Le tipicità dell’open source per la data center transformation

Riduzione del total cost of ownership. Supporto alla standardizzazione con conseguenti aumenti di flessibilità ed efficienza della governance. Innovazione garantita dal modello di sviluppo collaborativo. Sono alcune delle promesse dell’open source che, insieme alla crescente disponibilità di tecnologie certificate, framework aperti e servizi professionali, rendono questa scelta un’opzione per gli ambienti mission critical. Se ne è parlato nel corso di un recente Executive Dinner organizzato da ZeroUno durante il quale sono stati affrontati anche aspetti di tipo organizzativo e culturale legati alla più ampia trasformazione del data center.

Pubblicato il 10 Dic 2013

In passato le tecnologie open source facevano rima quasi esclusivamente con costi inferiori (rispetto a quelle proprietarie). Oggi la promessa di una riduzione del Total cost of ownership (Tco) deve essere affiancata, come motivazione per il ricorso alle soluzioni a sorgente libero, da altri fattori quali indipendenza dai vendor, standardizzazione, semplificazione della governance, performance, sicurezza e, last but not least, innovazione. “Secondo una recente ricerca della Linux Foundation – ha sottolineato Gianni Anguilletti, country manager di Red Hat, intervenendo all’Executive Dinner “Data Center transformation: la scelta Open Source” organizzato in novembre da ZeroUno, in collaborazione con Red Hat e Hp – il 72% delle aziende dichiara ancora di adottare l’open source per una riduzione dei costi, ma il 68% indica come motivazione anche il supporto all’innovazione. Ormai le percentuali di queste risposte si vanno sempre più avvicinando”.

Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno

Grazie anche alla combinazione di questi vantaggi, le soluzioni a sorgente aperto si stanno diffondendo nei data center e, in generale, nelle infrastrutture mission-critical. “In un momento in cui ai dipartimenti It viene chiesto di fornire un supporto reale alle sfide di variabilità e complessità del business – sostiene Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno – è giusto chiedersi quanto le peculiarità della tecnologia open source possano costituire uno degli elementi di cambiamento strategico dell’It, nell’ottica di trasformazione in una business technology”.

Quale diffusione e le aspettative delle imprese
Quali sono i vantaggi che si attendono le imprese che scelgono di investire nell’adozione dell’open source? Quali cambiamenti organizzativi e revisioni dei processi favoriscono il migliore utilizzo di queste soluzioni? Qual è il ruolo dei vendor che offrono tecnologie e servizi in ambito open source? Alcune risposte arrivano da una ricerca condotta da Sda Bocconi in collaborazione con Red Hat, presentata ai partecipanti all’Executive Dinner da Paolo Pasini, Responsabile Unit Sistemi Informativi e direttore dell’Osservatorio Business Intelligence della school of management dell’Università Bocconi.

Paolo Pasini, Responsabile Unit Sistemi Informativi e direttore dell’Osservatorio Business Intelligence della school of management dell’Università Bocconi

Lo studio, basato su interviste a oltre cento aziende in Italia di medie e grandi dimensioni appartenenti a diversi settori, compresa la Pa, ha preso in esame l’utilizzo di tecnologie open source in tutti gli ambiti It, ad eccezione dei device mobili, un ambito con caratteristiche peculiari. “Abbiamo ottenuto dati sorprendenti – introduce Pasini –. Le soluzioni open source mostrano una penetrazione pari all’83% delle aziende interpellate. Nell’85% di realtà che le hanno adottate, si tratta ormai di una scelta storica, avvenuta oltre tre anni fa. Se analizziamo dove sono impiegate le soluzioni open source, scopriamo che non si trovano solo alla base di siti web, ma anche di infrastrutture mission-critical che richiedono continuità, robustezza e affidabilità. Con l’open source, insomma, non si gioca”.
La ricerca rivela che a fare la parte del leone nell’adozione di queste soluzioni sono i sistemi operativi e il middleware (in particolare gli application server), seguiti dal “terzetto” composto da applicativi, tool di system management e Dbms. “Gli ambiti di adozione più innovativa dell’open source – continua il docente Sda Bocconi – sono la virtualizzazione, lo storage e il cloud computing. Questo lascia intravedere ulteriori margini di crescita della penetrazione dell’open source nelle imprese”. Ed è su queste tematiche che si esplica maggiormente il valore della partnership di vendor come Red Hat e Hp, che mette a fattor comune tecnologie hardware, software e capacità di consulenza, progetto e implementazione ai fini della data center transformation.
Interessanti, e idonee a costituire spunti per il dibattito, sono risultate anche le risposte alle domande sui fattori di scelta a favore dell’open source. “Al primo posto – spiega Pasini – troviamo la riduzione del Tco, seguita dall’indipendenza dai fornitori e dall’innovazione. Su tutte queste tre dimensioni le aziende si ritengono soddisfatte”. Non sono mancate, tuttavia, anche risposte che, secondo Pasini, aprono interrogativi. Agli ultimi due posti, infatti, con solo il 19% delle citazioni, vengono segnalate “l’adozione di modelli di sviluppo collaborativo all’interno dell’azienda” e la “collaborazione con il fornitore”. “La prima risposta – spiega il docente Sda Bocconi – fa pensare che l’adozione di un modello di sviluppo collaborativo non sia considerato un elemento di successo nell’evoluzione dell’open source nell’ambito dell’impresa. Questo si spiega, almeno in parte, con il forte ricorso a servizi esterni [al primo posto di questa classifica, con l’81% delle risposte, si trova la “disponibilità di competenze e servizi ingegneristici sul mercato a corredo delle tecnologie Os”, ndr]. Ci aspettavamo, invece, che il modello di sviluppo collaborativo delle community open source venisse in qualche modo replicato anche nelle aziende. La seconda risposta conferma quanto il rapporto con i fornitori sia ancora finalizzato all’acquisto di servizi e competenze”.

