La banca dell’intelligence

Tecniche analitiche, real time, dati non strutturati: scenari e visioni prospettiche della Business Intelligence nell’intervista a Giovanni Damiani, Direttore Centrale Information Technology & Operations della Banca Popolare di Milano

Pubblicato il 20 Apr 2010

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Con una raccolta diretta pari a circa 32,5 miliardi di euro (2007), un risultato della gestione operativa che sfiora 730 milioni e un utile netto di oltre 320 milioni, il Gruppo Banca Popolare di Milano si conferma come una realtà peculiare nel panorama bancario italiano. Lo dimostra la strategia di radicamento territoriale tenacemente perseguita nel corso del tempo, che vede tra i suoi capisaldi lo stretto rapporto con la clientela (circa 1,5 milioni di clienti, prevalentemente retail e PMI) e il presidio del territorio (in area prevalentemente lombarda), non senza un respiro europeo grazie all’accordo con il francese Crédit Industriel et Commercial. E lo dimostra il modello di governance, incentrato su una forte attenzione al dipendente-socio e alle sue necessità personali e operative, che è diventato oggetto di studio a livello internazionale. Non capita tutti i giorni infatti di lavorare in un’azienda che mette a disposizione dei dipendenti un asilo nido, un negozio interno, una mensa gestita da dipendenti interni. Una storia di successo quindi, cui ha indubbiamente contribuito anche la chiarezza di visione strategica che contraddistingue le scelte compiute in area IT. Ne parliamo con Giovanni Damiani, Direttore Centrale Information Technology & Operations della Banca Popolare di Milano, che per le caratteristiche della storia personale (partner presso Accenture e responsabile IT presso Deutsche Bank Italia e BNL) si trova in una condizione privilegiata per illustrare l’approccio tecnologico della banca in termini prospettici e in rapporto al contesto internazionale.

Tra le diverse applicazioni della BI (strutture, processi, leadership, controllo, ecc.), quali sono quelle più rilevanti per BPM?
Prima di entrare nel merito, mi sia consentita una breve premessa. Banca Popolare di Milano opera in un’area regionale che è limitata, ma si colloca tra le più ricche ed economicamente avanzate dell’intero paese, se non d’Europa. Un’area in cui la competizione è diventata via via sempre più forte: basti pensare che negli ultimi anni la presenza in Lombardia degli istituti di credito è aumentata del 14%, a fronte di una razionalizzazione del sistema bancario nazionale che ha ridotto del 10-15% il numero degli attori. A ciò si aggiungano un quadro regolativo sempre più stringente, e mi limito a citare il “decreto Bersani” e le direttive MiFid e Sepa, e il cambiamento evolutivo di una clientela che diventa sempre più consapevole, è sempre più attenta alle condizioni contrattuali e tende a spostare la propria operatività sui canali virtuali, dal Web ai call center. In questo quadro, la nostra strategia è per certi versi obbligata. Per difendere e incrementare la penetrazione di mercato, aggredire nuovi segmenti di clientela, proporre nuovi prodotti, applicare condizioni economiche più vantaggiose, aumentare la remunerazione del capitale, dobbiamo necessariamente rafforzare il presidio del territorio e massimizzare la qualità del servizio. E questo implica la capacità di conoscere al meglio i nostri clienti e noi stessi, obiettivo che si raggiunge solo con strumenti evoluti di Business Intelligence.

Quindi tecniche analitiche per profilare il cliente, innanzi tutto…
Da almeno dieci anni, in netto anticipo sui tempi, la nostra banca ha compiuto investimenti significativi sugli strumenti analitici per il CRM, quando questo approccio era ancora uno slogan più che una piattaforma applicativa concreta. Grazie a questa scelta lungimirante, di cui devo dare atto a chi mi ha preceduto, disponiamo di un sistema di BI che ci permette di governare in modo completo l’intero ciclo di conoscenza del cliente, in termini di comportamenti, disponibilità, propensioni, interessi, fino alla fase di interazione. La soluzione di CRM, oltre a ottimizzare la definizione e l’attuazione delle campagne mirate a specifici segmenti di clientela, facilita ai colleghi di filiale l’interazione con il cliente, perché fornisce in automatico suggerimenti e indicazioni sulle proposte commerciali meglio commisurate al suo profilo. Insomma, la conoscenza del cliente e delle sue caratteristiche distintive diventa lo strumento prioritario per elaborare proposte commerciali sempre in linea con le sue aspettative. Il sistema di CRM ha subìto nel tempo un graduale percorso di affinamento e per la sua sofisticazione e trasversalità ha pochi uguali in altre realtà aziendali, come posso testimoniare in base alla mia esperienza.

