Con il rapido aumento di applicazioni basate sul cloud e di attività e persone operative da remoto, in questi anni è cresciuta notevolmente la complessità nella gestione delle infrastrutture e dei data center, ma l’IT può puntare sull’automazione di flussi e processi per preservare tempo da dedicare alle attività core business e non far dilatare il time to market. In questo passaggio di consegne in cui la tecnologia sostituisce l’uomo nelle operazioni più time consuming e di basso valore, lo storage gioca un ruolo centrale: se si autogestisce può risolvere gran parte dei problemi infrastrutturali che oggi, con l’aumentare dei dati e dei servizi richiesti, si presentano e rischiano di far rallentare il business.
Data Center Automation, una necessità ora impellente
Anche se negli ultimi due anni cloud e smart working hanno improvvisamente fatto aumentare il carico di complessità a livello di IT, la direzione era comunque già segnata: processi in corso prima della pandemia come la virtualizzazione, la carenza di competenze IT specifiche e l’esponenziale accelerazione dei ritmi del mercato, stavano rendendo inevitabile l’automazione dei data center.
“Con la virtualizzazione è diventato semplice sviluppare nuove applicazioni ma non hanno più una infrastruttura fisica dedicata, sono ospitate su server e storage condivisi con altre e si rischia di perderne il controllo se non se ne regola la gestione in modo automatico” spiega Umberto Galtarossa, Partner Technical Manager di Pure Storage, sottolineando che questa necessità è legata anche alla carenza di competenze specifiche IT visto che oggi “le figure presenti in azienda si occupano trasversalmente di più aree e hanno skill generiche”.
A premere sull’automazione dei data center anche le pretese del mercato: clienti abituati a chiedere un servizio e fruirne immediatamente hanno spinto il business a pretendere dall’IT l’abbattimento del time to market. Già implementate le ottimizzazioni “umane”, “l’unica strada è quella di automatizzare il più possibile la parte di provisioning – spiega Galtarossa – per rilasciare nuovi servizi in modo rapido e efficace, gestire in contemporanea un numero crescente di progetti e reagire alle richieste del cliente che, anche se richiedono decine di operazioni per ogni suo click, non devono prevedere un tempo di attesa insopportabilmente elevato”.
È in gioco la competitività sul mercato e la soddisfazione del cliente, ma non solo: l’automazione dei data center porta anche numerosi benefici interni che rendono un’azienda pronta ad affrontare le future sfide in un contesto sempre più digitalizzato, veloce e incerto. Uno di essi è la riduzione del carico di lavoro dell’IT legato al micro-management infrastrutturale ma è necessario tener conto del miglioramento della qualità delle applicazioni e della possibilità di micro-segmentarle e proteggerle in modo coerente rispetto a dove risiedono come anche della riduzione degli sprechi di risorse e del rischio operativo attraverso una distribuzione dei servizi in ambienti on-premise e di cloud pubblico finalizzata a ottimizzare il posizionamento dei carichi di lavoro.
Lo storage autogestito al cuore del processo di automazione
Uno degli elementi che più contribuisce alla complessità della gestione dei data center e da cui strettamente dipendono le performance infrastrutturali è lo storage: “vi confluiscono tante applicazioni ed è necessario fare in modo che tutte lavorino in modo ottimale senza che una impatti sulle performance dell’altra – precisa Galtarossa – è un lavoro ‘certosino’ che oggi può essere effettuato in modo automatico con storage che autogestiscono sia il bilanciamento applicativo che le espansioni automatiche di spazio prevenendo problemi di lentezza delle applicazioni o eventualmente gestendoli con prontezza”.
Oltre alle performance, c’è anche un importante tema di sicurezza a cui gli storage autogestiti danno risposta, declinandolo sia alla business continuity che agli attacchi cyber. “In caso di problemi all’hardware o interni al data center, o di mancanza di corrente, il sistema reagisce autonomamente per ridare il servizio, viene anche effettuato un backup automatizzato e tutto ciò che serve per rendere il dato sicuro e sempre disponibile – spiega Galtarossa – nello storage vengono inseriti anche dei meccanismi di criptazione dati e di prevenzione di attacchi ransomware poi applicati di default in modo che si creino sempre spazi già protetti e sicuri”.
Passando da uno storage “di vecchia generazione” ad un modello autogestito ci si trova quindi liberi da operazioni di gestione di basso livello: “se un tempo era necessario preoccuparsi di proteggere dischi fisici e costruire dei volumi su di essi, prevenire attacchi cyber e prevedere meccanismi diversi per gestire copie applicative, oggi il cliente tramite un’interfaccia chiede lo spazio per la nuova applicazione e lo ottiene. È lo storage stesso che si occupa di come viene distribuito, bilanciato e protetto sulle diverse componenti fisiche: tutte le operazioni necessarie che rallentavano il time to market adesso sono automatizzate”.
Autonomia di gestione e monitoraggio predittivo per alleviare l’IT dalle complessità
Pur sembrando quasi surreale per quanto possa essere decisivo per gli IT e anche per il business, oggi avere uno storage autogestito è possibile, sia in contesti on premise che cloud: “non ci sono prerequisiti necessari – precisa Galtarossa – può servire urgentemente ai service provider che si trovano a gestire tanti clienti e tante applicazioni virtualizzate, per non perderne il controllo grazie all’analisi automatica di un alto numero di macchine virtuali, ma porta benefici in ogni settore”.
Pure Storage, spinta dalla mission di minimizzare sempre di più la crescente complessità di gestione delle infrastrutture, non solo prevede l’autogestione dello storage in tutte le sue soluzioni – FlashBlade, FlashArray, Cloud Block Store e Portworx – ma le arricchisce di una piattaforma cloud based che utilizza l’AI per il monitoring e aiuta a estendere la visibilità dello storage e delle informazioni che vengono fornite, anche al di sopra dello stack applicativo.
Gli storage di Pure, grazie a Pure1, si interfacciano sia con ambienti di VMware che containerizzati, permettendo al cliente di visualizzare per ogni macchina virtuale o container il volume dello storage occupato, con quali performance e quali latenze. “Con questa mappa end to end del data center a disposizione, si possono automatizzare delle modifiche sugli ambienti da mettere in produzione o valutare come un nuovo servizio potrebbe impattare sulla performance generale, conoscendo le telemetrie, i carichi e il comportamento dello storage stesso” spiega Galtarossa.
Il monitoraggio predittivo di Pure1 dà un contributo diretto anche all’abbattimento del time to market in particolare nella gestione di un allarme. “Di solito il cliente si deve rivolgere al vendor che chiede log e dati, li analizza e dà una risposta in merito alla gravità dell’allarme e alle azioni da mettere in campo – ricorda Galtarossa – con le nostre soluzioni tutto avviene automaticamente, i log sono già disponibili e pre-analizzati da Pure1 che, verificando costantemente di default lo stato dello storage a priori, ha già la risposta pronta per il cliente”.