In un contesto It e business di crescente complessità, l’application delivery è un punto chiave per recuperare efficienza operativa e velocità di risposta. Ma come impostare una strategia per ottimizzare e automatizzare la distribuzione di dati e workload? Il tema è stato discusso durante una recente Tavola Rotonda di Redazione organizzata da ZeroUno in collaborazione con Riverbed.
Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno, esordisce commentando l’attuale scenario di Digital Disruption: “Grazie all’intelligenza software, le aziende possono creare prodotti e servizi che intercettano le esigenze di fruizione degli utenti, con un’offerta customer centrica, altamente profilata”. Il mercato è altresì attraversato da fenomeni di contaminazione, globalizzazione, mergers and acquisitions. “Tutta questa complessità – prosegue il direttore – si riverbera sia sui modelli organizzativi e skill professionali sia sui sistemi informativi, alla base della capacità di risposta delle aziende. L’informatica deve essere liquida (ovvero, flessibile) e, secondo la ormai famosa definizione di Gartner, bimodale (cioè, capace sia di gestire, ottimizzandolo, l’esistente sia di introdurre innovazione)”. Business e It devono essere contestualmente agili: si profila necessario un approccio di network e application management teso alla qualità del servizio e alla user experience, attraverso una corretta governance tecnologica.
Reti e datacenter verso il software-defined
L’intervento di Frank Lyonnet, Deputy Cto di Riverbed, descrive l’evoluzione delle infrastrutture It: prima basate su risorse on premise e un accesso a Internet centralizzato (le filiali per connettersi a Internet passano dal datacenter), con la tecnologia Mpls (MultiProtocol Label Switching) a regolare la Wan, oggi presentano applicazioni commodity sul cloud pubblico e un accesso alla Rete distribuito, che vede la combinazione di connessioni Mpls (tra Ced e filiali) e più economiche soluzioni broadband verso Internet e i cloud (figura 1).
Il passo successivo è rappresentato dall’approccio software-defined applicato al datacenter e quindi anche alla componente di networking; sul cloud vengono spostati anche i workload custom (non solo le applicazioni standard), mentre la tendenza è semplificare il più possibile le filiali: ad esempio, i firewall e gli altri strumenti di sicurezza vengono trasferiti oltre il perimetro aziendale del singolo branch e centralizzati nel pop del service provider.
Negli anni a seguire, si arriverà al modello ibrido (public compute e storage privato, almeno nello stadio iniziale; la migrazione parziale del core storage sarà a tendere), con applicazioni critiche trasferite sul cloud, il perimetro It sempre più esteso, la commistione di un’ampia varietà di servizi di rete e modelli di delivery (figura 2). “Il vero desiderio delle aziende – dichiara il Deputy Cto – è avere le risorse necessarie alle proprie applicazioni perché siano allineate agli obiettivi di business. La soluzione è il network on demand, che garantisce la disponibilità quando e dove necessaria, virtualizzando gli asset di rete”.
Digital Disruption: i percorsi delle imprese
La vision presentata apre le porte al dibattito. Prende parola Giuseppe Vitobello, Ict Manager di Eni (la società è fresca di un importante progetto di rinnovamento It, con l’inaugurazione a fine 2013, del nuovo green data center): “Siamo partiti con il cloud privato e alcune sperimentazioni di ibrido; da un paio d’anni, abbiamo ottimizzato la componente infrastrutturale e applicativa per quanto possibile. Ma la razionalizzazione non è il target, piuttosto un punto di partenza”.
Il tema della Digital Disruption è molto sentito in Philips, come racconta il Cio della società Domenico Solano: “Big Data e analytics sono una leva competitiva fondamentale, che richiede la revisione dei processi e delle infrastrutture per il recupero dell’agilità e nell’ottica di una progressiva digitalizzazione. In questa roadmap, il regista è la Business Transformation, non l’It”. Solano mette sul piatto altre questioni importanti: i vincoli del legacy e della sicurezza, il passaggio al full cloud, l’eventuale dismissione dell’Mpls.
