alla ‘tavola rotonda’ hanno partecipato: Giorgio Barcellari, Enterprise Infrastructure Practice Manager di Hp Italia; Danilo Ciscato, Direttore Business Development di Cisco Systems Italia; Massimo Manica, Marketing Communication Manager di Emc Italia; Fabrizio Renzi, Manager of e-Business Technical Sales di Ibm South Europe e, in rappresentanza delle aziende utenti, Carlo Pizzini, Information Security Management Systems Director di T-Systems Italia, società che tramite la sua attività di outsourcer, fornisce e insieme utilizza tecnologie avanzate.
Semplificare ed ottimizzare i sistemi informativi sta diventando, per le imprese che intendono migliorare la loro competitività, un obiettivo prioritario. Ma il cammino si presenta difficoltoso, poiché oltre agli impatti strettamente tecnologici, non sono da sottovalutare anche quelli organizzativi e in particolare le pressioni circa un cambiamento sul ruolo del Cio, le cui funzioni e responsabilità tendono gradualmente a spostarsi dalla gestione del ‘day-by-day’ e dell’efficienza operativa, alla pianificazione strategica delle infrastrutture necessarie a supportare le crescenti esigenze di flessibilità del business. L’offerta It già sta rilasciando soluzioni volte a favorire questa maggiore flessibilità. Tuttavia, le nuove infrastrutture non potranno essere create ‘ex-novo’, ma dovranno tener conto, soprattutto nel caso delle imprese di maggiori dimensioni, anche di quelle, spesso complesse e stratificate, già esistenti.
Per inquadrare meglio questi temi, ZeroUno ha organizzato una tavola rotonda, coordinata dal direttore Stefano Uberti Foppa e alla quale hanno partecipato (vedi riquadro) i rappresentanti di alcune tra le maggiori aziende oggi impegnate nel progettare il futuro dell’It.
Uberti Foppa: Si tende a dare per scontato che i sistemi informativi debbano essere sempre più flessibili ed efficienti. Volendo tuttavia affrontare questo tema in termini di architetture in grado di realizzare quell’obiettivo, quali sono le attese e le esigenze delle aziende, quali i vincoli e gli sviluppi che possiamo attenderci? Esiste in particolare una qualche forma di architettura che possa essere presa a riferimento?
Barcellari: Sicuramente l’internazionalizzazione e la globalizzazione dei mercati hanno portato in primo piano nelle aziende il tema della flessibilità, ed è anche per questo che Hp ha sviluppato una strategia d’offerta alla quale è stato dato il nome di ‘Adaptive Enterprise’. Tuttavia anche le aziende intenzionate a far evolvere i loro sistemi informativi verso una maggiore efficienza e flessibilità, non sono disposte a farlo ‘in un colpo’, soprattutto qualora ritengano che ciò possa influire negativamente sulla loro operatività. Noi stessi pensiamo che ogni evoluzione di questo tipo debba essere preceduta da un attento lavoro di pianificazione, che si dovrebbe sviluppare attraverso tre passi successivi. Innanzi tutto, assicurarsi che le infrastrutture informatiche correnti possano già garantire appropriati livelli di servizio. Poi, nel caso i cui queste fossero ridondanti, prevedere un consolidamento che consenta di razionalizzarle. Solo a questo punto si potrà cominciare a definire le caratteristiche di adattabilità, e le capacità di allocazione dinamica delle risorse ai processi di business, che dovrà possedere la nuova infrastruttura.
Renzi: In Ibm, con l’espressione ‘computing on demand’, più che un’architettura intendiamo definire il modo con il quale si dovrebbe affrontare il problema della flessibilità. Una soluzione on-demand è di fatto un progetto dove utenti e fornitori disegnano assieme quello che serve per diventare più flessibili. Ora, in questi progetti, il problema principale da affrontare è quello dell’integrazione. Oggi non ci sono più aziende non informatizzate, ma questa informatizzazione presenta nella maggior parte dei casi strutture stratificate e sedimentate che non si possono ignorare. I clienti ci chiedono quindi innanzi tutto di aiutarli ad integrare quello che già hanno, e solo in seguito d’intervenire sull’infrastruttura in modo da renderla capace di soddisfare meglio le richieste di flessibilità provenienti dal business. Con tecnologie basate su standard aperti, in modo che ciò che si fa oggi si possa più facilmente integrare e modificare domani.
