Se l’epica della corsa al quantum advantage è alquanto inflazionata, molto meno lo è quella per ottenere reti quantistiche efficienti. Sembra strano a dirsi, visto che è un buon modo per avere network non violabili. Una delle prime sue applicazioni sarebbe infatti la distribuzione delle chiavi in cui si sfrutta il fenomeno dell’entanglement di una coppia di qubit, per garantire che non ci sia stata alcuna interferenza.
Nonostante lo scarso rumor su questo tipo di utilizzo della quantum computing, c’è chi continua a sostenerne lo sviluppo. Utilizzando i diamanti, stavolta è anche riuscito a far voltare la testa a chi si concentrava solo su altre sfide, con soluzioni più lontane del tempo. Quella del quantum network si può vincere fra qualche anno.
Ripetitori quantistici per lunghe distanze
Numerose aziende anche Telco, hanno infatti già dimostrato la fattibilità delle reti quantistiche. Prima di cantare definitivamente vittoria, però, è necessario precisare che, per il momento, funzionano solo su brevi distanze. Il “need” attuale del mondo della ricerca – e delle aziende interessate – è quindi quello di far scalare la tecnologia. L’idea è che possa arrivare presto a supportare reti più grandi, su distanze maggiori. Una mission che AWS ha fatto propria e per cui ora propone una soluzione: i diamanti.
Per comprendere il valore e le motivazioni di questa proposta a primo acchito un po’ “stramba”, va studiata un po’ della fisica su cui il network quantistico si basa. In generale, più lontano viaggia un segnale ottico, più sono statisticamente probabili distorsioni, a causa delle imperfezioni naturali della fibra.
Per ovviare a questo problema, per un qualsiasi segnale sono sempre stati utilizzati amplificatori e ripetitori a intervalli regolari che non facevano altro che ripulire e potenziare di volta in volta il segnale. Se si ha a che fare con i singoli fotoni delle reti quantistiche, però, questa soluzione non funziona altrettanto bene. È necessario ricorrere a strumenti ad hoc: ripetitori quantistici in grado di fare quello che un amplificatore ottico fa per le reti classiche. Ciò significa che devono essere in grado di correggere qualsiasi perdita e infedeltà senza interrompere lo stato quantistico. Come? Catturando le informazioni codificate nella luce, memorizzandole e intervenendo su eventuali errori sfruttando i qubit vicini. È questo, infatti, un modo per correggere il segnale senza misurare – e quindi perturbare – lo stato quantico, compromettendo l’entanglement.
Il valore dei diamanti “difettosi”
Per effettuare questo passaggio, i diamanti sembrano una soluzione ideale. Studiando stavolta la loro fisica, si scopre che hanno centri di colore che li rendono ottimi candidati a diventare ripetitori quantistici. Quelli che solitamente chiamiamo difetti, in questo caso sono più che mai preziosi, perché assorbono il fotone contenente l’informazione quantistica e poi lo riemettono. Creando strutture intorno, inoltre, si possono anche manipolare l’assorbimento e la riemissione.
In teoria, tutto torna e c’è anche chi già sta passando alla pratica. AWS ne sta studiando la fattibilità commerciale per portare l’idea fuori dai laboratori accademici. Lo sta facendo attraverso una collaborazione mirata con Element Six, società controllata da De Beers, convinta che il futuro roseo del quantum network sia a pochi anni di distanza. Tre? Cinque? Sette? Dipende da come si riescono a combinare scoperte fisiche e strumenti tecnologici. Il diamante, in questo contesto, potrebbe rappresentare una decisiva svolta. Il “jolly” per sbloccare la ricerca e avvicinare sulla scala temporale l’obiettivo.