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Infrastructure as code, ecco perché sceglierla

Il modello IaC consente di automatizzare e velocizzare il provisioning delle risorse IT, risolvendo i problemi legati all’errore umano, garantendo livelli di uptime più elevati, riducendo il numero di ticket e aiutando a risolvere gli incident in tempi più celeri.

Pubblicato il 10 Feb 2023

Infrastructure as code

L’espressione Infrastructure as code (IaC) identifica una pratica IT che sta assumendo sempre più rilevanza, perché introduce l’automazione nelle operazioni di provisioning dell’infrastruttura, aderendo ai paradigmi più moderni di gestione del ciclo di vita del software e accelerando le attività di operation erogate da DevOps e SRE. “Si tratta di un pattern, cioè di un modello, supportato ed espresso da una tool chain ben definita” spiega Eugenio Marzo, Execution Manager e DevOps Engineer di Sourcesense, che fa un paragone con il DevOps, anch’esso da considerare nella duplice accezione di metodologia e di set di strumenti operativi.

“L’IaC risponde al problema della manualità nella costruzione delle infrastrutture che spesso può essere all’origine di errori umani e di porzioni di infrastrutture non ripetibili e non controllate. Tramite l’Infrastructure as code, invece, qualsiasi parte dell’infrastruttura dalle virtual machine allo stack di rete- viene trattata come item di sviluppo”.

I principali vantaggi e i KPI dell’Infrastructure as code

Lo strumento di versionamento del codice utilizzato dai team di Sourcesense è GIT, lo standard de facto per il controllo di versione creato da Linus Torvalds, lo stesso inventore del kernel Linux. Tramite Git e Terraform, ad esempio, è possibile tenere traccia dell’infrastruttura, comprenderne i cambiamenti e sapere chi li ha effettuati. E questo senza aver bisogno di troppa documentazione, la cui verbosità è spesso di difficile consultazione e rallenta i tempi di deploy. Questo è uno dei vantaggi dell’Infrastructure as code a paragone dei metodi tradizionali”.

In assenza di un sistema di tracciamento che registri in maniera completa e sistematica ogni singolo cambiamento, si arriva a quello che viene definito “configuration drift”, ossia alla proliferazione incontrollata e disomogenea di ambienti di sviluppo, test e filoni di produzione.

Se si dovessero sintetizzare i vantaggi dell’IaC in termini di KPI, questi si potrebbero tradurre in uptime più alto dei sistemi, minore numero di ticket e incident risolti in tempi più bevi. Dal punto di vista strategico, invece, l’Infrastructure as code si colloca su un livello che sta rivoluzionando l’informatica nel suo complesso. Basti pensare che sull’importanza dell’automazione strutturata in ambito IT, Gartner ha condotto nel 2022 una survey, intervistando 304 Infrastructure and Operations leader.

L’85% dei rispondenti si è detto certo che l’automazione aumenterà entro i prossimi 3 anni. Una certezza confermata, alla luce della propria esperienza sul campo, anche da chi, come Sourcesense, propone la metodologia IaC.

Quando le aziende enterprise scoprirono l’open source

Questa visione non è tanto frutto di evidenze statistiche, come nel caso dell’analisi di Gartner, ma trae forza dalla storia stessa di Sourcesense. Fondata nel 2001 a Roma, oggi possiede 5 sedi, di cui 4 in Italia e una a Londra. Fin dalla sua nascita “ha lavorato con tecnologie open source, vincendo una sfida che in passato era molto più complessa di adesso: portare l’open source sui clienti di classe enterprise con una sorta di evangelizzazione sull’utilizzo di questi tool e su una serie di approcci basati sulle automazioni”.

Se si pensa che oggi il concetto di “vendor neutral” ha sostanzialmente scalzato la prassi nell’adozione delle tecnologie proprietarie, ritenuta insostituibile soprattutto dalle grandi aziende, si capisce quanto sia stato pionieristico l’impegno dell’azienda nel modificare concetti fortemente radicati. Secondo Eugenio Marzo il tempo ha dato ragione a questo impegno, con risultati che hanno visto un aumento del fatturato del 31% nel 2021 rispetto al 2020, preceduto dalla quotazione in borsa sul listino Euronext Growth Milan dedicato alle PMI dinamiche e competitive.

L’investimento da parte di Poste Italiane (che ha acquisito il 70% del pacchetto azionario) avvenuto nel 2022, poi, ha rappresentato l’ennesima conferma del ruolo chiave che Sourcesense continua a svolgere nel portare i sistemi open source e l’automazione all’interno di contesti aziendali altamente strutturati.

Tra i primi in Italia a installare Red Hat Openshift

La scelta di Poste Italiane di utilizzare Sourcesense come un suo branch tecnologico è stata dettata dal desiderio di dare continuità a quei percorsi di innovazione che avevano già caratterizzato la partnership tra le due società. “Collaboravamo già da parecchi anni, coprendo aree di intervento che vanno dallo sviluppo di applicazioni a microservizi all’implementazione di infrastrutture” afferma Eugenio Marzo.

La Unit di oltre 200 risorse previste per il 2023 in Sourcesense, di cui circa il 90% formato da personale tecnico, può mettere a disposizione sia del Gruppo Poste sia degli oltre 150 clienti italiani ed esteri un bagaglio di competenze particolarmente pregiate. Quelle stesse che hanno permesso di essere tra i primi in Italia a installare Red Hat Openshift Container Platform. O, ancora, di riuscire a “innestare in Poste Italiane un competence center DevOps che si occupa di tecnologie quali Kafka, Cassandra, MongoDB, e, ovviamente, Openshift.

“Nella nostra visione vendor neutral, utilizziamo molto spesso Terraform di HashiCorp proprio per poter operare su differenti cloud provider utilizzando un unico strumento. Inoltre, ci adattiamo all’ecosistema del cliente scegliendo tool e metodologie dopo un’accurata analisi” afferma in conclusione Eugenio Marzo. A dimostrazione del fatto che il confine tra mondo open source e tecnologie proprietarie ormai è sempre più sfumato, anche grazie al lavoro che Sourcesense non ha mai smesso di fare in questi anni.

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