Italia: come cambia la corporate governance

Le aziende considerano spesso solo gli aspetti formali della corporate governance non dando l’adeguato valore ai sistemi di supporto ai processi decisionali. Dalla ricerca condotta dalla Liuc emerge però in Italia una situazione in evoluzione e si evince la necessità di promuovere lo sviluppo di questi strumenti. Nella foto Masssimo Solbiati, consulente di direzione e docente di programmazione e controllo presso la Liuc di Castellanza e coautore della ricerca insieme ad Alberto Bubbio

Pubblicato il 07 Nov 2005

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Esistono parole che entrano nell’uso comune quasi senza accorgersene, e in certi casi addirittura prima che ne sia stata data una definizione precisa. Una di queste è ‘governance’, che nel corso degli anni più recenti si è diffusa a macchia d’olio. In effetti ormai non si parla più solo di Corporate Governance, ma anche di It Governance, di Business Governance, persino di Technological Governance, usando in definitiva questo termine ogni volta che si vuole sottolineare l’esistenza di un controllo su qualche tipo di fenomeno, o l’esigenza di esercitarne uno.

Un concetto in evoluzione
In particolare l’espressione Corporate Governance, che può essere tradotta ‘Governo d’impresa’, viene spesso utilizzata per indicare l’insieme delle regole che stanno alla base della corretta gestione delle attività societarie, e che pertanto dovrebbero favorirne il controllo e garantirne la trasparenza.
Se tuttavia si cerca di approfondire l’argomento, ci si rende conto che le aziende, quando parlano di Corporate Governance, di norma fanno riferimento (basta eseguire una ricerca su Internet con Google) solo agli organi che sovrintendono la vita aziendale: l’Assemblea dei Soci, il Consiglio di Amministrazione, il Collegio Sindacale, ai loro ruoli poteri e responsabilità, alle loro regole di condotta, al come intrattenere i rapporti con gli investitori istituzionali e così via.
“Il fatto di considerare solo gli aspetti più formali della Corporate Governance – osserva Massimo Solbiati, consulente di direzione e docente di Programmazione e Controllo presso la Liuc (Università Carlo Cattaneo di Castellanza)

– denota l’arretratezza delle aziende italiane sul tema specifico. Non basta infatti che i Consigli di Amministrazione (CdA) o le Assemblee dei soci si riuniscano con certe frequenze affinché si possa parlare di Corporate Governance. Sarebbe invece assai più importante se all’interno delle aziende venissero messi a punto adeguati sistemi di supporto ai processi decisionali, capaci di fornire ai CdA tutte le informazioni che li mettano nelle condizioni di effettuare un effettivo controllo strategico dell’andamento delle loro aziende, di capire cioè se le strategie definite dal management vengono effettivamente attuate.”
“Tutto vero – fa notare Federico Della Casa, General Manager di OutlookSoft Italia

ma bisognerebbe anche tenere presente che un’interpretazione avanzata di controllo e di governo della realtà aziendale non può emergere di colpo, una volta che se ne sia individuata la necessità, ma richiede inevitabilmente del tempo per svilupparsi. A ben vedere la Corporate Governance, nella sua accezione più avanzata, tende a sposare la visione propria del Business Performance Management, il quale propone strumenti in grado di fornire evidenze a 360 gradi dell’andamento delle aziende. In realtà io penso che molti dei nostri clienti si stiano ponendo il problema del come riuscire a dotarsi, nel giro di qualche anno, di tool capaci di misurare nel modo più preciso possibile i vari fenomeni aziendali in un’ottica sia gestionale che civilistica. E così incominciano a migliorare i loro processi di budgeting, poi a soddisfare le loro esigenze di reporting, successivamente a definire e a misurare i loro primi indicatori di performance, costruendo via via gli strumenti capaci di supportare effettivamente le loro esigenze di governance.”

La ricerca della Liuc
Per comprendere meglio il fenomeno – in particolare per capire quale percezione della Corporate Governance hanno le imprese italiane, verificare i meccanismi di funzionamento dei loro organi societari, e stabilire quanto i sistemi di pianificazione e controllo siano utilizzati a supporto delle decisioni, il ‘Bpm Lab’ – vale a dire l’Osservatorio sulle pratiche manageriali nelle imprese italiane di cui OutlookSoft ha finanziato la creazione presso la Liuc di Castellanza – ha svolto, sotto la guida dei professori Alberto Bubbio, docente della Liuc,

