Per le imprese che desiderano fare innovazione di business, il cloud più che un’opzione è una necessità e spesso guardando al processo di migrazione si tende a vivere la scelta tra l’approccio Lift & Shift e quello Cloud Native come un dilemma assillante. Esiste però un altro modo di affrontare questo importante passaggio, cambiando ottica. Prima di tutto è necessario uscire dalla logica “on/off” rispetto al cloud accettando “situazioni ibride che persistono e persisteranno nel tempo perché alcuni servizi è più comodo e vantaggioso tenerli on premises mentre altri o sono per loro natura cloud native o meglio si prestano ad essere spostati nel cloud pubblico. A seconda dell’adattabilità di una applicazione a questo contesto e alla sua tipologia, si può valutare il processo di migrazione più opportuno”. È questo è il parere di Umberto Galtarossa, Partner Technical Manager di Pure Storage, vendor tecnologico che ha scelto di affiancare le aziende in entrambe le strade verso il cloud “facilitando loro la vita”.
Lift & Shift, migrazione comoda ma limitante
L’approccio Lift & Shift consiste in uno spostamento dell’infrastruttura invariata e del software dai server on-premise al cloud dove il fatto di avere soluzioni di sicurezza aggiuntive rende più semplice l’erogazione di servizi. Tale scelta comporta il trasferimento nei container degli attuali flussi di lavoro monolitici, il deployment dei flussi di lavoro attraverso PaaS (Platform-as-a-Service) e il mantenimento dei dati e delle integrazioni esterne sulla piattaforma esistente. Si tratta di una migrazione semplice che non richiede modifiche nemmeno di architettura e non ha costi elevati: “Per molte applicazioni nate qualche tempo fa questo è l’unico strumento per effettuare la migrazione verso il cloud ma ci sono degli svantaggi – spiega Galtarossa – perché non si riesce a sfruttarne appieno le caratteristiche del nuovo contesto e probabilmente avrò bisogno di alcuni servizi con un costo extra che una applicazione già cloud native non comporterebbe intrinsecamente. Ad esempio, spostando delle macchine virtuali così come sono il consumo delle risorse è 24/7, mentre se si disponesse di un’applicazione costruita su cloud pubblico, sarebbe possibile ‘accendere e spegnere’ alcuni servizi senza alcun impatto sulla bolletta finale del cliente”. Oltre ai rischi durante e dopo la migrazione, progetti on-premises e legacy potrebbero avere problemi di latenza o di prestazione dopo la migrazione, inseriti in un ambiente completamente diverso.
Cloud Native, per un’ottimizzazione senza fine
Optando per il passaggio cloud native, le applicazioni vengono riprogettate utilizzando gli strumenti e le capacità della piattaforma del fornitore di servizi cloud scelto. “È un processo che richiede tempo e risorse, bisogna porsi subito il problema di costruire l’applicazione cloud ready facendo uno studio applicativo approfondito, ma lo sforzo viene ampiamente ripagato – precisa Galtarossa – il dato risulta infatti più portabile ed è possibile sfruttare al meglio tutte le caratteristiche del cloud provider, prevedendo anche lo spostamento dell’applicativo da e verso cloud diversi in base, ad esempio, ai costi, oppure alle tipologie di subscription o alle offerte di servizi che i diversi provider prevedono”.
A proposito di costi, tra i vantaggi di questa modalità di migrazione ci sono sicuramente la possibilità di ottimizzare le spese operative e di ridurre il TCO, non essendo previsto alcun investimento iniziale di capitale per la manutenzione del data center e per garantire la ridondanza dell’infrastruttura. Potendo beneficiare appieno del cloud, un’azienda acquisisce una maggiore flessibilità che si traduce nella possibilità di continuare a ricercare per un numero infinito di volte nuovi modi per ottimizzare i propri servizi, implementandoli, per rimanere competitiva e sempre efficiente.
Verso il cloud, quale la strada migliore?
Se agli albori del cloud computing, l’approccio Lift & Shift era la scelta più comoda, economica e “a basso impatto aziendale”, nel tempo sono emersi i numerosi vantaggi del cloud native ed è necessario valutare con attenzione ogni singola situazione per comprendere quale sia la modalità di migrazione più efficace.
“Per molte applicazioni nate qualche tempo fa il Lift & Shift è l’unica strada possibile, conviene sceglierla, per esempio, quando – spiega Galtarossa – nel contesto del data center non si hanno tutte le risorse necessarie per far raggiungere l’applicazione in modo semplice a contesti multi country: il browsing di un video, per esempio, occupa molta banda, il cloud mette a disposizione le content delivery network con cui è possibile accedere a cache locali nelle diverse country per fruire direttamente dei contenuti. Pur non sfruttando appieno il cloud perché non è possibile mettere mano in modo intrusivo all’applicazione si ha la possibilità però di usufruire di servizi aggiuntivi che il cloud mette a disposizione e che amplificano le potenzialità dell’applicazione”.
Diverso è se un’applicazione è già stata concepita in un contesto di agile development, in questo caso si è speso del tempo nell’ingegnerizzare l’applicazione in modo che sia portabile e la migrazione cloud native è la strada da seguire. A fronte di un maggiore investimento iniziale e di un tempo più lungo di transizione, l’azienda godrà poi della massima flessibilità e della possibilità di integrare la tecnologia e le pratiche più recenti guadagnando un vantaggio competitivo ma, allo stesso tempo, ottimizzando l’allocazione delle risorse e fornendo un ROI più grande e costante.
La data mobility è garantita da Pure Storage
Ogni volta che si interviene su un’infrastruttura, per una migrazione spontanea o necessaria, oppure per sistemare un data center in ottica futura, le aziende possono trovare in Pure Storage chi assicura loro la data mobility: “Permettiamo di prendere un’applicazione così com’è e di spostarla nel cloud con il minor numero di ritocchi possibili ma aiutiamo anche a gestire il parco storage sia on premise che in cloud in tutte quelle realtà che hanno applicazioni cloud native sviluppate in un contesto di agile development, sfruttando già la metodologia DevOps” spiega Galtarossa.
Nel primo caso con Cloud Block Store lo spostamento verso il cloud è seamless, senza la necessità di alcuna reingegnerizzazione o di modifiche al contesto applicativo: sarà poi l’azienda stessa a valutare sul medio e lungo periodo se lasciare l’applicazione invariata in cloud oppure renderla cloud native.
Quando l’approccio scelto è cloud native, si può invece usufruire di Portworx, recente acquisizione di Pure Storage che, in questo contesto, gioca il ruolo di “storage broker”, facilita lo spostamento delle risorse tra on premises e cloud o tra cloud diversi, permette di tenerle sotto controllo e di scegliere quali utilizzare per ogni applicazione in base alle necessità di performance, ad esempio, o alla localizzazione del servizio. “Portworx fa anche un passo in più vestendo il contesto applicativo cloud native di una serie di caratteristiche di gestione del dato necessarie in ambito enterprise e che le soluzioni Kubernetes non hanno di default – aggiunge Galtarossa – dalla business continuity, alla backup consistency, dal disaster recovery alla coesistenza in un cloud ibrido. Tutte opportunità per ottenere una maggiore elasticità, fruibilità, flessibilità e agilità e, quando c’è più scelta, ci sono più opportunità di crescita”.