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Olio vegetale per data center più green: AWS comincia dall’Europa

AWS punta sull’olio vegetale idrotrattato (HVO), per rendere più sostenibili i suoi data center europei. Da gennaio sta sperimentando questo diesel green sui suoi siti, in Irlanda e in Svezia, per poi estendere questa best practice in tutti quelli europei. Si tratta di un tentativo di accelerazione verso il net zero del 2040, non l’unico nel mondo dei data center. E non spinto solo da ragioni legate agli ESG. 

Pubblicato il 12 Apr 2023

data center più green

Sarà tutta europea la nuova mossa di AWS per rendere più sostenibili i propri data center. È impensabile dover in futuro fare a meno di queste strutture, saranno sempre più protagoniste. Notandone il consistente impatto ambientale, tutti i giganti del settore si stanno quindi muovendo per minimizzarlo. Nella maggior parte dei casi, si seguono le best practices “standard”, ma c’è anche chi ne approfitta per sperimentare nuove strade, non alternative ma aggiuntive, per essere ancora più green.

Dall’olio di scarto da cucina un’opportunità “net zero”

La scelta di AWS è caduta sull’olio vegetale idrotrattato (HVO). Ciò che intende fare è sostituirlo al “classico” diesel per alimentare i generatori di energia di riserva dei suoi data center. Per implementare questa novità, ha scelto l’Irlanda e la Svezia. Questi due siti “nordici” faranno da apripista a quella che sembrerebbe essere una più ampia strategia di riduzione della carbon footprint delle operazioni ordinarie e inevitabili dei data center.

La notizia è uscita in questi giorni, ma è da gennaio che la nuova alimentazione green è una realtà, una realtà carica di aspettative. AWS, infatti, nello svelarla dichiara di puntare a una riduzione del 90% delle emissioni di gas serra.

Questo sostituto del diesel appartiene alla categoria dei biocarburanti e può essere ottenuto dalla lavorazione di oli vegetali. Lo si può quindi ricavare anche dall’olio da cucina di scarto o da olii vegetali o residui. A seguire, va poi compiuto un processo di idrotrattamento che prevede la reazione degli olii con l’idrogeno ad alta temperatura e pressione.

Grazie alla sua origine “vegetale”, l’HVO è considerato un diesel rinnovabile, il processo per ottenerlo è però a tutti gli effetti molto energivoro. Da questo punto di vista, AWS ha affermato di aver fatto i suoi calcoli, convenendo che il passaggio all’HVO dal diesel tradizionale, ridurrebbe comunque le emissioni di gas serra.

Si tratterebbe tutt’al più di un passaggio piuttosto indolore: la società infatti spiega che, rispetto ad altri biodiesel, l’HVO non richiede alcuna modifica per riempire i serbatoi dei generatori di riserva. Un altro vantaggio dell’HVO, che in parte spiega anche la scelta dei siti dove sperimentarlo, è la sua capacità di rimanere stabile anche alle temperature invernali più rigide. Questo lo rende utilizzabile anche negli ambienti più estremi.

Verso il net zero, con un occhio alla supply chain

Come ormai stiamo tutti imparando, ogni soluzione “green” va considerata nel suo complesso, ovvero analizzando la completa supply chain che la “sorregge”. Questo vale anche per l’HVO che, se mal gestito, invece di ridurre le emissioni di carbonio, potrebbe causare inavvertitamente dei danni. Non sarebbe la prima volta: c’è almeno un caso in cui è già accaduto. Quello di un’azienda di trasporti svedese, Einride, che ha ufficialmente dichiarato che il 50% dell’HVO utilizzato come carburante nel Paese fosse costituito da olio di palma. In altri casi si è invece rilevato il rischio di deforestazione: si utilizzavano terreni per coltivare combustibile, andando a peggiorare il consumo di suolo già esagerato.

Da questo punto di vista, AWS rassicura, sta selezionando HVO proveniente solo da fonti rinnovabili e fabbricato con materie prime di cui è possibile rintracciare l’origine. Ciò vale per i due siti pilota, come per tutti quelli europei su cui vuole implementare questa novità, per essere net-zero entro il 2040. C’è da sperare che chi prenderà esempio faccia lo stesso. L’idea disruptive di AWS è infatti quella di innescare un vero e proprio cambio di passo in tutta Europa, nel settore data center.

Il suo tentativo di abbandonare il diesel rappresenta una via percorribile. Altri suoi competitor ne stanno imboccando altre, creando una diversificazione di alternative green strategica.

Google ha lanciato un sistema pilota sostenibile di batterie di emergenza in uno dei suoi data center in Belgio. Microsoft sta invece testando delle celle a combustibile con capacità di 3 MW, per arrivare a installarle e verificarne la validità, come sostitute dei generatori di backup diesel. Si tratta quindi di un nuovo trend trasversale nel campo ESG, sostenuto e spiegato anche da mere valutazioni economiche. Le scorte globali di gasolio, infatti, rimangono scarse, a seguito del divieto dell’UE e del limite di prezzo imposto dagli Stati Uniti al gasolio russo. Le alternative green, se tempestive, sarebbero una mossa vincente anche in quest’ottica.

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