Attualità

Il ruolo dell’ICT nel progetto Eni Lighthouse per la digitalizzazione degli impianti

Il progetto Eni Digital Lighthouse ha come obiettivo quello di digitalizzare alcuni impianti, considerati da Eni asset strategici. È un contributo alla trasformazione digitale e un’opportunità importante per ridisegnare i processi aziendali, in una logica di miglioramento, utilizzando le soluzioni tecnologiche ad oggi disponibili sul mercato. Ne emerge un ruolo centrale dell’ICT nella scelta della tecnologia anche in virtù del fatto che sarà questa funzione a doverne garantire lo sviluppo, l’operatività, la sicurezza, l’integrazione e la manutenzione nel tempo.

Pubblicato il 30 Mar 2020

ENI digital 1

“In questo contesto, il contributo che come ICT offriamo è molteplice, e lo offriamo giocando un ruolo chiave, ponendoci come intermediari tra il mercato, che produce la tecnologia, e i nostri colleghi di business che la devono utilizzare.” esordisce Giuseppe Givralli di Eni, Business Partner ICT per l’Upstream.

“Con questo ruolo il primo passo consiste nella comprensione dei fabbisogni che vede una stretta collaborazione fra ICT, la struttura digital e il business.

Compresi i fabbisogni scegliamo la tecnologia dopo aver valutato l’impatto, in termini di operabilità, integrazione e di sicurezza, che questa genererà una volta calata nella nostra architettura infrastrutturale e applicativa, che è composta da centinaia di applicazioni e sistemi, e si comporta come un organismo vivente, dove ogni applicazione si interfaccia con le altre, siano esse on premises o esposte nel cloud, scambiandosi dati.

In questo contesto dobbiamo assicurare la fruibilità, la sicurezza nonché la scalabilità, elementi che sarebbero ininfluenti nel caso la soluzione tecnologica fosse limitata a un pilota, ma che risultano fondamentali nel momento in cui questa stessa debba essere industrializzata per poter essere fruibile dalle persone che lavorano presso le filiali ENI in tutto il mondo.

Rilasciata la soluzione applicativa dobbiamo garantirne la disponibilità e il monitoraggio, e pertanto definiamo dei modelli operativi che si appoggiano su tecnologie ad hoc, e soprattutto dobbiamo garantirne l’evoluzione.

Pur senza rincorrere l’offerta di mercato, serve un monitoraggio attento, per migliorare le soluzioni nel tempo”, commenta Givralli.

foto Givralli
Giuseppe Givralli, Business Partner ICT per l’Upstream di ENI

Una nuova organizzazione ICT per compiti sempre più complessi

“Al fine di meglio supportare il percorso di trasformazione di Eni, recentemente la funzione ICT si è riorganizzata ponendo una sempre maggiore focalizzazione sulle nuove tecnologie e su modelli architetturali innovativi che siano in grado di supportare i nuovi fabbisogni e garantire l’alta affidabilità dell’infrastruttura tecnologica complessiva” evidenzia Givralli.

“L’obiettivo che vogliamo cogliere è quello, al sorgere di una nuova esigenza da parte dei colleghi di business, di massimizzare il risultato attraverso un’azione sinergica tra le varie unità: ICT, Digital e Business. Solo recependo tutti insieme le esigenze saremo in grado di valutare se le stesse possono essere soddisfatte da una tecnologia già in house o se è necessario ricercare una nuova tecnologia sul mercato.

Resta inteso che pur essendo fondamentale il contributo di tutti, la responsabilità per la scelta della tecnologia non può che essere dell’ICT, l’unità preposta alla realizzazione e alla gestione della nuova soluzione, considerando i concetti precedentemente espressi in termini di integrazione, sicurezza, scalabilità e operabilità”, sottolinea Givralli.

Il caso Digital LightHouse

Il progetto Digital Lighthouse, identifica un approccio integrato con cui Eni intende digitalizzare un asset fondamentale come un impianto. Il Centro Olio Val d’Agri (COVA) è stato scelto per diventare la prima Lighthouse nel mondo Eni, vale a dire un impianto integralmente digitalizzato con le tecnologie più innovative.

Il progetto ha previsto l’implementazione di diverse soluzioni che fanno confluire i dati in un centro operativo (Integrated Operation Center), il cui obiettivo è quello di garantire un monitoraggio completo dell’asset; di fatto si passa da fonti di dati multipli e frammentati ad una “single source of truth” integrata con modelli predittivi per migliorare la produzione, ridurre i guasti, ridurre le emissioni e migliorare la sicurezza.

Completata nel 2018 la digitalizzazione dell’impianto del COVA, il programma si sta ora estendendo ad altri impianti all’estero, a partire da un impianto in Angola che sarà rilasciato entro il mese di Aprile prossimo.

“Con questo nuovo rilascio si devono evitare problemi di fruibilità, considerato che si dovranno utilizzare a 6 mila chilometri di distanza una serie di applicativi installati sull’infrastruttura green data center di ENI, con potenziali problemi di latenza e di gestione derivanti dalla distanza geografica”, evidenzia Givralli, che segue il progetto.

