La scelta di scrivere sul tema ‘Project Management Office’ deriva da una semplice constatazione: i PMO si stanno diffondendo molto velocemente in organizzazioni di ogni tipo. È una moda, un fenomeno di passaggio, oppure un salto culturale nell’organizzazione d’impresa?
Il Project Management Office è quell’unità organizzativa che affianca i capi progetto e si occupa della supervisione dei progetti aziendali. La letteratura gli attribuisce come funzioni primarie quelle di armonizzare tra loro i molti progetti concomitanti, impiegare al meglio le risorse, migliorare l’efficacia nella definizione e revisione delle priorità e supportare le attività dei capi progetto.
Osservando il fenomeno “dall’esterno” si comprende come esso risponda a due esigenze che le organizzazioni devono saper soddisfare in questo periodo storico: quella di crescente flessibilità e quella di un maggior controllo. Con l’aumentare dei progetti, si diffondono i PMO che da un lato si propongono il fine di agevolarne la diffusione in azienda e dall’altro si offrono come un elemento di controllo sia relativamente alle modalità di lavoro, sia in relazione ai risultati economici che i progetti portano con sé. Osservando poi il fenomeno PMO “dall’interno”, scopriamo che le forme che i PMO possono assumere nella realtà sono le più svariate: da un’unica persona dedicata ad attività di coordinamento e supporto magari part-time, a una vera e propria funzione organizzativa strutturata in base ai vari compiti che svolge; funzione che, nei casi più evoluti, può arrivare anche ad avere responsabilità di gestione diretta dei Project Manager dell’azienda.
Qualsiasi sia la forma e il livello di responsabilità, la creazione di un PMO è un vero e proprio intervento di cambiamento culturale e, quindi, per risultare efficace dovrebbe essere progettato e implementato prestando grande attenzione a questa variabile.
Ma cosa intendiamo per “cambiamento culturale”? La cultura aziendale è costituita da quell’insieme di valori, regole (esplicite e implicite) e modalità che caratterizzano ogni organizzazione come un qualcosa di unico. Lavorare per progetti è un tratto della cultura aziendale che può essere più o meno sviluppato a seconda della realtà con la quale ci si confronta. Per questo ormai sempre più spesso si sente parlare di “livello di maturità” dell’organizzazione in riferimento al grado di sviluppo delle pratiche di Project Management.
Creare un PMO, da un lato è una forte dichiarazione dell’importanza dei progetti per l’azienda; dall’altro, però, significa anche che d’ora in poi la gestione dei progetti verrà in qualche modo regolamentata ufficialmente. Ciò significa che in organizzazioni in cui si lavora per progetti da poco, il PMO dovrà lottare per creare una cultura project–based e che, in organizzazioni già mature, esso verrà a sovrapporsi a pratiche consolidate e spesso implicite che gli si opporranno. In ogni caso, il PMO si caratterizza come elemento di cambiamento e quindi dovrà affrontare le resistenze che gli verranno poste. E’ per questo motivo che solamente operando attraverso un’accurata analisi dei bisogni e coinvolgendo sia i PM che tutti gli altri stakeholder rilevanti (capi funzionali, management…) sarà possibile costituire un PMO che possa operare efficacemente e non sia la “moda” del momento evitando il rischio di un rifiuto.
A seconda di come verrà impostato, infatti, il Project Management Office potrebbe parzialmente sovrapporsi ad attività già presidiate da altre funzioni aziendali (controllo degli economics, gestione delle risorse…) che, se non coinvolte adeguatamente, potrebbero osteggiarne lo svolgimento.
Nella realtà questi passaggi – fondamentali per il successo del PMO – vengono quasi sempre saltati o svolti in modo approssimativo. Il PMO, quindi, spesso risulta essere un’imposizione “dall’alto”, di cui l’organizzazione tenderà a non comprendere il senso e a non vedere le opportunità, rifiutandola.
Ma l’organizzazione dev’essere preparata
Si spiega, quindi, perché sempre più spesso i tentativi di implementazione del PMO cadano nel vuoto: l’organizzazione non è pronta a recepirlo. Questa situazione non è comunque il caso più infelice in quanto permette almeno di risparmiare risorse che, altrimenti, verrebbero investite in un’iniziativa non efficace.
Molto peggio, invece, è quando il PMO viene implementato, ma vissuto come un ‘corpo estraneo’ dall’organizzazione. In questo caso il Project Management Office opera come una struttura che non riesce a integrarsi con i veri bisogni dell’azienda. Se le pressioni dall’alto sono molto forti, l’unica funzione che tende a svolgere è quella di controllo dell’andamento dei progetti. Molto spesso, però, trovandosi nell’impossibilità di ottenere riconoscimento prima e collaborazione poi, assume un ruolo ancora più marginale divenendo una figura organizzativa che, per ‘non disturbare’, non riesce ad affermarsi in nessuna funzione, dimostrandosi un investimento inutile.
Anche nei casi in cui l’organizzazione si dimostri pronta all’iniziativa può accadere che gli stessi promotori del PMO si trovino in qualche modo in imbarazzo, temendo di invadere la ‘privacy professionale’ dei colleghi. Questo atteggiamento è tanto più diffuso quanto maggiore è la consapevolezza di operare in un ambiente in cui i capi progetto sanno già cavarsela. “Che reale contributo potrò dare?”. “Mi accetteranno?”. Queste sono solo alcune delle domande più ricorrenti che il responsabile del PMO si pone e che rivelano una sostanziale situazione di debolezza.