Conoscenza del cliente come presupposto dell’azione commerciale, ma anche di una corretta valutazione del rischio…
Un’altra area di BI su cui, in collaborazione con SAS, siamo fortemente impegnati è quella relativa alla valutazione del rischio di credito. L’impulso nasce dalla necessità di adeguarci alle norme di Basilea 2, ma lungi dal considerare la conformità un mero adempimento burocratico, abbiamo cercato di trasformare la valutazione del rischio in strumento per ottimizzare la relazione commerciale. Aggregando le informazioni disponibili sui clienti, arricchendole con dati provenienti da fonti esterne e costruendo opportuni meccanismi di correlazione, siamo stati in grado di costruire modelli utili non solo per assegnare a ogni tipologia (PMI, retail, corporate, ecc.) il rating di controparte, ma anche per definire i contorni della proposta commerciale e gestire al meglio la nostra clientela, calibrando il livello di erogazione del credito e il costo del finanziamento. Il progetto si è appena concluso, ma i primi risultati sono senz’altro incoraggianti: il livello di inadempienza dei nostri clienti è estremamente basso, inferiore in assoluto a quello dei nostri concorrenti che operano in Lombardia. Merito senza dubbio dei colleghi che si occupano della gestione del credito, oltre che della qualità intrinseca che caratterizza la nostra base clienti.

E per quanto riguarda quella che lei definiva “conoscenza di noi stessi”?
È un aspetto questo che riveste un ruolo cruciale per qualsiasi realtà economica e non solo per un istituto bancario. Noi disponiamo di un data warehouse in architettura SAS che raccoglie le informazioni provenienti dai vari mondi che compongono l’universo banca, dai conti correnti ai depositi, dai titoli ai derivati, tutti gli eventi insomma che abbiano una qualche valenza contabile o gestionale. Il data warehouse, che abbiamo chiamato IDEA come acronimo di Integrare Dati E Applicazioni, rappresenta una sorta di depositario della verità, nel senso che garantisce la consistenza e la validità dei dati che poi vanno ad alimentare, ad esempio, i processi di amministrazione (contabilità generale, relazioni di bilancio) o di Asset Liability Management. Nello stesso tempo è un contenitore di conoscenza che permette al management di monitorare con continuità tramite opportuni KPI le performance dell’organizzazione nel suo complesso o nelle singole unità funzionali. In questo senso, si configura come un strumento potente a disposizione del management per valutare lo stato di attuazione della strategia e per decidere nel caso le opportune azioni correttive. Nella “conoscenza di noi stessi” rientra anche la conoscenza dell’infrastruttura IT. In proposito, gli strumenti di Business Intelligence mi offrono un cruscotto di sintesi per monitorare e valutare le performance dell’infrastruttura tecnologica, in termini di disponibilità, continuità, tempi di risposta, rispetto degli SLA concordati.

Quali sono i presupposti perché la BI produca valore?
Il primo è indubbiamente la qualità del dato. Qualsiasi tipo di soluzioni applicativa, e a maggior ragione una soluzione di BI, può produrre risultati significativi solo se le informazioni su cui poggia sono consistenti. Al tema della data quality abbiamo dedicato, e dedichiamo, un forte impegno tanto che alcuni gruppi di lavoro interfunzionali, composti da informatici e utenti business, hanno il compito di verificare periodicamente la consistenza dei dati residenti nel database. Se le decisioni devono essere fondate sulla realtà dei fatti, è ovvio che la qualità dei dati diventa un fattore di importanza primaria. Il secondo è la diffusione generalizzata di una cultura dell’intelligence, come capacità di trasformare le informazioni in decisioni. Se essa può considerarsi assodata a livello di alta e media direzione, non può dirsi altrettanto a livello del singolo collega di filiale. Il quale a volte, nella presunzione di conoscere bene il cliente con cui magari ha una familiarità decennale, finisce per sottovalutare o per trascurare le indicazioni e i suggerimenti proposti dal sistema. Suggerimenti che per altro sono frutto di una intelligenza interna che da anni è abituata ad analizzare i clienti e ha tradotto queste analisi in chiare indicazioni di comportamento rivolte alla rete.

