Non si può fare digital transformation senza It transformation. E per realizzare questa sono necessarie capacità di interpretazione delle esigenze del business rispetto all’It e nuove infrastrutture di supporto. Fra queste, sotto i riflettori oggi c’è lo storage.
È a questo tema, analizzato soprattutto nei suoi aspetti più emergenti – il Software Defined Storage e le tecnologie flash – che a metà dicembre ZeroUno ha dedicato un webcast. In studio, oltre Stefano Uberti Foppa, Direttore della rivista, Stefano Mainetti, Condirettore Scientifico dell’Osservatorio Cloud e Ict As a Service della School of Management del Politecnico di Milano, Patrizia Guaitani, Sdi Software and Flash Sales Manager Ibm Italia, e Luciano Bruno, Sales Director Dedagroup Ict Network.
In apertura Uberti Foppa ha sostenuto che “alla base di tutti i più importanti cambiamenti che stanno avvenendo sui mercati – dalla nascita di startup alla creazione di nuovi modelli di business, prodotti e servizi da parte di tutte le altre imprese – c’è un’evoluzione profonda del modo di trasformare i dati in informazioni. Un processo che richiede un’It sempre più flessibile e agile. In questo contesto, lo storage non può più essere un mero magazzino di dati, ma un motore in grado di fornire in modo proattivo e dinamico i dati giusti ai cluster corretti di utenti che devono utilizzarli. Lo storage diventa così un punto di riferimento strategico è imprescindibile per la digital transformation”.
Il perché questo avvenga l’ha illustrato con alcuni dati e commenti Mainetti. “In un minuto su Internet vengono inviati più di duecentomila email, caricati 120 video, lanciati 342 mila tweet. Ogni sessanta secondi, insomma, la rete trasforma il proprio profilo e modo di essere. Oggi, dal punto di vista It, le aziende non sono più monadi ma soggetti che scambiano continuamente dati con il mondo esterno. Questo significa, nella prospettiva dello storage, che ci sarà sempre più bisogno di capacità e di prestazioni per analizzare una massa crescente di dati per prendere decisioni di business più corrette e tempestive. Ciò spiega l’interesse che ha riscosso l’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence 2015 [vedi articolo Big Data Journey, il difficile percorso delle aziende italiane]. Una ricerca dalla quale si evince che gli investimenti in soluzioni di Bi e per la Big Data Analytics aumentano del 14% l’anno. E quando una tipologia di piattaforme cresce a due cifre, i responsabili delle infrastrutture non possono non sforzarsi di interpretare e supportare tale trend”.
Una freccia nell’arco dell’intelligence
“Da sempre – ricorda ancora Mainetti – i responsabili It si impegnano a rendere più efficienti e flessibili i data center. Negli ultimi anni lo sforzo maggiore è stato indirizzato a gestire in modo più automatizzato i server virtualizzati. Il traguardo finale è realizzare Infrastructure-as-a-Service ibride in grado di garantire la stessa elasticità e flessibilità dei cloud pubblici. È evidente l’impegno a implementare infrastrutture enterprise competitive con i public cloud. Nel 2015 le aziende italiane hanno speso oltre un miliardo di euro in Cloud Enabling Infrastructure, con una crescita del 21% rispetto all’anno precedente. Ci saranno sempre dati e applicazioni che, per motivi di sicurezza o compliance, le aziende preferiranno tenere in private cloud, mentre altre risorse saranno sempre più reperite su cloud pubblici. Non per nulla anche gli investimenti in public cloud sono cresciuti del 35% [arrivando a 460 milioni di euro, ndr]”. In questo quadro, dopo che molto è stato fatto per la server virtualization e, in parte, anche per la virtualizzazione del networking, ora la palla passa in modo deciso allo storage. Come? “Con una logica architetturale – ha sostenuto Mainetti – e basata su una gestione software-defined e non a silos. Inoltre, occorre tenere in considerazione che la frequenza delle analisi di Business Intelligence oggi supera quella giornaliera. La flash technology si rivela una freccia importante nell’arco di chi deve supportare sempre maggiori frequenze e velocità di analisi”.