Se l’impostazione, l’avvio e la gestione del PMO fosse affidata a un PM esperto e riconosciuto tale nei fatti dai colleghi, questo rischio non ci sarebbe. Magari nascerebbero problemi di tipo diverso, legati ai probabili conflitti tra il capo del PMO e i capi funzionali circa l’assegnazione delle risorse e la gestione delle priorità, ma l’iniziativa avrebbe comunque buone probabilità di avere successo. Invece accade di sovente che il PMO venga affidato a risorse non molto esperte, come se l’organizzazione ritenesse “uno spreco” destinare a tale incarico i PM di maggior successo. In questi casi il rischio è che il PMO diventi un ufficio burocratico che realizza templates e controlla i progetti senza generare un reale valore aggiunto per l’organizzazione.
Il controllo dei progetti è la molla che nella maggior parte dei casi fa nascere l’esigenza del PMO, in quanto i progetti crescono di numero e permeano sempre più l’organizzazione. E’ logico quindi che la direzione richieda maggior visibilità sugli stessi, auspicando con ciò una miglior prevedibilità dei risultati. Ma il controllo fine a sé stesso non basta. Il PMO dev’essere in grado di “entrare nei progetti” per supportarne la gestione durante il ciclo di vita e per avere la possibilità di intervenire a sostegno dei PM in caso di necessità. Per fare ciò è necessario da un lato che l’organizzazione lo legittimi, dall’altro che sia composto da persone riconosciute autorevoli dai Project Manager.
Queste considerazioni, che derivano dalla nostra esperienza, trovano ulteriore riscontro nelle parole di Anna Mazzone, consulente di Key Partners specializzata nell’implementazione di Project Management Office nel settore It, che abbiamo intervistato sull’argomento e secondo la quale la maggior parte delle richieste di consulenza per la costituzione di un Project Management Office deriva da due esigenze specifiche. La prima è dovuta al bisogno di organizzare e sistematizzare le modalità operative con cui sono gestiti i progetti nell’azienda. A questo bisogno dovrebbe rispondere l’implementazione di un PMO quale unità organizzativa a sé stante, impegnata nella strutturazione di processi, procedure, template, che si occupino della formazione dei Project Manager e del monitoraggio di alcune iniziative progettuali.
“La seconda esigenza – continua Mazzone – si riconduce ai casi in cui un’azienda lancia un progetto strategico o di grandi dimensioni, particolarmente importante a causa del suo impatto sull’organizzazione o sul business. In questi casi si costituisce una task force, un PMO, che si dedica esclusivamente allo specifico progetto dettando le regole di gestione ed effettuando direttamente il monitoraggio dei tempi e dei costi, ferma restando la responsabilità dei risultati del progetto al Project Manager”.
Secondo la consulente di Key Partners, uno dei casi di maggior successo di implementazione di un PMO è quando la situazione è riconducibile al primo scenario analizzato. “Si è verificato in un’azienda nostra cliente impegnata nel settore delle Public Utilities. Il responsabile del settore It, al moltiplicarsi del numero dei progetti, ha voluto creare un PMO a supporto di tutte le iniziative avviate e di quelle da avviare. Il successo è stato determinato da diversi fattori: una cultura di project management diffusa, un buon assessment dei progetti, una forte sponsorship che ha supportato le attività del PMO, posizionato in staff al direttore It, dandogli autorevolezza nella gestione delle relazioni, e infine un’efficace scelta delle persone che componevano il PMO, in cui si mescolavano competenze tecniche e ottime capacità relazionali”.
Rispetto al secondo scenario, invece, un caso di successo si è verificato in un’azienda di telecomunicazioni in cui è stato implementato un PMO a supporto di un grande progetto internazionale, particolarmente strategico. In questo caso l’implementazione del PMO è stata un fattore critico di successo nell’intero progetto in quanto, osserva Mazzone, “Il Project Management Office ha svolto un ruolo di coordinamento tra tutte le risorse coinvolte sul progetto e di sincronizzazione delle operazioni, garantendo il pieno rispetto dei tempi e dei costi preventivati”. Anche il posizionamento in staff all’amministratore delegato è stato determinante in quanto ha dato al PMO la sponsorship necessaria per la raccolta delle informazioni e la diffusione di comunicazioni.
* Mario Damiani e Laura Gilieri sono, rispettivamente, Responsabile area Project Management e Ricercatore di Istud (Istituto Studi Direzionali)
Un progetto puo’ fallire SE…
Anna Mazzone, consulente di Key Partners con esperienza nell’implementazione di progetti di PMO, cita un caso che si può considerare tipico dei fattori che possono far fallire questi progetti. Nell’azienda, operante nel settore delle Public Utilities, era stata creata una Direzione Progetti Speciali per la quale l’implementazione del PMO doveva essere determinante ai fini del coordinamento e della performance di progetti particolarmente strategici gestiti all’interno della Direzione stessa. “In questo caso – osserva Mazzone – nonostante la forte sponsorship e la collocazione ideale, all’interno di una struttura appositamente creata per gestire progetti, il PMO non è riuscito a supportare adeguatamente né i progetti né la stessa Direzione.
I motivi di questo insuccesso sono stati essenzialmente tre: l’inserimento nella struttura di risorse junior con scarse competenze di Project Management, cui corrispondeva una scarsa valorizzazione del loro ruolo all’interno della Direzione e cui non erano state attribuite le leve necessarie per esercitare le proprie funzioni; la mancanza di una cultura di Project Management associata a una gestione dei progetti per “emergenze”; la mancanza di chiarezza sulla distribuzione di responsabilità fra i Project Manager e i Responsabili di funzione nelle decisioni rilevanti all’interno del progetto. Tutti questi fattori hanno portato di fatto alla dismissione di quella unità organizzativa e alla ricollocazione delle risorse presso altre unità”.