Ciscato: Il mondo del networking si è evoluto più rapidamente di quello dei server o dello storage. Dieci anni fa le aziende che installavano sistemi eterogenei faticavano a farli comunicare. Poi è arrivata Internet e oggi quasi tutte le aziende, o almeno quelle di maggiori dimensioni, sono dotate di infrastrutture di rete di tipo Ip che permettono, almeno in parte, di risolvere il problema. Il cammino da compiere non è tuttavia ancora concluso. Siamo vicini ad una nuova svolta tecnologica, determinata appunto dall’esigenza di soddisfare le richieste d’integrazione e di flessibilità dei sistemi, che abbiamo battezzato ‘Intelligent Information Network’. Infatti nemmeno le reti odierne, sebbene abbiano capacità molto superiori che in passato, sono capaci di gestire in modo intelligente le diversità, per dire, tra il traffico relativo ad un disaster recovery remoto e una transazione ‘bancomat’, né d’integrare completamente i dati con la voce o le immagini in movimento, e di farlo modo indipendente dalla connessione, che sia cioè cablata o wireless.
Manica: La richiesta di flessibilità nasce sempre da precise esigenze, e tra queste vi è anche il fatto che nell’It la disponibilità di risorse umane specializzate sta diminuendo. Nello storage, se è vero che i costi dei componenti dell’infrastruttura diminuiscono, la quantità di dati da gestire è in continua crescita, da cui la necessità di automatizzare certe attività. Ciò che gli utenti chiedono è la possibilità di far coesistere piattaforme e infrastrutture diverse, di virtualizzare cioè i sistemi di storage. Non mi sembra tuttavia che in quest’ambito esistano ancora delle precise architetture di riferimento.
Pizzini: Quando, assumendo la gestione dell’It di un’impresa, ne assorbiamo anche le risorse, diventa per noi fondamentale effettuare economie di scala, che di solito passano attraverso integrazioni basate su tecnologie caratterizzate da alta flessibilità. Questo non solo al fine di migliorare il Tco dell’operazione, ma per rendere possibili le successive evoluzioni tecnologiche. Gli strumenti utilizzati sono quelli dello storage e del network, intesi questi ultimi sia come connessioni a banda larga sia come ‘remote support’ per le applicazioni che continuano a girare presso i clienti. Naturalmente ci aspettiamo dei vantaggi, quando sarà effettivamente disponibile, anche dalla virtualizzazione delle Cpu.
Uberti Foppa: In assenza di architetture di riferimento, sarebbe comunque interessante definire i criteri sui quali dovrebbe basarsi un sistema informativo in grado di crescere in modo adattabile. E identificare a chi, in azienda, affidare la responsabilità del suo sviluppo. Infine, da dove incominciare…
Renzi: Dopo gli anni del decentramento, oggi sta tornando in auge la concentrazione delle attività informatiche. Ritorna di conseguenza ad essere centrale la figura del Cio, anche come persona che all’interno dell’azienda dovrà assumere la guida di questo cambiamento. Ed è giusto che sia così; primo perchè se l’azienda deve essere più flessibile, chi fornisce i supporti affinché questo possa avvenire deve necessariamente avere un ruolo e un’importanza maggiori. Poi, pur riconoscendo che oggi molte nuove idee provengono anche dal business, i fornitori di tecnologia devono comunque lavorare con i Cio, perchè l’evoluzione dell’It passa alla fine da loro.
Barcellari: Se è vero che i Cio si stanno trasformando in business manager, è altrettanto vero che anche i business manager hanno incominciato a farsi fautori di soluzioni It capaci di portare vantaggi competitivi alle loro aziende. Si sta delineando un nuovo connubio tra Cio e business manager, per cui riteniamo che nel cercare di rendere le imprese più ‘adptive’ si dovranno tenere presenti i contributi di entrambe le parti. A questo scopo, con l’aiuto di un’importante società di consulenza direzionale, abbiamo sviluppato una metodologia che indirizza le quattro aree sulle quali le aziende dovrebbero a nostro avviso operare: semplificare l’architettura dei sistemi informativi; utilizzare piattaforme e standard aperti; rendere sempre più modulari e quindi riusabili le applicazioni; procedere infine alla loro integrazione.
