Outsourcing, Italia: manca una visione sistemica?

Da un’indagine svolta dal Politecnico di Milano risulta che le modalità di ricorso all’Ict Outsourcing delle imprese italiane sono varie ed eterogenee. Si passa infatti dall’attribuzione al fornitore di ruoli prettamente esecutivi fino alla definizione di un mandato “full”.
Ma  la ricerca evidenzia che non sempre emerge una visione strategica

Pubblicato il 06 Feb 2006

Come si materializza, in Italia, il ricorso all’Ict outsourcing? Quali accezioni e sfaccettature nasconde oltre il puro e “semplice” aspetto tecnologico? Gli obiettivi prefissati da operatori (gli outsourcer) e aziende sono stati sempre raggiunti sotto il profilo della reale creazione di nuove opportunità di sviluppo per le imprese? Domande che spesso in passato non hanno avuto risposte molto concrete e hanno lasciato che la “consapevolezza teorica” dei vantaggi derivanti da un progetto di outsourcing non si sia sempre tradotta in risultati all’altezza. L’Osservatorio sull’Ict Strategic Sourcing realizzato (con il supporto di Eds Italia) dalla School of Management del Politecnico di Milano ha voluto analizzare queste tendenze prendendo in esame alcune grandi aziende e pubbliche amministrazioni italiane, misurandone gli interventi strategici in fatto di sourcing, organizzazione e governance delle soluzioni Ict. Lo studio è stato presentato sulla base di una convinzione ben precisa: affinché vi sia uno sviluppo reale di questo mercato occorre la concomitanza di due fenomeni: da una parte la maggiore sensibilità e conoscenza dei servizi disponibili da parte delle imprese italiane e dall’altra la capacità degli operatori di cogliere le effettive esigenze del mercato con un’offerta realmente efficace.

Dentro o fuori? Serve strategia

Mariano Corso e Andrea Rangone, responsabili dell’Osservatorio,

hanno fatto una premessa significativa nell’illustrare le linee guida dell’indagine qualitativa che hanno diretto: oggi non ci si dovrebbe limitare a semplici esternalizzazioni di attività “non core” ma si dovrebbe mettere l’accento su vere e proprie partnership con fornitori strategici di servizi, risorse e competenze innovative. Un salto in avanti, quindi, che implica rilevanti cambiamenti negli approcci delle imprese “utenti” e degli stessi provider, perché ricorrere all’outsourcing per risolvere il problema della gestione dell’Ict, nelle aziende italiane, è sempre stato una sorta di valvola di sfogo tattica, un’azione necessaria per contenere costi e velocizzare processi. Il procedere o meno a processi di esternalizzazione è inoltre condizionato, fra gli altri, da due fattori che nelle aziende italiane sono assai rielvanti: l’apertura “culturale” all’outsourcing e la pressione al cambiamento. Oggi l’imperativo, almeno nelle grandi organizzazioni, è però quello di sviluppare azioni di sourcing strategico e non di limitarsi ad azioni di ricollocazione di attività poco sensibili per l’azienda. La realtà osservata dallo studio del Politecnico dice che le attività considerate ad alta rilevanza sono tradizionalmente oggetto di strategie di tipo “make” (ossia tenute all’interno) mentre, al contrario, attività a basso rischio vengono spesso gestite con politiche di acquisto di tipo tradizionale: in questo quadro le scelte di Ict sourcing si collocano in una posizione intermedia con uno spazio che si va oggi sempre più allargando.

Modello di outsourcing preferito? Tanti
Il campione esaminato (nove tra grandi aziende e pubbliche amministrazioni: Banca Popolare di Sondrio, Bancoposte, Barilla, Cnipa, Credem, Enel, Eni, Italcementi e Motorizzazione Civile) ha confermato quello che altri analisti di settore hanno da tempo rilevato, e cioè il fatto che le modalità di ricorso all’Ict outsourcing delle imprese italiane sono varie ed eterogenee. Si passa infatti dall’attribuzione al fornitore di ruoli prettamente esecutivi fino alla definizione di un mandato “full” che prevede anche attività e responsabilità di natura progettuale e di controllo e che presuppone un rapporto cliente-fornitore evoluto e di fatto fondato su una relazione di partnership. Una variabile fondamentale che distingue i progetti in corso d’opera è quindi il livello di integrazione fra azienda e outsourcer, e quindi la natura e l’intensità degli scambi informativi in essere, che si rileva poter assumere forti connotati operativi o tecnologici, quando entrano in gioco dinamiche di intervento sulle infrastrutture e sui processi organizzativi. I due estremi che emergono sono il commodity outsourcing da una parte e la partnership strategica dall’altra, mentre la densità più elevata di casi si registra rispetto a vari livelli di integrazione e relazione instaurati fra le due parti. A giustificare tale (anche eccessiva) distribuzione dei modelli perseguiti entra in gioco la pluralità di attori che nelle due organizzazioni sono deputati a prendere decisioni e le relazioni che ne scaturiscono. In una parola, il fattore governance: l’Osservatorio ha mostrato come l’enfasi relativa nella gestione del rapporto di Ict outsourcing può essere notevolmente diversa ma per essere efficace deve risultare coerente con la strategia di sourcing adottata.
Volendo infine classificare le aziende italiane censite rispetto alla strategia complessiva di Ict sourcing adottata, lo studio ha evidenziato tre modelli principali: ci sono aziende che presidiano la quasi totalità delle attività informatiche al proprio interno, altre che ne esternalizzano la maggior parte e altre ancora che ne mantengono internamente alcune chiave e portano in outsourcing specifiche attività.

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