo olistico si deve focalizzare, come in figura, sul tempo di ciclo tra percezione dell’evento e azione di risposta appropriata, nell’intento di minimizzarlo.
Nell’Intelligent Enterprise di Mike Ferguson, i processi operativi ricorrono alla Business Intelligence per decisioni operative informate e in tempo utile; la chiave event-driven è la stessa della Rte, c’è la componente Bam (Business Activity Monitoring) che complementa una Business Process Integration, l’equivalente della Business Process Fusion.
La differenza significativa qui è che il processo di decisione, da estraneo all’Action, ne diventa parte integrante (vedi freccia), affinché appunto il processo operativo a seconda dei casi possa abilitare decisioni informate o addirittura decisioni automatiche su base regole. (R.M.)
l cycle time dei processi di business, Fonte Gartner
L’integrazione dei metadati, “il” problema della Business Process Integration
L’integrazione d’impresa (Business Process Fusion o Integration che dir si voglia) ha un unico vero problema sullo sfondo: i metadati, conviene Mike Ferguson. Ogni sottosistema si riferisce a dati con nomi e definizioni di dati diverse: la Bi, i Portali, il Bpm aziendale, l’integrazione applicativa, tutti hanno bisogno di una comune definizione di dati di livello impresa o un vocabolario di business comune.
Soluzioni tattiche non mancano. Ferguson osserva che i vendor più avanzati, per esempio Informatica, si sono resi conto che i loro tool d’integrazione possono essere usati anche per integrare metadati, non solo dati: per esempio Superglue di Informatica fa Etl su metadati. Ciò che dovrebbe succedere è che i metadati vengano esposti via Servizi Web, in modo che si possano chiedere e ottenere in un form Xml (che potrebbe essere Emf o Cwl o in “schema” Xml secondo i vari standard di settore).
Secondo Ferguson, la soluzione di un repository virtuale aziendale non potrà venire che dai grandi vendor, con Ibm in pole position con Xmr (Xml Metadata Registry), tecnologia Db2, che ne fa un unico Repository virtuale per (i tanti) tool che supportano metadati. La strategia di prodotto Db2 Xmr è chiara: rendere i metadati disponibili alla più ampia gamma di prodotti via Eclipse, puntando a far diventare i metamodelli di Eclipse Modelling Framework, dei de facto standard di settore. Ferguson è cautamente disposto a scommettere su un effetto valanga di Db2 XMR con Eclipse (salvo l’incognita di Microsoft, vedi WinFs di Longhorn). (R.M.)