Pizzini: Al di là delle tante ‘buzz-word’ che oggi circolano sulla flessibilità, mi sembra di poter dire che le aziende avranno sempre più bisogno di potersi ‘attaccare a una presa’ ed assorbire capacità elaborativa. E per rendere questo possibile non si deve tanto partire da un disegno del sistema informativo, ma dalla messa a punto delle tecnologie che ci permetteranno di poter disporre su richiesta delle risorse necessarie: Cpu, network, storage e applicazioni.
Manica: Noi riteniamo che il disegno di un’architettura per l’It non debba avere come obiettivo solo la reattività, ma anche la capacità di crescere restando flessibile e reattiva e limitando i vincoli per gli utenti. Per questo motivo, e anche perchè quando le dimensioni di un sistema informatico crescono oltre un certo livello le relazioni tra i suoi componenti tendono a diventare sempre meno evidenti, pensiamo sia importante procedere ad una classificazione dei dati e delle applicazioni dell’azienda. Questa operazione, nella quale dovrebbero essere coinvolte tutte le funzioni aziendali, dovrebbe permettere di capire quali sono le reali esigenze, presenti e future, delll’impresa e del business, in modo da poter disegnare delle infrastrutture che, tenendo conto anche delle risorse già disponibili, siano in grado di operare e di crescere in modo flessibile mantenendo al tempo stesso una possibilità di integrazione con il passato.
Ciscato: Per realizzare certi livelli di integrazione bisogna che si sviluppi la consapevolezza di come i cambiamenti tecnologici possano avere importanti conseguenze sui processi e sull’organizzazione dell’azienda. Quindi, per trarre tutti i possibili benefici dal prossimo salto generazionale del networking non solo dovrà cambiare il ruolo del Cio, ma anche la percezione che dell’It si ha nelle imprese.
Uberti Foppa: Dalla discussione stanno emergendo alcuni punti che vorrei venissero meglio sostanziati. In particolare: quali sono gli elementi tecnologici innovativi, aventi come specifico obiettivo il miglioramento della flessibilità dei sistemi informatici già oggi disponibili, o che lo saranno a breve, per quanto riguarda storage, server e networking? E come evolveranno nei prossimi due-tre anni?
Manica: Nel campo dello storage l’evoluzione tecnologica non riguarderà tanto l’hardware quanto il software. E il 75% dei nostri investimenti in ricerca e sviluppo, escludendo le acquisizioni, viene fatto in quest’area poiché è il software, in definitiva, che consente di consolidare le infrastrutture e di semplificarne la gestione. Noi siamo già in grado di offrire soluzioni che permettono, ad esempio, di gestire i flussi dei dati in base a livelli di servizio predefiniti, spostandoli, se è il caso, su supporti di memorizzazione diversi.
Ciscato: La nostra visione tecnologica a tre-cinque anni, alla quale è stato dato il nome di ‘Intelligent Information Network’, è quella di un’infrastruttura all’interno della quale verranno inserite le tecnologie di punta del prossimo futuro: dall’Ip Communication al Wireless, dallo Storage Networking alla stessa Security, per la quale introdurremo il concetto del tutto innovativo di ‘self defending network’, di una rete cioè che è capace non solo di rilevare eventuali anomalie ma anche di difendersi e reagire in modo autonomo.
Renzi: In Ibm pensiamo che l’unico modo per continuare a far crescere l’informatica sia quello di svilupparne una capace di gestire al proprio interno tutte le inevitabili complessità; ed è quello che chiamiamo Autonomic computing. Lo scenario ‘on-demand’ ad esso legato si prevede richiederà almeno da cinque a sei anni per realizzarsi. Il concetto che vi è più vicino è quello del ‘virtual computing’, che nel tempo toccherà l’hardware, il software e le applicazioni.
Barcellari: Secondo la nostra visione dell’‘adaptive enterprise’, l’azienda che vuol essere flessibile e integrata dovrà partire dalla definizione delle proprie strategie di business per poi calarle in un’infrastruttura all’interno della quale gestire le richieste provenienti dalle applicazioni sia per quanto riguarda l’attivazione del servizio, sia per il ‘provisioning’ delle risorse che devono essergli dedicare e per il loro monitoraggio. Il tutto, supportato da un sistema di virtualizzazione come il nostro ‘Utility Data Center’ che un certo numero di clienti, negli Usa come in Europa, sta già utilizzando.