L’importanza delle competenze

Fabio Perotti, responsabile area Development & Implementation di Autogrill

Per rendere più efficace l’utilizzo dell’open source, le competenze giocano un ruolo fondamentale. E questa tematica è affrontata in modo diverso a seconda delle organizzazioni. A introdurla con un accento di problematicità è Fabio Perotti, responsabile area Development & Implementation di Autogrill. “Il nostro dipartimento It – spiega – ha un’esperienza pluriennale con le tecnologie open source quali sistemi operativi, middleware, application server e database. L’utilizzo di queste soluzioni richiede disciplina, competenze specialistiche e tempo da dedicare alla tecnologia. Da un anno o due a questa parte, invece, l’azienda ci chiede di abbreviare al massimo i tempi di delivery delle applicazioni, di focalizzarci soprattutto sul demand management e sugli aspetti applicativi, e di parlare contemporaneamente il linguaggio dell’It e del business. Non c’è più molto spazio per la verticalizzazione delle competenze e il lavoro sul codice che invece richiede l’open source. Per questo motivo, l’approccio che stiamo sposando prevede il ricorso a open Api cloud-based, che permettono di non focalizzarsi sui singoli strati di tecnologia e sul codice, ma di utilizzare, invece, tecnologie già pronte, che integrano sempre di più le applicazioni e le informazioni. Credo proprio che sarà questo il modo di sfruttare l’open source nei prossimi anni”. A questo proposito, Anguilletti sottolinea che anche questo approccio “è sicuramente favorito dall’esperienza accumulata con l’utilizzo delle tecnologie open”. E coglie l’occasione per ricordare la piattaforma Open Shift di Red Hat, pensata proprio per sviluppare, installare e scalare le applicazioni aziendali sul cloud.
Il problema della difficoltà a dedicare risorse alle tecnologie open source tende a essere sentito soprattutto, ma non sempre, nelle realtà con organizzazioni It limitate.

Graziella Dilli, Cio di Arpa Lombardia

“Nel nostro ente e in altri della Pubblica amministrazione – spiega Graziella Dilli, Cio di Arpa Lombardia – le tecnologie open sono utilizzate solo in alcune isole applicative, in prevalenza laboratori scientifici. Per le esigenze mission-critical ci si basa su ambienti tradizionali gestiti da outsourcer coordinati da risorse It interne che si occupano di analisi e definizione delle esigenze. Per ora non vedo la possibilità di creare competenze specifiche su singole infrastrutture che adottano tecnologie open source.

Luigi Pignatelli, Ict manager di Carl Zeiss Vision Italia

Tuttavia sarebbe interessante fare dei benchmark, anche in termini di costi, comparando qualche nuovo progetto basato su soluzioni open e altri sviluppati con tecnologie tradizionali”. Per gestire in modo ottimale un ambiente open source, secondo Luigi Pignatelli, Ict manager di Carl Zeiss Vision Italia, occorre una governance tecnologica molto forte. “È difficile disporre all’interno di un’azienda di tutto il know-how necessario per garantire la corretta evoluzione tecnologica degli ambienti open source. Laddove l’open source è utilizzato a supporto di infrastrutture mission-critical si ricorre in modo massiccio a outsourcer in grado di offrire tutte le competenze specialistiche necessarie”. Un caso che conferma l’esigenza di prevedere skill molto “verticali” ma che allo stesso tempo, trattandosi di una grande organizzazione, può permettersi di averli “in casa”, è la struttura che fornisce i servizi It alle aziende Vodafone del Sud Europa.