Software defined storage e tecnologia flash, però, sembrerebbero essere due termini ancora poco utilizzati e conosciuti da parte dei responsabili delle infrastrutture. Da un poll svoltosi durante il webcast, senza alcun valore di campione ma utile come elementi di indicazione, è risultato che il primo obiettivo d’investimento in modernizzazione storage (da un precedente poll era emerso che solo meno dell’8% dei partecipanti non prevede un budget di questo tipo nel 2016) fosse ancora la virtualizzazione, con il 46% delle risposte; a seguire la sicurezza (31%), l’integrazione con servizi di public cloud storage (15%) e la flash technology (8%). Nessuno ha indicato il software defined storage, ma va segnalato che era possibile dare una sola risposta. I risultati non hanno stupito Patrizia Guaitani: “Senza un approccio software defined alle architetture It non puoi fare virtualizzazione”. È molto probabile che oggi il concetto di software defined sia ancora considerato incluso e non concettualmente scindibile da quello di virtualization.
Comprendere, adottare e orchestrare
La flash technology può essere un esempio di questi “mattoncini”. L’analogia ci sembra azzeccata se si riprende un’altra interessante considerazione di Mainetti: “La tecnologia flash colma il gap fra quella dei dischi magnetici meccanici e quella delle Dram (Dynamic Random-Access Memory, ndr) e dei livelli di cache sempre più veloci connessi direttamente ai processori”. In quanto tale, quindi, diventa indispensabile – come già abbiamo visto – laddove la competitività di un’azienda si gioca sulla capacità di memorizzare in modo efficiente e analizzare velocemente grandi moli di dati, anche di natura eterogenea e provenienti dall’esterno. “Parlando con alcuni clienti – ha rincarato Luciano Bruno – invece di Big data sentiamo spesso parlare di Fast data. Oggi che di dati ce ne sono fin troppi, le aziende hanno bisogno di capire in fretta quali sono quelli che servono e anche quanto durano. Spesso il loro valore svanisce in un giorno o addirittura in pochi secondi”.
“La flash technology – ha aggiunto Guaitani – si basa su studi mirati a ridurre lo spreco di risorse di I/O e a velocizzare l’accesso ai dati attraverso algoritmi raffinati. Altri risultati sono la diminuzione dei consumi, di spazio fisico e di energia elettrica”. La precisazione ha fatto seguito alla richiesta di un partecipante, pervenuta sulla piattaforma webcast, di chiarire la differenza fra adottare la flash technology e usare i Solid state disk. “Gli Ssd – ha chiarito la manager Ibm – sono installati in modo tradizionale al posto dei dischi magnetici, con la differenza che non ruotano e sono più veloci. La differenza fra flash technology e Ssd è forte anche a livello di velocità: parliamo di microsecondi contro decimi di millisecondi”.
Un altro portato dell’avvento di tecnologie come il software defined storage e la flash technology, soprattutto se si osservano questi fenomeni attraverso la metafora dei “mattoncini”, è, come ha rilevato in chiusura Uberti Foppa, “un aumento della complessità che richiede capacità di orchestrazione. Così come abilità di questo tipo sono richieste per armonizzare l’It e il business, che utilizzano linguaggi diversi ma hanno in comune l’obiettivo di aumentare la capacità delle aziende di affrontare le variabili competitive”. “Il tema delle competenze – ha sottolineato Bruno – si rivela strategico sia all’interno delle aziende sia in quello dei vendor e delle realtà come la nostra. Per noi però disporne è una necessità vitale per restare sul mercato”. I clienti, mentre decidono se dotarsene o no, possono usufruire di certi skill come “servizi gestiti”. Così come le stesse tecnologie disruptive – incluse la flash technology, il software defined storage o la sicurezza – possono essere usufruite in modo flessibile tutto on-premise, in modalità ibrida o in public cloud.
Le tecnologie per competere da Dedagroup Ict Network e Ibm
Performance elevatissime, minori consumi energetici, richiesta di spazi fisici inferiore a parità di capacità, superiore efficienza operativa per estrarre insight da enormi molti di dati. È dal riconoscimento di queste qualità della flash memory che Ibm ha deciso di investire in ricerca e sviluppo nella all-flash technology. Due le soluzioni più innovative: Ibm FlashSystem V9000 e Ibm FlashSystem V900. La prima è una all-flash software-defined solution, in quanto abbina alla tecnologia Ibm FlashCore (che ha come obiettivi la massima scalabilità –up e –out, maggiore Roi e facilità di integrazione con ambienti eterogenei) funzionalità per la virtualizzazione. In questo modo FlashSystem V9000 si presenta come una soluzione ideale per fornire da un unico set all-flash servizi a workload differenti. FlashSystem V900, invece, sono array all-flash, che offrono i benefici della tecnologia Ibm Microlatency (che fornisce path ottimizzati per accelerare tanto le applicazioni transazionali quanto le attività di analytics). |