A suo parere, la disponibilità degli strumenti di BI fa veramente la differenza negli scenari attuali?
Mi è un po’ difficile dare una risposta in termini assoluti. Posso solo dire, in base alla mia esperienza personale, che se la nostra banca è oggi in grado di presidiare con successo il territorio, di conoscere bene il profilo dei clienti e di agire con rapidità per incrementare la penetrazione di mercato con incisive azioni commerciali, ciò è senza dubbio merito della BI. Dal mio punto di vista, l’intensiva applicazione delle funzioni di modellizzazione e di analisi tipiche della BI è diventata per noi un fattore di reale vantaggio competitivo. E credo che le nuove aree di ricerca verso cui si sta indirizzando la Business Intelligence, come il real time o l’utilizzo dei dati non strutturati, possano essere foriere di altrettanto valore aggiunto.

Sta cominciando a muovere i primi passi una BI real time, capace di agire in modo automatico sui processi operazionali. Quali le ricadute per l’azienda?
Come dicevo, è un’area di sperimentazione per cui nutro un forte interesse, per le possibili ricadute in termini di razionalizzazione dei processi e di abbattimento dei costi. Pensiamo solo, per fare un esempio, ai benefici nell’ambito della prevenzione delle frodi: il sistema controlla in tempo reale le transazioni effettuate con la carta di credito e, in base al profilo e alla storia passata del cliente, rileva eventuali anomalie e blocca il pagamento, oppure trasferisce la transazione al call center. Questa tematica è in qualche misura associata a quella del forecasting, che ritengo uno strumento irrinunciabile negli scenari attuali. Ad esempio, la possibilità di correlare gli accadimenti del passato con gli eventi del presente e con le informazioni attinte da fonti esterne per prevedere il comportamento futuro della domanda è una leva per contrastare la competizione in ottica di miglior servizio al cliente. E per innescare percorsi duraturi di crescita.

Sta poi emergendo il tema dei dati non strutturati…
Anche questa è una nuova frontiera applicativa che mi piacerebbe molto esplorare. Teniamo conto che la banca vive ancora oggi di documentazione cartacea e testuale, dai contratti alla modulistica, dalle circolari ai memo dei colleghi di sportello o del call center: le informazioni di tipo testuale vengono lette, interpretate e gestite dal singolo collega ma non si trasformano in elemento comune di conoscenza perché non possono confluire, così come sono, in quel “contenitore di verità” che è il data warehouse. Le tecniche di text mining ci consentirebbero di risolvere il problema alla radice, individuando i temi di interesse nascosti nella massa dei documenti testuali, aggregando i documenti per cluster tematici o classificandoli per categorie predefinite, integrando nel datawarehouse i dati testuali con quelli strutturati. Tutte le aree della BI potrebbero trarne beneficio, dal CRM, nella doppia accezione di conoscenza e interazione con il cliente, alla modellizzazione della domanda, dalla misurazione del rischio alla valutazione delle performance. Ne ricaverebbe soprattutto un beneficio la solidità del processo decisionale, fondato sull’interezza dei dati, strutturati e non, che descrivono la realtà aziendale. Sono convinto che la possibilità di individuare sui documenti le informazioni destrutturate di interesse, rilevarle secondo meccanismi parametrici di documentazione finanziaria e memorizzarle nel database insieme ai dati strutturati costituirebbe un salto di qualità capace di recare alla banca un reale valore aggiunto.

Nei progetti di BI c’è spesso un’attenzione molto forte al ritorno degli investimenti? Che cosa pensa in proposito?
In qualsiasi realtà economica ogni decisione deve essere guidata da una logica industriale: l’ammontare dell’investimento dipende dal beneficio atteso, che può consistere nell’incremento dei ricavi, nel contenimento dei costi o nella volontà di difendere il posizionamento di mercato. Neppure la Business Intelligence può sfuggire a questa logica. Con un’avvertenza però: che l’orizzonte temporale deve in qualche modo allargarsi. Perché gli indubbi benefici che un progetto di Business Intelligence è in grado di recare sono spesso frutto di un processo di revisione e di affinamento la cui durata è a volte difficilmente ipotizzabile nella fase iniziale.

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