Stefano Takacs, Head of South Europe It Operations di Vodafone

“Abbiamo adottato l’open source – spiega Stefano Takacs, Head of South Europe It Operations di Vodafone – perché ci permette di realizzare un ambiente altamente standardizzato, che riteniamo il migliore per affrontare la sfida della complessità. Grazie alla standardizzazione possiamo implementare in modo flessibile applicazioni che vanno dalla virtualizzazione al cloud privato, fino al cloud ibrido da utilizzare nelle fasi di testing e pre-produzione. Questo ambiente ci consente di velocizzare il rilascio delle nuove applicazioni richieste dai clienti interni. Certamente gestirlo richiede competenze specialistiche. Per questo motivo ci siamo riorganizzati prevedendo sistemisti esperti di singole infrastrutture e team dedicati a ogni sistema operativo”.
Anche una media organizzazione It, comunque, può trovare conveniente formare le risorse necessarie a sviluppare e governare progetti open source-based e ricorrere, eventualmente, alle esperienze e ai servizi di partner esterni, nonché delle community che sviluppano software con sorgente aperto.

Ettore Galasso, responsabile area servizi web e di manifestazione di Fiera Milano

“Nel nostro caso – racconta Ettore Galasso, responsabile area servizi web e di manifestazione di Fiera Milano – abbiamo deciso di adottare le tecnologie open source per la capacità di supportare l’innovazione. Infatti, ci consentono di sviluppare velocemente piccoli progetti, soprattutto quelli con implicazioni social e mobile. Ora stiamo valutando la possibilità di migrare verso l’open source anche alcune infrastrutture mission-critical, con l’obiettivo di ridurre il Tco. Man mano che decidiamo di procedere, facciamo acquisire le competenze necessarie alle nostre risorse. Non abbiamo trovato particolari difficoltà a ottenere gli skill necessari”.

Il coraggio di cambiare

Gianni Anguilletti, country manager di Red Hat

Secondo Anguilletti, la carenza di competenze o la governance apparentemente più complessa di un ambiente open source (che la standardizzazione tende invece a semplificare) non sono i veri ostacoli all’adozione di questo modello. “Il vero problema è la tendenza naturale a opporsi ai cambiamenti. Il punto è trovare la motivazione giusta per imboccare un percorso che porta verso efficienza e innovazione. Poi le competenze si creano o le offriamo noi vendor. Per quanto riguarda il timore che la continua innovazione che si sviluppa nelle community possa obbligare le aziende a effettuare frequenti upgrade dei sistemi, va detto che Red Hat garantisce il supporto a ogni release delle sue distribuzioni per un periodo di dieci e più anni”.

Alessandro Gabrieli, Large Accounts Sales Director di Enterprise Group Hp Italy

Anche Alessandro Gabrieli, Large Accounts Sales Director di Enterprise Group Hp Italy ritiene che sia la tendenza a mantenere lo status quo a frenare spesso l’introduzione dell’open source. E questo vale indipendentemente dalle dimensioni aziendali. “Un’azienda molto grande – esemplifica – potrebbe non porsi il problema dell’open source perché il suo business funziona e non ha difficoltà a sostenere i costi delle tecnologie proprietarie. Nel caso di un’impresa piccola, cambiano le proporzioni, ma la logica resta sempre la stessa”. Il punto è se si riconosce o no la capacità dell’open source, oltre che di ridurre il Tco, di abilitare nuovi paradigmi tecnologici, modelli di business innovativi e diventare più competitivi. Per sviluppare questa consapevolezza non è necessario iniziare da un grande progetto: spesso può essere opportuno partire dal piccolo. “Sovente – spiega Gabrieli – aiutiamo i clienti nella realizzazione di un progetto limitato e poi, una volta ottenuto il Proof of Concept, li accompagniamo su scala più ampia”. Questo approccio consente anche di modificare approcci di It governance che finora erano restii ad accogliere l’open source. Un problema che, come hanno suggerito anche altri interventi alla tavola rotonda, in futuro si porrà sempre meno, man mano che nelle aziende affluiranno nuove risorse umane già abituate a utilizzare tecnologie open source e approcci collaborativi.


RED HAT: OS come missioneSpecializzata in software open source, Red Hat contribuisce, in collaborazione con una vastissima community, a sviluppare soluzioni di tipo infrastrutturale (sistemi operativi, middleware, soluzioni per la virtualizzazione e il cloud) che gli utenti possono scaricare e utilizzare gratuitamente (versioni community) oppure acquistare sotto forma di “distribuzioni”. Queste includono tutte le versioni più attuali dei software open source convalidate dagli ingegneri di Red Hat e integrate da servizi di assistenza e patching per un periodo minimo di dieci anni. Ciascuna distribuzione assicura l’interoperabilità fra le sue componenti e la compatibilità futura con le tecnologie supportate. Un’azienda, quindi, non deve necessariamente cambiare distribuzione di software già implementati se non lo ritiene necessario. I software e i servizi professionali Red Hat sono utilizzati a supporto di ambienti It mission-critical da importanti realtà di diversi settori economici in tutto il mondo, Italia compresa.

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