Un “piccolo” passo per la tecnologia, un grande passo per la sicurezza dei nostri dati. Anche se l’impegno lato IT non è del tutto banale, in realtà, i vantaggi per l’umanità sarebbero di gran lunga maggiori se si potessero installare dei data center sulla Luna. Così almeno la pensa Lonestar, la startup che ci sta provando da un paio di anni. Non è la sola ad averci pensato: su questa opzione stanno puntando anche la Commissione europea e gli investitori. La prima ha avviato uno studio di fattibilità, con i fondi di Horizon 2020, i secondi hanno finanziato Lonestar in un seed round da 5 milioni di dollari, guidato da Scout Ventures, con la partecipazione di Seldor Capital, 2 Future Holding, The Veteran Fund, Irongate Capital, Atypical Ventures e KittyHawk Ventures.
Prove di volo verso la Luna
Il lancio della prima serie di data center è prevista già quest’anno. L’obiettivo della startup è infatti quello di essere la prima a compiere questa impresa e mostrare un orizzonte più roseo a chi desidera preservare i dati meglio e su scala globale. L’idea è quella di proteggerli dalle attività umane e dai rischi naturali “terrestri”. Oggi i data center sono infatti esposti a pericoli come terremoti, incendi e guerre. Oppure ad allagamenti, come quelli che hanno minacciato un archivio molto speciale e prezioso: lo Svalbard Global Seed Vault, uno scrigno dì biodiversità dove sono custoditi tutti i semi del mondo.
Per i fondatori, l’obiettivo ultimo è quello di usare il data center sulla Luna per il backup dei dati del mondo. I finanziatori guardano oltre e vedono in questo progetto un primo passo verso l’espansione dell’economia nello spazio, unita a nuove profittevoli opportunità di esplorazioni lunari.
Come per ogni missione spaziale, anche in questo caso l’esito non è prevedibile. Lonestar sta lavorando da anni per andare a colpo sicuro, per quello che rientra nelle sue possibilità. Negli scorsi mesi, infatti, ha effettuato diversi test. I più importanti sono stati svolti con un’azienda chiamata Intuitive Machines e con il suo lander Nova-C. La prima volta si è testato solo il software, memorizzando una piccola quantità di dati sull’hardware del lander. Nella seconda, è stata la volta anche di verificare la fattibilità lato hardware: un mini storage da un kg, grande come un libro e con 16 terabyte di memoria. L’obiettivo era quello di provare a immagazzinare dati immutabili per la prima beta del cosiddetto Disaster Recovery as a Service (DRaaS), eseguendo test di upload e download e di edge processing delle applicazioni.
Data center tubolari e “lavici”, resistenti ai raggi cosmici
Ciò di cui ora gli investitori sono in attesa è, in primis, il lancio del primo prototipo di data center, attualmente programmato nell’autunno 2023. Per una missione commerciale completa, dovranno aspettare il 2025. Il primo payload sarà costruito dalla società di logistica spaziale Skycorp e sarà basato su un progetto di server RISC-V multi-core.
Entro il 2026, nei piani di Lonestar, c’è il lancio di server in grado di contenere anche 50 petabyte, con uno step intermedio da 5 petabyte nel 2024.
I data center impiegati in queste nuove missioni potrebbero essere in grado di ospitare il traffico di dati da e verso la Luna a una velocità di 15 Gigabit al secondo. Sarebbe già un’ottima performance, migliore di quella della nostra banda larga domestica, ma Lonestar vorrebbe stabilire una comunicazione costante e diretta tra i dispositivi sulla Luna e sulla Terra.
Una sfida non banale, che si unirebbe a quella di proteggere i data center dalle radiazioni cosmiche e di gestire le fluttuazioni della temperatura della superficie lunare. La soluzione potrebbe essere quella di avvolgere questa parte di hardware in tubi di lava lunari. Per rendere l’idea e lasciar correre l’immaginazione, si tratterebbe di una sorta caverne scavate sotto la superficie dal flusso di antica lava basaltica. Dell’installazione se ne occuperebbero dei robot, sistemando i server in una zona più “fresca” e meglio schermata dai raggi elettromagnetici nocivi.