Se c’era bisogno di una nuova conferma, l’abbiamo avuta. I CIO oggi, per necessità o per scelta consapevole, sono una specie in via di…evoluzione. E saranno solo quelli che meglio si adatteranno al contesto che, scomodando Darwin, riusciranno ad arrivare alla nuova fase, quella in cui la propria competenza, radicalmente diversa da quella costruita fin qui, sarà centrale, insieme agli skill di altre persone, nella guida dell’azienda. Ne abbiamo parlato tante volte, ma ormai le conferme di questa “tensione al cambiamento” da parte dei CIO sono continue e manifeste.
Prendete per esempio l’ultima iniziativa che abbiamo organizzato, quella dei Digital360 Awards. Un’esperienza positiva, di rottura rispetto al solito panorama dei convegni e degli incontri a cui siamo abituati. In che consisteva? Quaranta aziende, comprese startup, che presentavano dinnanzi ad una giuria qualificata di cinquanta top CIO di alcune delle principali aziende in Italia, i propri progetti di innovazione digitale. Modalità pitch per la spiegazione del progetto in 5 minuti e numerose occasioni di networking relazionale hanno contraddistinto una giornata nella quale la digitalizzazione ha assunto le più disparate forme progettuali: da un crowdsourcing di competenze matematiche rappresentato da un bacino di scienziati e matematici internazionali da “usare as a service” per progetti di innovazione, ad una piattaforma che applica principi neuroscientifici per monitorare, comprendere e analizzare i comportamenti di acquisto dei clienti; da una soluzione di proximity marketing per ridurre gli sprechi alimentari informando i clienti in tempo reale della presenza nei supermercati di prodotti a rischio spreco, all’attivazione di finanziamenti in quattro step, via app mobile; dalla sensoristica per ottimizzare la gestione dei rifiuti urbani e la raccolta ottimizzata per contenere sprechi e inquinamenti, a sistemi per l’individuazione delle frodi nel digital banking tramite la modellizzazione del comportamento degli utenti; da agende con funzioni geospaziali per aggregare appuntamenti e ottimizzare, con sistemi esperti, il tempo del personale aziendale itinerante, a una piattaforma per creare velocemente manuali d’uso su oggetti reali, distribuiti tramite realtà aumentata; e molto altro ancora.
La cosa più bella vista nella giornata, e oggettivamente riconosciutaci come valore (ZeroUno, come parte del Gruppo Digital360 che ha ideato il progetto è stata la rivista di riferimento della giornata in quanto soggetto riconosciuto dalla comunità italiana dei CIO) è stato vedere l’interesse della Giuria dei CIO, l’impegno ad andare oltre la votazione per stabilire connessioni, contatti, necessità di rivedersi, avere l’esigenza di approfondire per valutare una potenziale declinazione di questi progetti all’interno delle proprie realtà aziendali; in altri termini, una nuova fonte di idee a cui i CIO sentono di dover attingere in questa loro costante ricerca di riposizionamento come soggetto trainante o parte di un movimento di innovazione digitale in corso.
Non si tratta di autocelebrazione quanto di trasferirvi un aspetto che è “segno dei tempi”, della “fame di nuova conoscenza” che oggi la categoria dei CIO manifesta appena possibile. È la curiosità ad aver spinto 50 Top CIO ad aderire con entusiasmo e in tempi davvero veloci, che ci hanno oggettivamente sorpreso, a questa nostra iniziativa. Curiosità, richiesta di approfondimenti maggiori nelle fasi preliminari, una concentrazione e partecipazione durante la giornata che ci ha davvero stupito.
Perché sta accadendo tutto questo? Non vogliamo accodarci alle facili esemplificazioni di realtà che hanno fatto della digital disruption il loro stesso essere impresa (uber e airbnb sono state citate fin troppo negli ultimi anni). No, parliamo di quella profonda, meno visibile innovazione che va ad intaccare le strutture organizzative delle imprese tradizionali nella loro faticosa ricerca di una nuova modalità operativa e di proposta di prodotto e di servizio in cui il digitale diventa la stella polare, il riferimento nella trasformazione del proprio modo di operare e di competere. Un’innovazione più complessa, più “carsica” in quanto deve traghettare tecnologie, processi, culture e competenze “legacy” verso quella declinazione digital che si prevede connoterà la società e la relativa domanda dei prossimi anni.
È da questa consapevolezza, che non era davvero presente soltanto pochi anni fa nei CIO, che nasce questa ricerca del nuovo, questa curiosità che sta portando nuovi skill e nuove passioni.
La profonda trasformazione organizzativa e professionale che i Sistemi informativi stanno subendo, avviene, come è naturale, con velocità e modalità differenti tra azienda e azienda. Ma il CIO che accetta di guidare o essere parte attiva di questo cambiamento e sta vedendo il mondo attorno a sé cambiare radicalmente a sua volta, ha la consapevolezza che gli strumenti tecnologici e professionali a lui noti, non bastano più. Ci sono punti fermi da segnare in agenda. Tra questi l’abbandono di competenze di dettaglio tecnologico, di integrazione puntuale, di intervento architetturale specifico per assumere una vista più end to end, di governance globale che si declina secondo due direttrici: una tecnologica, orientata a garantire efficienza, velocità, flessibilità e rispondenza alle necessità core del business, e una governance finalizzata all’innovazione digitale dell’azienda, sia all’interno, nelle modalità con cui l’azienda opera e collabora, sia nella sua proposta al mercato. In entrambi i casi, questa forma di “orchestrazione” ha al proprio centro un obiettivo ben chiaro: la soddisfazione dell’utente, la user experience.
È su questa che va costruendosi, tra mille difficoltà, un ridisegno radicale dell’organizzazione e delle tecnologie che compongono i sistemi informativi. Partendo dall’utente e dalla sua soddisfazione, fidelizzazione, condivisione con l’identità di brand aziendale, si stanno rimodellando competenze e processi sia nelle Lob (alle prese anch’esse con una nuova interpretazione dei criteri di business sempre più digital based) sia nell’IT, rimodellando architetture e applicazioni nell’ottica della qualità del servizio, veloce e flessibile in rapporto alle diverse esigenze dell’utente finale.
Tutto questo non può che generare nuove forme di collaborazione e di interazione dalle quali scaturiscono le idee, attingendo, come nel caso dei Digital360 Awards, a bacini esterni, ma integrabili, all’azienda.
Sia pur faticosamente, vanno costruiti “cluster di competenze ad assetto variabile”: Cio-Ceo-Cmo oppure Cio-Hr-Ceo o anche Ceo-Cio-Ciso, e così via, a seconda dei progetti, con la necessità, dietro a queste figure professionali e ad altre che se ne stanno rapidamente aggiungendo, di includere interi staff di persone e competenze esistenti anche all’esterno dell’azienda, ingaggiati su progetti di digital transformation. Non vi sembra un periodo stimolante? O avete ancora nostalgia della glass house? Beh!, Se non sapete cos’è la glass house…avete una speranza in più di sopravvivere.