Quando cloud computing fa rima con integrazione

Una sfida-chiave che le aziende si trovano a fronteggiare per adottare modelli di delivery dell’It di tipo cloud risiede nell’integrazione di sistemi tra i più disparati installati nei loro data center con le nuove applicazioni basate sul cloud, soprattutto in relazione allo scenario ipotizzato dagli analisti di un cammino che porterà via via sempre più verso modelli ibridi. Incontriamo, su questo tema, Gennaro Panagia (sotto a sinistra), Cloud Leader di Ibm Italia e Marco Raimondo, WebSphere Bpm and Connectivity Sales Leader, Ibm sud Europa.

Pubblicato il 05 Lug 2011

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Mentre i budget It sono ridotti, le aziende contano proprio sull'It per ricevere supporto e favorire l'innovazione attraverso applicazioni ad alte prestazioni e servizi, un’infrastruttura sempre più agile e in grado di adeguarsi alle richieste del mercato.
“Queste condizioni determinano un rapido cambiamento delle aspettative degli utenti It, che richiedono servizi di elevata qualità, corrispondenti in tutto alle loro esigenze, con un intervento minimo o nullo dei responsabili It”, esordisce Gennaro Panagia, Cloud Leader di Ibm Italia. “Le soluzioni di cloud computing possono offrire agli utenti questa flessibilità e ai responsabili It l'efficienza necessaria. Tuttavia, questo rapido cambiamento comporta, per i responsabili It, la necessità di integrare il cloud computing nell'infrastruttura esistente”.
“Tutti i modelli di cloud computing – osserva Panagia – siano essi privati, pubblici, ibridi, necessitano di una strategia di fondo che tenga conto di alcuni elementi critici come la garanzia della disponibilità dei servizi, delle prestazioni complessive, della sicurezza e dei livelli di servizio. L’integrazione di cui si parla, quindi, non è solo tecnologica, ma anche, e soprattutto, riferita alla capacità di una vista olistica, d’insieme, che permetta di governare, gestire, controllare al meglio tutti i livelli infrastrutturali, applicativi e di servizio, possibilmente con processi strutturati e automatizzati”.
Il passaggio fondamentale perché si possa davvero iniziare a parlare di un “modello di cloud computing”, è l’integrazione, intesa, come si diceva, come “abbinamento” di processi e servizi. Panagia non a caso utilizza la parola “modello” quando parla di cloud computing: “Dare inizio a una strategia, un percorso verso il cloud computing, significa andare oltre i concetti di virtualizzazione e standardizzazione (che comunque sono la base tecnologica da cui partire), focalizzando l’attenzione sull’innovazione di processo, finalizzata al supporto diretto al business aziendale”.
L'approccio di Ibm al cloud, come abbiamo illustrato in diverse occasioni, segue alcuni passi fondamentali come l'ottimizzazione dei workload (“sviluppo e test sono le due aree principali verso le quali si stanno facendo scelte di public cloud”, osserva Panagia), le scelte dei modelli di provisioning e delivery (privato pubblico o ibrido), l’adozione di una corretta strategia di service management; ed è proprio quest’ultima area quella dove avviene il collegamento tra tecnologia ed esigenze del business, quella su cui l’integrazione assume il suo significato più strategico.

Flessibilizzare l'It agendo sui processi
Se da una parte, però, il service management (che Ibm indirizza con la famiglia Tivoli e, in particolare, con la Tivoli service management platform) è necessario per gestire, monitorare e rendere disponibili le risorse, dall’altra, è necessario fare un passo indietro e capire come si arriva a costruire una strategia che rivoluziona il ruolo dell’It da provider tecnologico a fornitore di servizi, anche attraverso un modello (operativo e di processo) basato sul cloud computing.
In questo caso, entrano in gioco le strategie di Business Process Management, fondamentali non solo per innovare i processi interni ma anche per fare leva sulla cultura dell’automazione (e dell’integrazione), ormai cardine del modello cloud.
Marco Raimondo, WebSphere Bpm and Connectivity Sales Leader, Ibm sud Europa, su questo punto, focalizza l’attenzione sulla “flessibilità dei sistemi informativi, oggi elemento discriminante per la competitività aziendale”, evidenziando come “tale flessibilità abbia come elemento di maggior criticità il modello di organizzazione dei processi”.
“Motivo per cui, come Ibm abbiamo identificato un vero e proprio modello di riferimento (Ibm Cloud Computing Reference Architecture), che tiene conto, tra i vari elementi, anche dei processi”, osserva Raimondo.
Il Cloud Computing Reference Architecture, di fatto, è un insieme di linee guida per la definizione dell'architettura di sistemi basati su cloud computing (oltre alle Soa, che rappresentano poi la vera origine tecnologica dei concetti su cui si basa il cloud computing).
“L'architettura proposta da Ibm nasce dall'esperienza maturata al nostro interno e dalla collaborazione con aziende partner – precisa Panagia -. Si tratta di un modello basato su quattro livelli: operational layer, che rappresenta l'infrastruttura di base del sistema, cioè l'insieme dell'hardware e del software cui fanno riferimento i servizi dei livelli superiori; service layer, livello dove si pongono i classici servizi del cloud computing (Iaas, Paas, Sass); business process layer, livello nel quale viene introdotto un nuovo tipo di servizio, BPaaS, che fornisce servizi di elaborazione simili a quelli offerti dall'architettura Soa; consumer layer che identifica il consumo dei servizi erogati dai livelli precedenti (può essere rappresentato da interfacce Web o da client remoti; in ogni caso, le linee guida puntano l’attenzione sulla user experience)”.
“Con la pubblicazione di queste specifiche e la proposta di standardizzazione dell'architettura, Ibm, di fatto intende definire un approccio comune alla costruzione di sistemi di cloud computing, in modo da rendere effettiva l'integrazione e l'interoperabilità tra servizi erogati da fornitori diversi”, osserva Raimondo che, riportando l’attenzione proprio sull’integrazione, evidenzia come la recente acquisizione di Cast Iron vada nella direzione di una forte attenzione al cloud ibrido, dove Ibm si gioca la partita puntando sulla capacità di integrazione delle applicazioni.
“Ibm è già conosciuta per le sue capacità nell'integrazione delle applicazioni. Con l'aggiunta di Cast Iron possiamo ora offrire una piattaforma completa per l'integrazione delle applicazioni cloud, comprese Salesforce.com, Amazon, NetSuite e Adp con applicazioni on-premise, come Sap, Oracle, ecc.”, precisa Raimondo. “L'acquisizione di Cast Iron, infatti, aumenta le nostre capacità di proposta per modelli di cloud ibrido, attraente per le aziende perché permette loro di fondere dati da applicazioni on-premise con quelle di sistemi cloud privati e pubblici”.
“Da un punto di vista puramente tecnologico, l'uso di centinaia di template pre-costruiti di diverse pre-configurazioni permette di eliminare la costosa personalizzazione dei codici (necessaria quando si parla di integrazione fra soluzioni diverse), consentendo di completare l'integrazione del cloud in tempi molto brevi”, conclude Raimondo.

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