e Massimo Solbiati, una ricerca mirata che ha coinvolto un centinaio di aziende (il 25% delle quali quotate) di diverse dimensioni e operanti in più settori, come si può vedere dal seguente elenco. Un certo numero di aziende del campione ha infatti acconsentito che venisse citato il loro nome: Aem Torino, Albacom, Autogrill, Autostrade, Banca Carige, E.Biscom, Emak, Ferrovie Nord Milano, Htm Sport, Interpump Group, Italcementi, It Holding, Jolly Hotels, Lamberti, Lindt & Sprüngli, Liquigas, Merloni, Mondadori, Montepaschi Vita, Océ Italia, Officine Meccaniche Danieli, Poste Italiane, Ratti, Sabaf, Sammontana, Scavolini, SsB, Toro Assicurazioni, Zanussi Elettromeccanica e Wind.
I risultati della ricerca mettono in evidenza, accanto a zone di luce anche settori d’ombra.
Ad esempio mentre l’85% delle imprese del campione ritiene che la Corporate Governance debba essere considerata un’opportunità capace di introdurre trasparenza, mettere ordine nella gestione aziendale e governare meglio la complessità dei rapporti tra i vari stakeholders, il 48% delle aziende quotate ed il 56% di quelle che non lo sono dichiara, subito dopo, che i loro CdA si riuniscono meno di sei volte l’anno. Inoltre, alla domanda se con sistemi di controllo diversi si sarebbero potuti evitare gli scandali finanziari verificatisi negli ultimi anni, solo il 48% delle aziende quotate risponde affermativamente.
“Queste risposte – commenta Bubbio – fanno pensare che gli organi di governance funzionino più per rispondere agli obblighi normativi che per garantire un’efficace gestione delle dinamiche aziendali. I manager italiani soffrono ancora di carenze culturali in materia di governo d’impresa e sembrano non aver imparato gran che dalle esperienze negative.”
“Sono risposte, in particolare quella relativa all’efficacia dei sistemi di controllo esistenti – aggiunge Solbiati – che fanno emergere due problemi di non poco conto: il primo è relativo all’etica imprenditoriale e manageriale, il secondo al fatto che gli strumenti prescritti dalle attuali normative probabilmente non sono ritenuti sufficienti.”
Un altro risultato a dir poco inaspettato riguarda il tema dei sistemi informativi. Dalla ricerca emerge infatti che la loro importanza viene riconosciuta in misura maggiore dalle imprese non quotate: il 75% di queste li ritiene infatti fondamentali per l’attuazione della Corporate Governance, contro il 57% delle società quotate.
Analizzando in modo più approfondito i meccanismi che regolano la Corporate Governance delle imprese italiane, la ricerca ha rilevato che la figura del consigliere indipendente, di gran moda in questi ultimi tempi, è presente in quasi tutte (87%) le aziende quotate, mentre in quelle non quotate la sua presenza scende al 40%; che i comitati di controllo, organi garanti della trasparenza, giocano un ruolo importante nelle società quotate, sono infatti presenti nel 83% di dei casi, mentre il 72% delle società non quotate dichiara di esserne totalmente prive; che i collegi sindacali vengono coinvolti sia nei CdA che nei comitati e ne condividono tutte le informazioni nelle 50% delle società quotate, mentre nelle società non quotate questo coinvolgimento scende al 38% e, infine, che la funzione di Internal Audit, presente nell’83% delle aziende quotate, lo è solo nel 39% di quelle non quotate.
“Altri elementi interessanti – ricorda Solbiati – sono emersi andando ad analizzare i meccanismi di funzionamento dei sistemi di controllo di gestione. I budget vengono discussi e approvati dai CdA nel 68% delle aziende quotate e nel 44% di quelle non quotate. Inoltre il 53% delle società quotate, contro il 49% di quelle non quotate, dichiara di allineare i propri budget alle balanced scorecard. Evidenze forse non straordinarie, vista la crescente necessità da parte delle aziende di adottare strumenti che traducano le strategie in azioni, ma in ultima analisi abbastanza confortanti, poiché dopo tutto la metà del campione dichiara di allineare effettivamente i budget alle balanced scorecard.”
Anche il coinvolgimento del controller nei CdA sembra essere divenuta prassi normale: ma esiste ancora un 26% delle aziende quotate e un 24% delle aziende non quotate che dichiara che il controller non viene mai invitato a partecipare a CdA. Tuttavia quando esiste un comitato di controllo o esecutivo, nella maggior parte dei casi il controller è invece invitato a partecipare.
Infine, mentre nelle società quotate il 74% dei CdA chiede report strutturati contenenti analisi e informazioni sui margini di contribuzione delle loro unità di bussiness o dei loro prodotti, e solo il 10% sembra accontentarsi delle analisi contenute nei bilanci, nelle società non quotate queste due percentuali diventano rispettivamente il 48% e il 45%.

Le conclusioni
“Dalla ricerca – conclude Bobbio – emerge in definitiva un quadro non completamente negativo, anche se in Italia, in materia di Corporate Governance, sembra esserci ancora molta strada da percorrere. Se da un lato la sua evoluzione, come sta di fatto accadendo, potrà essere sollecitata da nuove normative o da specifici codici di autoregolamentazione, risulta del tutto evidente la necessità di promuovere lo sviluppo di una cultura manageriale che si manifesti in comportamenti concreti, attraverso l’adozione di strumenti e di tecniche in grado di favorirne l’efficace applicazione: i processi per la gestione delle performance (la formulazione delle strategie, il budgeting e il forecasting), le metodologie che servono per indirizzare questi stessi processi (le balanced scorecard oppure il value based management), le metriche da usare per la misura dei i risultati e il loro confronto con gli obiettivi prefissati".

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