L’invito di Valter Villa, Country Manager di Riverbed, è di non focalizzarsi solo sull’innovazione tecnologica, ma di porre attenzione anche sull’ottimizzazione e la valorizzazione dell’esistente: “Bisogna avere totale visibilità di cosa succede a livello applicativo e di rete: solo in questo modo si ottiene il controllo sui sistemi informativi e la possibilità di pianificare le prossime azioni, strategiche e tattiche. Dalla visibilità e dal controllo discende direttamente l’ottimizzazione: conoscendo asset e processi, è possibile procedere verso l’efficienza operativa”. A maggior ragione, questi pillar risultano indispensabili per muoversi negli ambienti ibridi complessi, dove, secondo Villa, il target delle soluzioni Riverbed si sposterà progressivamente dall’utente finale verso carrier e cloud provider.
Uno shift auspicato dalle aziende, sempre più impegnate nella semplificazione dell’infrastruttura in-house, come testimonia Umberto Stefani, Corporate Cio di Chiesi Farmaceutici: “I sistemi informativi devono funzionare come una lampadina, che si accende e spegne quando e dove richiesto. Non importa la tecnologia alla base (che va ottimizzata per ogni processo) e meglio ancora se è possibile delegarne la gestione”.
Quello che è veramente indispensabile, anche in un’ottica di standardizzazione, è una vera e propria partnership It – business: “Nel percorso di razionalizzazione applicativa e infrastrutturale a livello di gruppo, è necessario innanzitutto rendere omogenei i processi, definire dei template e per farlo la collaborazione tra It e Lob è indispensabile”, afferma Stefani.
Ma come si costruisce un percorso di co-innovation? Secondo Uberti Foppa, i feedback sulla user experience rappresentano un ottimo indicatore per testare il polso della situazione e definire nuovi Kpi su cui lavorare congiuntamente. “Sarebbe meraviglioso – commenta Fausto Gentili, It Manager Dstr. It Operations di Crif – se il business riuscisse ad antipare all’IT le linee e i tempi di innesco dei processi di innovazione, ma le Lob si trovano a operare in un contesto incerto in cui è difficile fare previsioni e nel quale serve comunque una capacità di reazione molto rapida. Certo, una visione strategica di medio-lungo periodo è auspicabile per consentire all’IT di fornire soluzioni efficienti e cost-effective”.
La chiave per una collaborazione di successo, concordano Lyonnet e Villa, è avere una visione end-to-end sui sistemi informativi, che permetta di superare lo schema a silos, in particolare per reti e applicazioni: solo così sarà possibile chiudere dinamicamente il gap tra situazione (i meccanismi in atto) e intenzione (i Kpi di business) attraverso il software-defined network.
Ottimizzare reti e applicazioni, dal centro alla periferia Fornendo l’Application Performance Platform per comprendere, ottimizzare e consolidare gli asset informativi aziendali, la mission di Riverbed è supportare i clienti nella creazione di un’architettura It flessibile e software-defined, in grado di sostenere la complessità dei i nuovi ambienti ibridi. Tra i prodotti di punta del vendor, SteelHead e SteelCentral AppResponse offrono una soluzione per la visibilità, il controllo e l’ottimizzazione end-to-end delle risorse It, accelerando performance di applicazioni on-premise e SaaS. SteelHead semplifica il raggruppamento delle applicazioni, a seconda della loro tipologia e priorità di business, per automatizzare l’attivazione degli Sla relativi. Inoltre, centralizza il controllo application-driven delle reti ibride con policy basate su “business-intent” che rendono più semplici la configurazione e la gestione della path selection e della quality of service (le applicazioni vengono distribuite su reti più o meno veloci a seconda della priorità strategica). Attualmente la piattaforma è in grado di identificare oltre 1.100 applicazioni on-premise e in cloud, ma l’obiettivo di Riverbed è ampliare il numero di soluzioni riconosciute, soprattutto in ambito SaaS. SteelCentral AppResponse, invece, misura la user experience sia per applicazioni aziendali web e SaaS ottimizzate e non per SteelHead, garantendo monitoraggio e troubleshooting più veloci. |