Quale percorso per la selezione e l’utilizzo di una nuova tecnologia

“La Lighthouse COVA, nella sua realizzazione, ha visto l’utilizzo di diverse tecnologie/architetture. Una di queste, basata su un’architettura a microservizi con utilizzo di container orchestrati da uno schedulatore, è utilizzata prevalentemente per le soluzioni di Enhanced Operator, Asset Integrity e Integrated Operation Center.

Una scelta tecnologica che, nel contesto in cui è maturata e per i risultati forniti è stata vincente.

Tuttavia per le successive Lighthouse Upstream, limitatamente agli ambiti di Asset Integrity e Integrated Operation Center, abbiamo sentito la necessità di passare ad una nuova tecnologia, Appian, considerata più adatta, in una logica Agile, a soddisfare sia le esigenze funzionali che quelle più tecnologiche.

Ci serviva una soluzione “più Agile”, che riducesse i tempi necessari a realizzare e modificare soluzioni personalizzate – spiega Givralli – I driver per la selezione sono stati pertanto, oltre ad una maggiore flessibilità ai cambiamenti anche la facilità di integrazione, la semplicità nella realizzazione di workflow e di rappresentazione dei dati, nonché la possibilità di valorizzare maggiormente le risorse interne, grazie alla semplicità di utilizzo.

Il quadro di quanto rilasciato nella Lighthouse COVA si completa con la soluzione a supporto dei processi HSE (Smart safety) e l’utilizzo di modelli predittivi a supporto dei processi di Produzione e HSE.

In tutti questi casi la tecnologia a supporto delle soluzioni rilasciate è stata scelta dall’unità ICT attraverso un processo di selezione che, oltre a considerare le opportunità offerte dall’ecosistema e quindi: i) le indicazioni degli analisti di mercato, ii) le proposte del mercato, iii) il contributo del mondo universitario e di start-up, ha previsto una serie di incontri con i diversi attori al fine di verificare l’aderenza della soluzione/tecnologia proposta ai nostri requisiti in termini di funzionalità, integrazione, sicurezza, scalabilità e operabilità.

Nel caso delle Lighthouse “post COVA”, una volta identificata la tecnologia Appian, abbiamo fatto una ‘request for information’ sul mercato rivolta ad alcuni system integrator per verificare la loro disponibilità e la capacità in termini di workforce per realizzare un programma di una certa complessità e estensione geografica che potrebbe avere diversi rilasci in parallelo”.

Il nodo della sicurezza

“Quando sviluppiamo le soluzioni, per garantire la sicurezza, puntiamo ad assicurare la riservatezza, l’integrità, la disponibilità del dato coerentemente con la sua rilevanza. L’insieme dei dati, e le relative informazioni ad essi associate, costituiscono il “patrimonio informativo” aziendale che deve essere opportunamente protetto”, precisa Givralli.

“Inoltre la crescente convergenza tra la rete di processo e quella gestionale rende i sistemi industriali meno isolati rispetto al mondo esterno, e quindi soggetti alle minacce e alle vulnerabilità tipiche del mondo “cyber”: questi nuovi scenari determinano la necessità di un’attenta individuazione delle architetture e delle soluzioni di cyber security da applicare segregando opportunamente le reti.

Quando andiamo a realizzare le Lighthouse, andiamo a prelevare i dati anche dalla rete di processo e li portiamo sulla rete gestionale, due reti che oramai convivono e sono in simbiosi, e che devono essere protette, anche attraverso un’opportuna segregazione, per ridurre, per quanto possibile, il rischio di intrusione con potenziale manomissione del dato e quindi evitare gravi problemi di sicurezza delle persone e di business.

Per garantirne la sicurezza servono diversi accorgimenti tra cui, oltre ad un coinvolgimento dell’unità Cyber sia nelle prime fasi, in cui si sceglie la tecnologia, che nelle fasi progettuali successive, anche il miglioramento continuo del sistema di gestione della cyber security”, spiega Givralli.

Centrali le competenze e la motivazione delle persone

Specifica Givralli “Per realizzare quanto fin qui descritto le competenze sono fondamentali: Ne servono di tutti i tipi: tecnologiche per interagire con l’ecosistema e per garantire l’operabilità, la sicurezza e la fruibilità delle soluzioni world wide, e funzionali per poter interagire, portando valore, con i colleghi di business. Importantissimo infine l’aspetto legato all’interculturalità, considerato che le nostre soluzioni vengono utilizzate in gran parte anche da colleghi appartenenti a culture e religioni diverse dalla nostra.

Le competenze, che ICT continua a far evolvere attraverso programmi di formazione mirati, tuttavia, da sole non bastano. Sono indispensabili altri due ingredienti per una ricetta “ottimale”: la passione, che abilita la motivazione, e la capacità di lavorare in gruppo, dove tutti contribuiscono all’interno di ruoli ben definiti. Solo così è possibile giocare un ruolo attivo nel percorso di trasformazione digitale della ns azienda e contribuire al raggiungimento degli obiettivi prefissati”, conclude Givralli.

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