L’Ict da spesa ad asset strategico per il Paese

Agostino Ragosa, Direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale, indica le principali criticità per la digitalizzazione del Paese, come la carenza di ricerca nel settore Ict privato, un elevato skill gap in alcune professioni digitali, la frammentazione nelle scelte tecnologiche nelle realtà locali, la percezione della tecnologia come spesa e non come asset. Lancia al tempo stesso alcune sfide all’industria Ict e alle amministrazioni e alcune proposte, che potrebbero, con costi contenuti, essere risolutive.

Pubblicato il 12 Nov 2013

Nel suo intervento all’incontro Finaki 2013 Agostino Ragosa, Direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale, ha focalizzato quelle che a suo avviso sono le principali criticità per il Paese. La difficoltà di innovare processi e servizi deriverebbe anche dall’assenza di aziende e centri di ricerca dove, fino a 10-15 anni fa, si potevano fare esperienze innovative: “La maggior parte delle multinazionali considerano l’Italia e l’Europa soltanto come mercati – ricorda Ragosa – Le grandi idee e i grandi progetti basati su tecnologie innovative vengono generati negli Usa, anche se in Italia abbiamo fra i migliori ingegneri d’Europa”.
Il tema delle competenze resta comunque centrale anche a livello europeo, infatti l’UE ha lanciato il progetto “Grand Coalition for Digital Jobs”, per superare, in aree come per esempio sistemi hardware e software, mobilità, big data, sicurezza, un gap di competenze valutato in almeno un milione di persone a livello europeo, che può tradursi in uno skill gap da 100-120mila persone in Italia. Un problema è anche la percezione dell’Ict oggi considerata soprattutto come spesa e non ancora come investimento strategico.
“In questo paese, l’asset tecnologico non è mai stato considerato strategico, ma una cosa da esperti; e questo anche per responsabilità delle persone dell’It che non sono riuscite negli anni a farne comprendere il valore. La conseguenza è che oggi nella PA l’asset tecnologico non ha valore, ma tutto è considerato spesa corrente”, sottolinea Ragosa, ricordando che a fronte di 10 miliardi di euro di spesa ce ne sono 0 di investimento. “La tecnologia è considerata nella finanza pubblica, ma spesso anche nelle imprese, soprattutto le Pmi, un costo su cui risparmiare”, è l’amara conseguenza.

Agostino Ragosa, Direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale

“Uno dei principali problemi di cui mi sono reso conto da quando sono stato nominato direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale è la grande frammentazione nelle iniziative delle diverse amministrazioni”, aggiunge. Per individuare una soluzione Ragosa ha tenuto conto del suggerimento di Nellie Kroes, commissario europeo per l’Agenda Digitale, la quale sostiene: “La digitalizzazione di un Paese non si fa con le norme che si scrivono al centro, ma attraverso i progetti che si realizzano sui territori”. E così Ragosa ha inviato un messaggio ai presidenti delle Regioni illustrando le linee europee sull’Agenda Digitale, indicando la pessima performance dell’Italia nel rating per responsabilità di tutti, chiedendo suggerimenti sulle priorità. “Ho trovato grande disponibilità e la richiesta di lavorare con le persone dell’Ict per definire le Agende Digitali regionali”, dice Ragosa, ricordando che l’Agenda nazionale non può essere un insieme di norme ma serve uno sforzo, con il contributo di tutti, per costruire piani e programmi regionali, realizzati non tanto dalle persone dell’amministrazione centrale quanto da chi opera sui business locali. Un modello di intervento è quello realizzato per la creazione delle smart community, per le quali sono stati stanziati 1,3 miliardi di euro, spostando la ricerca sui territori e favorendo la partnership tra pubblico e privato per l’innovazione. Sono già stati sviluppati un migliaio di prototipi che l’Agenzia dovrà valutare per verificare quali potrebbero essere assunti a livello nazionale. “Si sta sperimentando un modello che superi quello delle gare al massimo ribasso e si basi su partnership pubblico-privato, per spingere l’innovazione di servizio”.
Per cogliere altre sfide come gli open data, su cui ci sono eccellenze diffuse sui territori, è necessaria una visione industriale. “Se l’industria nazionale, quando apriremo le basi dati, non sarà pronta, si correrà il rischio che altri ne trarranno vantaggio, utilizzando i nostri dati e rivendendoceli poi come servizi”, avverte Ragosa.
Anche il tema delle smart city è una sfida per il sistema industriale italiano. “L’intelligenza delle città si basa da un lato su una grande quantità di sensori (si sta ancora dibattendo sul grado di standardizzazione) e dall’altro sulla capacità di raccogliere miliardi di informazioni che ci arrivano dai territori in tutti i settori industriali – spiega – Se non si costruiscono le infrastrutture per poter erogare i servizi si creeranno belle applicazioni ma non porteremo a sistema i risultati”.
Ora una delle sfide diretta all’Agenzia è la capacità di “sostituire i 5mila ‘sottoscala raffreddati per l’estate’ che chiamiamo data center con un’infrastruttura avanzata in una logica fabric-based, fatta di nodi visibili che contengono i sistemi pubblici interconnessi”, dice Ragosa. Non è impossibile se, ad esempio, il Governo francese sta realizzando 5 data center centrali di grandi dimensioni dai 128 precedenti e se nella stessa direzione si muovono gli altri paesi europei e gli Usa.
La disponibilità di un’infrastruttura efficiente e interoperabile è, a suo parere, la condizione per raccogliere, elaborare, presentare le informazioni, e, infine, utilizzarle come servizi. Le disponibilità economiche ci sono: si tratta di utilizzare i finanziamenti europei anziché restituirli. Nel periodo 2007-2013 per la società dell’informazione sono stati stanziati 60 miliardi di euro, di cui ne restituiremo 40 e riusciremo a spenderne appena 18. “Come utilizzeremo i 40 miliardi stanziati per il periodo 2014-2020 se non realizzando infrastrutture?” si chiede Ragosa.

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